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Il valore economico delle risorse genetiche

4. I COSTI E I BENEFICI DERIVANTI DALLA CONSERVAZIONE EX SITU

4.2 Il valore economico delle risorse genetiche

Il rischio di estinzione riguarda molte specie e la loro diversità genetica mentre le limitate risorse finanziarie per la conservazione impongono una preliminare analisi economica volta alla determinazione del valore delle risorse genetiche in gioco e alla individuazione dei possibili in-terventi di gestione.

Teoricamente, come ogni altra risorsa naturale, il valore connesso alle risorse genetiche agrarie è principalmente distinto in valore d’uso e valore non d’uso. Koo e Smale (2003) fanno tuttavia notare come sia difficile immaginare che una persona comune riesca a trarre soddisfazione dal sapere che le risorse genetiche sono conservate in qualche banca del seme. Semmai, la soddi-sfazione che un individuo può provare nel sapere conservata una risorsa genetica è connessa proprio alla possibilità di un suo uso diretto e concreto nella produzione. Inoltre, il valore d’uso può riferirsi ad un impiego presente della risorsa come ad un possibile uso futuro (valore d’op-zione); quest’ultimo è caratteristica propria delle collezioni conservate nelle banche del seme ed è anche una componente importante del valore economico totale della risorsa genetica.

Le risorse genetiche sono beni pubblici e come tali non trovano una valutazione sul mercato. Se da un lato l’introduzione di diritti di proprietà può alterare la natura di bene pubblico della risorsa genetica di interesse agrario, dall’altro persiste il problema di assegnare un valore di mer-cato al flusso di benefici derivanti dall’utilizzazione delle accessioni per il miglioramento delle colture. Inoltre ci sono molti usi presenti e futuri delle accessioni oltre a quelli diretti relativi alla selezione di nuove varietà colturali, e molti di questi contribuiscono ad altri tipi di beni pub-blici, ad esempio la conoscenza. Koo e Smale (2003) richiamano i numerosi studi volti ad in-dividuare tutte le possibili fonti di valore connesse alla risorsa genetica con altrettanti modelli teorici (Brown e Goldstein 1984, Weitzman 1993, Polasky e Solow 1995, Simpson et al. 1996, Evenson e Lamarié 1998). Gollin ed Evenson (2003) propongono uno schema di valori riferito alle risorse genetiche vegetali (tab. 4.2.1); i valori d’uso diretto sono chiaramente riferiti alla produzione, ma ci sono altri usi diretti, per lo più associati alla conservazione in situ, di mate-riale genetico raro; ad esempio una specie vegetale o una razza possono avere un alto valore d’uso per una particolare nicchia di produzione alimentare, come un vegetale commestibile eso-tico o un tipo di formaggio.

Tabella 4.2.1 – Attività e valori connessi alla conservazione della biodiverstità contenuta nelle risorse genetiche

I valori d’uso indiretto sono relativi all’eventuale uso futuro della risorsa (valore d’opzione), e, infine, i valori di non uso derivano dalla soddisfazione di sapere che, indipendentemente dai possibili benefici materiali che se ne possono (o che se ne potranno) trarre, specie e razze rare continuano ad esistere.

Ancora Gollin ed Evenson fanno notare che, relativamente alle PGR, il valore connesso ad una risorsa genetica non viene rispecchiato dal numero di accessioni richieste alla banca, poiché in molti casi i coltivatori preferiscono produrre varietà già selezionate e testate piuttosto che lavo-rare con specie selvatiche o, nel caso degli allevatori, con razze locali. Ma la bassa utilizzazione di germoplasma non implica che questo non abbia valore, poiché il valore delle collezioni non ri-siede nella frequenza del loro uso bensì nella capacità di fornire materiale raro quando serve. Nel caso delle AnGR valgono considerazioni analoghe, poiché gli allevatori non sono incentivati ad attingere al materiale genetico se le razze che allevano hanno già tutti i tratti genetici desiderabili. Può accadere però che in un momento futuro le razze comunemente allevate perdano qualche ca-ratteristica genetica, o che non ne abbiano una o più divenute desiderabili per mutate condizioni ambientali e/o produttive. Anche in questo caso il valore potenziale delle collezioni risulta mag-giore ed irrinunciabile. Occorre tuttavia considerare che le circostanze ipotizzate da Gollin ed Evenson sembrano rispecchiare una situazione in cui coltivatori ed allevatori non solo hanno fa-coltà e possibilità pratiche di accesso alle banche del germoplasma, ma sono anche in una condi-zione di assoluta libertà di scelta dal punto di vista del controllo e della gestione della propria azienda: in altre parole, sembra riprodotta una situazione tutta “occidentale” in cui si dispone di tecnologia e di mezzi finanziari per operare abbastanza liberamente le proprie scelte produttive, sebbene sotto le pressioni e con le difficoltà che caratterizzano il settore agricolo e i relativi mer-cati. Pur nell’ipotesi che queste circostanze siano rispecchiate nelle comunità rurali occidentali (ipotesi peraltro da assoggettare a verifica), la situazione dei paesi in via di sviluppo è certamente più complessa, in particolare per quanto riguarda le AnGR. Il rapporto della FAO sulla gestione delle risorse genetiche animali (FAO 2007) sottolinea come, a dispetto della corposa letteratura teorica sui benefici derivanti dalle risorse genetiche e dalla biodiversità in generale, minore atten-zione si è data all’importanza delle razze locali nei sistemi produttivi di sussistenza tipici dei paesi in via di sviluppo. I motivi di una minore disponibilità di studi e ricerche al riguardo derivano in-nanzitutto dalla difficoltà di misurare i benefici della diversità genetica zootecnica, poi dalla man-canza o scarsa disponibilità di dati per poter condurre un’analisi economica, infine dalla neces-sità di dover considerare i valori non di mercato degli animali allevati; per ottenere questi dati è richiesto un adattamento di tecniche di valutazione economica prese in prestito da altre aree del-l’economia. Facendo riferimento alla tabella 4.2.2, le metodologie per individuare il valore eco-nomico delle AnGR sono sostanzialmente raggruppabili in tre categorie in base allo scopo e al-l’oggetto della valutazione. Al primo gruppo appartengono le tecniche per la determinazione del-l’importanza economica della razza a rischio; il secondo gruppo comprende tutte le tecniche per la determinazione dei costi e dei benefici associati ai programmi di conservazione e per l’ottimiz-zazione della partecipazione degli agricoltori ai programmi; il terzo gruppo abbraccia una serie di tecniche con lo scopo di individuare le priorità nei programmi di conservazione delle AnGR.

Analizzando una serie di studi volti ad individuare il valore economico di razze indigene in differenti situazioni locali e che hanno fatto uso di una o più tecniche del gruppo 1, sono emersi due importanti risultati:

• la valutazione convenzionale basata su criteri di produttività in termini di carne e latte è risul-tata del tutto inadeguata per i sistemi pastorali di sussistenza e tende a sopravvalutare i bene-fici connessi alla sostituzione della razza locale con una alloctona più produttiva, poiché

• per gli allevatori, ancor prima che una elevata produzione di latte e carne, sono risultate molto più importanti caratteristiche quali la resistenza alle malattie, il vigore fisico per il trasporto e per la trazione e la performance riproduttiva.

Per quanto concerne le metodologie del secondo gruppo, relative all’analisi dei costi e dei benefici della conservazione di una data razza, nel rapporto FAO si evidenzia una certa

spro-Tabella 4.2.2 – Metodologie di valutazione economica delle risorse genetiche animali

porzione tra l’abbondanza numerica degli studi relativi alla conservazione in situ e, al contrario, la limitata quantità di ricerche relative alla conservazione ex situ, cioè alla crioconservazione del materiale genetico animale. Certamente, condurre una valutazione economica relativamente ad una razza presente in un dato territorio e in un ben delineato contesto spazio-temporale uti-lizzando, ad esempio, il metodo della valutazione contingente o del costo-opportunità, può ri-sultare più semplice rispetto ad una analoga valutazione dei costi e dei benefici applicata alla crioconservazione; inoltre, per quest’ultima, alle difficoltà di approccio (ad esempio nel con-durre le interviste agli allevatori) si aggiunge una relativa scarsità di dati dovuta al fatto che la conservazione del materiale genetico animale è relativamente più recente e meno diffusa della conservazione del germoplasma vegetale.

Le metodologie inserite in questo gruppo sono di grande interesse applicativo anche per quanto riguarda la possibilità di individuare le priorità nei programmi di conservazione. Dato il gran numero di razze a rischio di estinzione e data anche l’esigua entità delle risorse finanziarie de-stinate ai programmi di conservazione, appare assolutamente utile poter disporre di un modello che riesca ad ottimizzarne l’uso.

Al terzo gruppo sono ascritte le tecniche ritenute utili per valutare i costi e i benefici con-nessi ad un certo programma di selezione genetica e di allevamento. Il risultato che emerge con chiarezza dagli studi effettuati al riguardo è che è occorre tenere in conto il valore d’opzione nei modelli di funzione di produzione, poiché gli attuali criteri di selezione genetica non sono in grado di raggiungere gli obiettivi economici che si prefiggono in un contesto intertemporale. Data l’incertezza sulle future condizioni e sui futuri bisogni, occorrerebbe conservare campioni genetici con i tratti che attualmente non risultano economicamente desiderabili ma che potreb-bero diventarlo in un futuro più o meno prossimo.