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I diritti di proprietà intellettuali (IPRs)

2. OBIETTIVI GESTIONALI DELLA CONSERVAZIONE EX SITU DELLE

2.5 I diritti di proprietà intellettuali (IPRs)

L’articolo 31 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni (settembre 2007) afferma che “i Popoli indigeni hanno il diritto di mantenere, controllare, proteggere e sviluppare la loro eredità culturale, la conoscenza tradizionale e le espressioni culturali tradi-zionali, così come le manifestazioni delle loro scienze, tecnologie e culture, incluso le risorse umane e genetiche, semi, medicine, conoscenza delle proprietà della fauna e della flora, delle tradizioni orali….”

Tale obiettivo è comunque difficile da raggiungere in quanto, a causa dell’industrializzazione dell’agricoltura e della Rivoluzione Verde, si sono introdotte forme di appropriazione esclusiva delle sementi basate su misure legislative (Plant Variety Protection Act) o sul segreto commer-ciale (nel caso delle varietà ibride) (Swaminathan 2006).

La diffusione delle agrobiotecnologie rafforza questa tendenza per il modello tecnico (ba-sato sulle monocolture industriali) e istituzionale (l’introduzione del brevetto sulle innovazioni riguardanti la materia vivente), che esse promuovono. Le multinazionali agrobiotecnologiche hanno portato avanti le loro strategie di concentrazione lungo due vie (Wilson 2002).

Hanno acquisito le principali imprese sementiere, fino alla scomparsa di una industria se-mentiera indipendente dall’industria agrochimica. Hanno organizzato una forte azione di lob-bying per il rafforzamento dei diritti di proprietà intellettuale esclusivi, che ha riguardato sia il germoplasma, sia le conoscenze ad esso associate, con due conseguenze molto negative dal punto di vista ambientale e sociale: la negazione del diritto secolare degli agricoltori di riutilizzare parte del proprio raccolto come semente, l’appropriazione da parte del detentore del titolo di

proprietà delle innovazioni e delle conoscenze incorporate nelle varietà tradizionali (Tsioumanis et al. 2003).

Nel 1961 le varie legislazioni nazionali per la protezione delle varietà vegetali furono inqua-drate in una Convenzione internazionale, che costituiva l' Union de Protection des Obteniteurs Vegetales (UPOV) e riconosceva i cosiddetti "diritti dei costitutori", di coloro cioè che "costi-tuiscono" una novità vegetale (plant breeders' rights, o, in breve, PBR). Questi si differenziano dai diritti brevettuali perché riconoscono due esenzioni fondamentali: l'esenzione dei ricerca-tori e quella degli agricolricerca-tori (chiamata anche "privilegio degli agricolricerca-tori"). Grazie alla prima, i ricercatori, anche se innovatori mossi da intenti commerciali, possono utilizzare liberamente, ossia senza necessità di autorizzazione e di pagamento di diritti, le nuove varietà a scopo di ri-cerca. Il privilegio degli agricoltori, a sua volta, permette all'agricoltore di usare, senza alcuna richiesta di licenza, parte del raccolto come semente per l'anno successivo, continuando in tal modo la sua attività informale di selezione (Fonte 2005)

L’attribuzione di titoli di proprietà sulle invenzioni biotecnologiche, divenuta un obbligo con l’accordo sui Trade–Related Aspects of Intellectual Property Rights (Trips) del General Agree-ment on Tariffs and Trade (GATT), è all’origine di una nuova forma di scambio ineguale nel mercato delle risorse genetiche. Il prezzo valorizza e, quindi, remunera le nuove tecnologie, ma non la materia prima e le innovazioni tradizionali incorporate nelle sementi o nel materiale ge-netico utilizzato per le trasformazioni (Riley 2003).

I diritti di proprietà e l’azione collettiva influenzano le strategie di sostentamento. Le per-sone più vulnerabili e soggette ad esclusione sociale, nelle zone rurali in particolare, spesso non hanno accesso alle risorse perché non posseggono diritti di proprietà certa oppure perché tro-vano difficile partecipare ad azioni collettive per limitazioni di tempo e risorse. La certezza del regime di proprietà fornisce accesso ad importanti risorse che possono essere usate per la sicu-rezza alimentare, permettendo ai poveri di produrre cibo, di investire in attività produttive, o di usare titoli di proprietà come garanzie per accedere al credito. L’azione collettiva puó contri-buire alla riduzione della povertá attraverso forme di assicurazioni collettive, di occasioni di red-dito, e di miglioramento dell’accesso ai servizi pubblici (Meinzen-Dick et al. 2002)

Nel 1996 il CGIAR ha dato l’avvio al progetto CGIAR Systemwide Program on Collective Action and Property Rights (CAPRi) al fine di contribuire alle politiche che riducono la povertà tramite l’analisi e la disseminazione della conoscenza sui modi in cui l’azione collettiva e i di-ritti di proprietá influenzano l’efficienza, l’equità e l’uso sostenibile delle risorse naturali (Meizen–Dick e Di Gregorio 2004).

A livello europeo con l’emanazione della Dir. 2008/62/Ce15(varietà da conservare) si vuole tutelare quelle varietà locali selezionate dagli agricoltori nel tempo (in modo più o meno con-sapevole) per soddisfare esigenze di autoconsumo e legate al territorio con il quale si sono coe-volute (Sirsi 2009).

Inoltre scopo della Dir. 2008/62/Ce è quello di rafforzare le indicazioni generali contenute nelle precedenti direttive, individuare le deroghe sia per quanto riguarda l’inserimento delle “va-rietà da conservare” nei cataloghi nazionali delle va“va-rietà (dai quali passeranno nel catalogo co-mune), sia per la produzione e la commercializzazione delle sementi (Paoloni 2005).

15Tale direttiva riguarda ecotipi e varietà naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate di erosione genetica. Inoltre comprende entità caratterizzate da una certa variabilità interna e che non hanno cono-sciuto interventi migliorativi finalizzati a renderle più “commerciali” e cioè più stabili, più produttive, più resi-stenti alle avversità, più omogenee nella forma e nella dimensione ed inoltre prodotte in ridotte quantità.

Di seguito i punti salienti della direttiva:

• Commercializzazione dei prodotti sementieri attraverso l’iscrizione delle varietà da conserva-zione al Registro Nazionale (R.N.);

• La varietà deve presentare un interesse per la conservazione delle risorse fitogenetiche; • Una varietà da conservazione non può essere ammessa al R.N. se protetta da una privativa

co-munitaria per ritrovati vegetali o da una privativa nazionale per ritrovati vegetali o se figura già nel catalogo comune delle varietà di specie di piante agricole ma non come varietà da con-servazione;

• Dipendenza funzionale tra varietà da conservazione e zona d’origine;

• Per ogni varietà da conservazione, iscritta al R.N., è istituita una selezione conservatrice al fine di consentire il mantenimento, nel tempo, delle caratteristiche proprie della varietà; • Deroghe alle condizioni di certificazione dei prodotti sementieri di varietà da conservazione; • Limiti quantitativi di sementi commercializzabili per ciascuna varietà da conservazione; • Controlli affidati all’Ente sementi;

• Abrogazione dell’art. 19-bis introdotto dall’art. 2-bis della l. 46/2007 con eccezione del comma 6 relativo al diritto dei produttori agricoli alla vendita diretta in ambito locale di modiche quan-tità di sementi o materiali da propagazione relativi a varietà di conservazione iscritte nel re-gistro nazionale.

Il tentativo di creare un mercato globale delle risorse genetiche porta con sé una doppia mi-naccia: una di natura più specificamente ambientale, l’erosione della biodiversità; l’altra di na-tura economico-sociale, l’erosione delle risorse genetiche come dominio pubblico e/o collet-tivo. Sebbene così formulate sembrino minacce molto astratte, la posta in gioco è molto ele-vata: riguarda l’equilibrio della vita sul pianeta e la sopravvivenza di milioni di agricoltori po-veri, che attorno alle risorse genetiche hanno costruito un sistema complesso di sussistenza e di relazioni sociali, che non risponde alle regole del mercato (Commissione Internazionale per il Futuro dell’Alimentazione e dell’Agricoltura 2006).

3. REVIEW SULLA CONSERVAZIONE EX SITU DELLE RISORSE