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4. Metrica, stile e struttura compositiva dal prototesto al metatesto

4.3 Le strutture compositive del testo

4.3.2 I discorsi

Una porzione significativa del sermone (circa un quarto) è occupata da discorsi diretti, che conferiscono al mēmrā una coloritura drammatica, come accade spesso negli altri generi poetici siriaci praticati da Efrem (sogyātā e madrāšē).474 Questi interventi diretti dei personaggi si presentano sempre come dialoghi in cui le due controparti pronunciano ciascuna un lungo discorso che si può considerare alla stregua di un monologo.

Il traduttore greco deriva direttamente dal prototesto siriaco la dimensione dialogica. In ogni caso, l’utilizzo del discorso diretto è un tropo ricorrente non solo nella poesia siriaca, ma anche nella produzione poetica e omiletica greca dei secoli IV-V, in particolare nella forma dell’etopea (cf. § 10.4.2).475 Vi è dunque tra letteratura greca e siriaca una convergenza nell’impiego di strumenti retorici simili, che permette al traduttore di trasportare in greco questa particolare forma dello stile efremiano, collocandosi al contempo sulla scia di una continuità con una moda letteraria già diffusa anche nella letteratura greca.

Qui di seguito si presenteranno i discorsi inseriti nel sermone, analizzando le analogie e le differenze di ciascuno di essi tra prototesto e metatesto.

I primi due discorsi fanno parte di un dialogo con domanda e risposta tra figli e padri. Esso si caratterizza per il tono particolarmente patetico e l’uso dell’ottosillabo. Il primo discorso è quello dei bambini (259-276 = 185αβ-196αβ); il secondo è la risposta dei padri (349-424 = 230αβ-256αβ). L’intervento dei bambini si configura come un lamento spaventato, scandito dalle ripetute domande rivolte ai loro padri in cui chiedono quando sono destinati a morire. In maniera insolita per degli interlocutori della loro età, la loro retorica molto semplice è anche molto efficace: essa si basa sull’anafora insistita dell’aggettivo/pronome interrogativo che introduce la domanda sull’ora della morte (cf. 4.2.4). La tematica della morte e la ripetitività stilistica, ponendo l’enfasi sull’ansia relativa alla loro dipartita prefigurata, caratterizzano il discorso come un threnos, un lamento funebre. Nell’Efrem greco si trovano altri esempi di questo tipo di discorso, come il lamento di Sara per la morte annunciata del figlio Isacco, nel

474 La poesia siriaca fa un ampio uso del dialogo, nella forma di discussioni tra due o più interlocutori o dell’etopea

(cf. Brock 1987; 1991a). Tale tropo retorico è molto ricorrente in tutta la produzione letteraria del Medio Oriente, sin dall’epoca della poesia sumerica (Streitgedicht o dispute poem, su cui si veda, da ultimo, Jiménez 2017), ed è pertanto considerato un portato della civiltà mesopotamica in senso lato.

475 Per quanto riguarda l’impiego del dialogo nella letteratura cristiana e tardoantica, si vedano Hoffmann (1966);

Voss (1970); Cameron (2014). Più recentemente, la prospettiva degli studi si è ampliata al dialogo in epoca bizantina e nelle culture vicine a Bisanzio (Cameron/Gaul 2017). Si veda anche l’utile compendio ai dialoghi cristiani tardoantichi in Rigolio (2019).

178 sermone In Abraham et Isaac.476 Nonostante la sezione non presenti omissioni in greco, la ripetitività espressiva del lamento in siriaco è stata comunque scorciata per l’impiego di basi di strofa (sul concetto, cf. § 5.1) di tre o sei emistichi per metà del discorso.

In risposta al discorso dei figli, segue quello dei padri. Si tratta di un discorso consolatorio e insieme didascalico, che intende dare forza ai piccoli interlocutori, assicurandoli della profonda bontà di un Dio che minaccia di morte l’uomo affinché questi corregga il proprio comportamento. Il discorso è articolato in tre momenti: l’argomentazione sulla bontà di Dio (349-354 = 231αβ-236αβ); la dottrina giustificativa dell’ira di Dio, funzionale alla correzione dell’uomo e mossa da un intento amorevole (355-416 = 237αβ-254αβ); l’invito a non abbattersi (417-424 = 255αβ-256αβ). Il discorso risulta fortemente ridotto nella traduzione greca: oltre alle numerose omissioni di blocchi di versi siriaci, si nota che ogni strofa greca corrisponde per lo più a quattro emistichi siriaci. L’intento di sintetizzare la ripetitività e il messaggio teologico del discorso (cf. § 11.3.1) è dunque evidente in questa scelta traduttiva, che però non intacca la retorica del discorso in siriaco, caratterizzato da anafore e paragoni tra Dio-padre e i padri stessi. I versi omessi sono: 359-360, 363-372, 377-380, 399-406, 411-416, 421-424.

Il terzo discorso è il monologo del re di Ninive ed è il più lungo di tutti (507-822 = 315αβ- 452αβ). Contrariamente al dialogo tra i padri e i figli appena analizzato, in questa sezione la traduzione greca non opera il passaggio all’ottosillabo, ma prosegue con la versificazione di

cola di sette sillabe; questo discorso non ha più il tono patetico del dialogo precedente, ma una

coloritura parenetica e piuttosto “epica”. L’intervento del re si può suddividere in diverse macrosezioni: l’invito a comportarsi eroicamente, venerando la giustizia di Dio e glorificandone la clemenza (507-574 = 315αβ-358αβ); l’exemplum dell’arca di Noè (completamente omesso in greco, cf. § 11.3.2); la presentazione delle caratteristiche del nemico Giona e della sua forza (631-702 = 359αβ-402αβ); la critica ai falsi profeti (completamente omesso, cf. § 11.3.2); lo sprone a prepararsi a una dura lotta contro un potente nemico (715-774 = 403αβ-428αβ); l’exemplum di Giobbe (cf. § 4.3.3); l’invito finale a prepararsi per la guerra (801-822 = 439αβ- 452αβ). La retorica del re di Ninive è caratterizzata da un uso insistito di forme esortative e di metafore belliche, che nella traduzione greca sono mantenute intatte. Tuttavia, si registrano numerose omissioni: la versione greca del discorso del re risulta praticamente dimezzata rispetto all’originale, anche se ne riproduce tutta la forza retorica. I versi omessi sono i seguenti: 511-512, 517-518, 547-550, 565-568, 573-630, 635-636, 639-644, 655-656, 665-666, 681-682,

476 Il discorso, contenuto ai versi 301-364 del sermone, è analizzato da Mercati (1915: 89-90). Il lamento presenta

analogie metrico-stilistiche con quello dei bambini nell’uso degli ottosillabi, delle anafore e delle domande retoriche.

179 685-686, 697-698, 703-714, 727-730, 735-738, 743-754, 765-766, 781-782, 787-792, 797-800, 811-812, 821-822.

Il discorso successivo è l’annuncio dei messaggeri (841-860 = 463αβ-470αβ), che diffondono l’incitamento a resistere e a pentirsi. Anche qui l’intervento si caratterizza per le forme di comando, che sembrano quasi riprodurre l’assertività di un decreto imperiale. La traduzione greca mostra una tendenza alla riduzione del testo di partenza, utilizzando gruppi di quattro o sei emistichi per formare una strofa e omettendo i versi 853-856.

Il quinto discorso è pronunciato dai Niniviti: dopo un ringraziamento a Dio per la salvezza, esortano Giona a gioire insieme a loro (1337-1388 = 689αβ-724αβ). L’invito a festeggiare il ritorno alla nuova vita è caratterizzato da toni di esultazione e dall’impiego di similitudini tra la gioia dei cieli e quella sulla terra. Si notano in particolare i frequenti imperativi, con cui i Niniviti cercano di coinvolgere il profeta nel festeggiamento della loro gioia.477 La traduzione greca riproduce il discorso omettendo parte del materiale di partenza: 1355-1356, 1363-1364, 1379-1382, 1385-1388.

Un dialogo particolarmente interessante è l’alterco tra Giona e lo Spirito Santo, che avviene per bocca del profeta: il primo esprime la propria amarezza per essere apparso come un falso profeta, mentre il secondo lo istruisce sul senso della misericordia verso l’essere umano. Questo è l’unico dialogo della storia di Giona già presente nella Bibbia (Giona, 4, 2-4; 8-11): Efrem parte dal modello biblico e lo espande enormemente, introducendovi delle riflessioni teologiche. Anche l’avvicendamento degli interlocutori segue la successione del libro di Giona: per due volte, lo Spirito Santo risponde a un intervento del profeta, concludendo infine la lite.

Nel primo discorso di Giona, il profeta dichiara di voler morire per la distruzione della sua pianticella di ricino (1413-1414 = 747αβ-752αβ). Le concise parole in siriaco, riportate indirettamente, nella traduzione greca non solo sono espanse, ma addirittura volte al discorso diretto, acuendo così il patetismo delle domande che Giona rivolge amareggiato e perplesso a Dio. La prima replica dello Spirito Santo (1421-1450 = 759αβ-780αβ) illustra il primo messaggio didascalico di Dio al profeta e all’uomo: l’importanza della compassione per gli altri essere umani. La traduzione non registra riduzioni del contenuto del testo di partenza, tranne i versi finali 1449-1450, con i quali si perde una mossa retorica nella chiusa del discorso: la pianticella di ricino che Giona tanto piange viene menzionata in anafora a partire dall’emistichio 1443, ma il greco non presenta gli ultimi emistichi di questa enumerazione ed elimina nella traduzione il termine “ricino” ( ܐܪܘܪܫ/ܐܐܪܩ).

477 Un simile tropo retorico si trova anche nei canoni bizantini cantati nella preghiera mattutina della domenica di

180 Della seconda parte del dialogo, che è riportata in siriaco con discorsi indiretti, il greco riproduce solo l’intervento di Giona, assai breve, in cui egli esprime il proprio disappunto per essere apparso come un falso profeta (1461-1462 = 791αβ-792αβ). La risposta dello Spirito Santo (1467-1480), che presenta una dottrina giustificativa dell’operato di Dio nella dialettica tra giustizia e misericordia già presentata nel discorso dei padri, è completamente omessa (cf. § 11.3.1).

L’ultimo dialogo del sermone è quello tra i Niniviti e Giona. Intervengono prima i Niniviti (1615-1670 = 835αβ-844αβ), che implorano il profeta di farli entrare in terra d’Israele, perché possano vedere la condotta di vita esemplare degli ebrei. L’insistenza di questi è ribadita nell’impiego dei verbi esortativi, puntualmente riprodotti nella traduzione greca. Essa, tuttavia, presenta una drastica riduzione di questo tropo retorico a causa delle numerose omissioni di versi, che pertanto diminuiscono il potenziale retorico tipicamente efremiano presente in questo discorso (1619-1626, 1631-1654, 1657-1670).

La risposta di Giona (1695-1710 = 853αβ-860αβ) è una Trugrede, che riesce a mandare via i Niniviti col pretesto di una festa cui è negato l’accesso ai non circoncisi. La versione greca mostra anche in questo caso delle omissioni, che trasformano il discorso del profeta in una serie di affermazioni recise: è in corso una festa a cui i non circoncisi non posso partecipare; i Niniviti devono tornare in patria e potranno venire quando la celebrazione sarà finita. Le omissioni di versi sono: 1697-1700, 1703-1704.

Dopo che i Niniviti, incuranti dell’ordine di Giona, sono saliti su un monte, vedono le impietà del popolo di Israele, enumerate in un catalogo di culti pagani, e iniziano un lungo discorso gli uni con gli altri: questa lunga sezione costituisce la terza invettiva contro gli ebrei (cf. § 4.3.4). L’ultimo intervento dei Niniviti, lunghissimo (1959-2142), è una dossologia, in cui si ringrazia Dio che ha decretato la salvezza di Ninive. Il greco ne riproduce solo i primi versi (1959-1966 = 901αβ-904αβ), omettendo tutto il resto del sermone fino alla fine: forse non era nell’interesse del traduttore (o di un fruitore tardo dell’omelia greca) riportare l’enumerazione di ringraziamenti, lodi e benedizioni dei cittadini di Ninive. Dal verso 1967 il testo siriaco non è più tradotto.

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