1.5.1) Un nuovo scenario geopolitico e la centralità del mediterraneo
A partire dalla fine della Guerra Fredda, il cambiamento del contesto internazionale, ha fatto ritornare, seppur con scarsa velocità, come argomento principale delle discussioni politiche il concetto di interesse strategico nazionale. Secondo l’ambasciatore Paolo Casardi, l’interesse strategico nazionale definisce quegli interessi che sono alla base del
nostro sistema politico, economico, militare, valoriate e culturale. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, per l’Italia l’interesse strategico consisteva nell’ottenere le migliori possibili clausole nel quadro del trattato di pace e di cercare di essere ammessi il prima possibile nel nuovo sistema multilaterale creato dai vincitori della guerra. Per il nostro Paese, in quegli anni, l’entrata nella NATO, nelle Nazioni Unite e più tardi nelle prime forme d’integrazione europea furono Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, per l’Italia l’interesse strategico consisteva nell’ottenere le migliori possibili clausole nel quadro del trattato di pace e di cercare di essere ammessi il prima possibile nel nuovo sistema multilaterale creato dai vincitori della guerra. Per il nostro Paese, in quegli anni, l’entrata nella NATO, nelle Nazioni Unite e più tardi nelle prime forme d’integrazione europea furono importanti successi diplomatici e, per vari decenni, l’attenzione prevalente è stata posta sugli interessi italiani visti in chiave multilaterale, sia dal punto di vista politico, sia economico, o militare. Tuttavia, i nostri interessi strategici esclusivamente nazionali continuavano ad esistere, a maturare e a rinnovarsi, andandosi ad adattare ai nuovi scenari internazionali. Gli interessi strategici nazionali e le loro esigenze di supporto e di difesa nascono prevalentemente in base alla natura stessa del Paese considerato. Nel nostro caso, l’Italia ha un importante confine settentrionale situato nella zona centro-meridionale dell’Europa e per il resto è costituita da una penisola prepotentemente protesa nel Mediterraneo, accompagnata da alcune grandi isole. A prima vista, si direbbe un paese prevalentemente marittimo, ma sappiamo bene che la dimensione geografica costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente per determinare la vocazione di una nazione. Sono invece gli uomini e le donne che popolano il Paese, che con le loro scelte, le loro ambizioni e la loro tecnologia, rendono possibili e alimentano una vocazione piuttosto che un’altra. Nel 1861, con l’unificazione e l’avvio del processo di industrializzazione, l’importanza strategica del mare decuplica e l’Italia può definirsi definitivamente un Paese marittimo, non tanto per la lunghezza delle coste, o per il numero dei suoi porti, o per
le dimensioni della marina mercantile o peschereccia, ma quanto perché la massima parte del sistema economico italiano viene a dipendere dalla navigabilità del mare. Il marchio «Made in Italy» profuma di mare al momento della sua presentazione sul mercato estero sotto qualunque forma. Nella maggioranza dei casi, tali prodotti hanno fatto già due lunghi viaggi per mare. Il primo sotto forma di materia prima importata in Italia e il secondo come prodotto finito riesportato. Infatti, la mancanza di materie prime spinge l’Italia ovunque nel mondo le sia possibile approvvigionarsi. I flussi di materie prime cosi convogliati nel nostro Paese, nella massima parte per via marittima, vengono in parte consumati, ma in gran parte trasformati e successivamente riesportati. Nasce quindi un nuovo «sistema» economico, che ha portato l’Italia a essere una delle prime potenze economiche del mondo, il secondo apparato produttivo in Europa, in cui il mare acquisisce un ruolo centrale per l’economia e la sicurezza del nostro Paese. Il nostro sistema di import-export costituisce un formidabile «unicum» italiano, davvero ammirevole sul piano tecnico e finanziario, che ha dato al nostro paese la chance di esercitare un ruolo nel mondo, che la natura gli aveva negato.
Vale la pena a tal proposito leggere con attenzione il nostro PIL, poiché tra importazioni ed esportazioni, quasi il 50 per cento del PIL viene reso possibile attraverso l’utilizzo del mare. Si tratta tra l’altro di una tendenza in crescita, sia per le nuove «autostrade del mare», sia per l’utilizzo di nuove rotte, come quella artica. Sempre a proposito di PIL, è importante notare che solo una parte delle merci importate viene destinata al consumo interno, mentre una importante quantità è destinata all’economia di trasformazione. Questo vuol dire che il mare costituisce la via prevalente non solo per le nostre esigenze di sopravvivenza, ma anche e soprattutto per assicurare al nostro Paese il proprio sviluppo, basato in buona misura su un collaudato sistema economico, che è riuscito a mantenersi in attivo anche nei peggiori anni della crisi58.
Come denotabile da quanto detto dal Casardi, essendo l’economia di oggi un’economia di trasformazione, il nostro interesse nazionale è quello di entrare a far parte di un mercato aperto che comprende ben 27 paesi dove è utilizzata la stessa moneta, ormai da quasi vent’anni, e che costituiscono tutti insieme il nostro primo partner commerciale.
Qualunque interruzione di questi flussi, qualunque serio problema sorgesse per lo stretto di Malacca, il Canale di Panama, o quello di Suez/Bab-el-Mandeb, non causerebbe solo un grave pregiudizio per i porti nazionali o esteri, ma metterebbe in
58 Casardi P., Riflessioni sul concetto di interessi strategici nazionali, in Geopolitica del mare, Mursia 2018,
crisi Milano, Torino e tutti i distretti industriali italiani59. L’avvenimento di una sola di
queste circostanze potrebbe causare un danno irreparabile alla nostra economia in termini di flussi economici import export. I nostri più fidati clienti commerciali e alleati verrebbero danneggiati e si tirerebbero fuori dal mercato con l’Italia che quindi all’improvviso, essendo povera di materie prime alternative non potremmo più contare sul loro arrivo nel nostro territorio. Tutto ciò metterebbe a repentaglio non solo la sicurezza economica del territorio ma di conseguenza anche quella di chi il territorio lo vive in primis, i cittadini italiani. Quindi considerando la natura del nostro sistema economico, siamo obbligati a considerare di nostro stretto interesse anche i luoghi più lontani, dove è possibile acquisire le risorse di cui abbiamo bisogno.
Quando ci si riferisce alle risorse contenute e trasportate per mare, non bisogna far riferimento solo ai giacimenti di petrolio e idrocarburi vari, quindi fonti di energia, presenti sul fondo di mari e oceani, ma bisogna tener conto anche della fiat rete di cablaggi e di pipelines destinate al trasporto di informazioni (reti di telecomunicazioni subacquee) e di, come appunto accennato prima, risorse energetiche, vedasi gas dotti, oleodotti ecc…
La globalizzazione moderna e la tecnologia sono andati avanti a braccetto in questi ultimi 20 anni e di conseguenza anche l’incremento delle telecomunicazioni. Oggi si parla di information technology, abbiamo internet, una miriade di dati e informazioni, come denaro elettronico, beni di ogni genere (sempre digitale ovviamente), acquisti online, comunicazioni intercontinentali, comunicazioni tra persone comuni ecc… passa tutto sotto il mare, o meglio sul fondo marino. Parlando di dati concreti, i cablaggi sottomarini consentono il 90% circa del traffico internazionale di dati e comunicazioni foniche, mentre i satelliti rendono possibile il restante. In sostanza, sul fondo del mare, o meglio sul dominio dell’underwater, scorrono e sono presenti fili e fili, cavi e cavi, di dati ed energia che a livello strategico hanno un peso sulla civiltà odierna pari se non superiore a tutto quello che scorre in superficie e in aria.
I cavi sottomarini, anche se privati ed installati in acque internazionali, rientrano nel gruppo delle infrastrutture critiche delle nazioni che li posseggono o meglio delle nazioni di cui le informazioni e materie passano di li, e quindi anno protetti e sorvegliati. Per ultimo, ma non per importanza, vi è un ulteriore aspetto economico e sensibile che riguarda l’economia del mare ed è di grande interesse nazionale: le risorse alimentari
che esso assicura. Le risorse ittiche, già ora ma soprattutto negli anni a venire, diventeranno di vitale importanza insieme ovviamente all’accesso ad esse, a causa dell’aumento demografico mondiale degli ultimi anni, ricordiamo che con lo sviluppo della medicina i tassi di mortalità per malattia e vecchiaia sono diminuiti e la gente comunque, come è giusto che sia, continua a fare figli.
L’Italia detiene il secondo posto tra i Paesi membri dell’Unione Europea per dimensioni e quantità del comparto, com una flotta di circa 12000 pescherecci per un totale di circa 60000 addetti60. L’industria ittica quindi risulta un’attività fondamentale per il nostro
paese a livello economico, non a caso l’attività di migliaia di lavoratori è fin dagli anni cinquanta stata garantita e protetta dalla presenza ininterrotta di unità della Marina Militare che assicuravano e assicurano ancora oggi il corretto svolgimento dell’attività di pesca. Le operazioni di vigilanza pesca (VIPE), grazie anche al potere di polizia giudiziaria di cui sono insigniti i comandanti delle unità che operano in quelle aree, hanno infatti assicurato per anni la salvaguardia dei nostri pescherecci di fronte ad interventi, per la maggior parte delle volte illegali, di altri attori marittimi in prossimità delle coste libiche e tunisine.
Il mare possiede importanza e potenzialità che sono tali da considerarsi un interesse nazionale vitale che merita quindi protezione e tutela. Oggi giorno le minacce alla sicurezza della navigazione sono molteplici e costituiscono pericoli concreti che assumono importanza globale e non solo regionale e locale; vi è la pirateria e il terrorismo per esempio, l’immigrazione clandestina, i traffici illeciti di varia natura, l’inquinamento e il degrado dell’ambiente marittimo, gli attacchi cyber e la pesca indiscriminata. Queste minacce se vengono considerate singolarmente potrebbero n qualche modo illuderci di non rappresentare una vera minaccia economica, il problema infatti sorge quando queste si sommano rendendo non più navigabile in modo scuro ed efficiente i nostri mari per i quali passa, come già detto in precedenza, il 90% del commercio di materie prime e informazioni mondiale.
Negli anni quindi è iniziato ad affermarsi un nuovo concetto di sicurezza marittima, non più legato ai retaggi storici della Prima e Seconda Guerra mondiale, dove con tale espressione si intendeva prettamente una difesa dei confini militare, impedendo invasioni e attacchi nemici, ma sostanzialmente più legato al concetto di sicurezza dell’ambiente marittimo contro tutte le forme di inquinamento. Quindi la tutela è volta
60 Caffio F., L’Italia e gli spazi marittimi. Risorse e dispute nel Mediterraneo: la posizione italiana, in
al controllo di minacce come: conflitti intestatali, gruppi terroristici e organizzazioni criminali, cambiamenti climatici e ripartizione degli spazi marittimi internazionali negli ambiti di Zona Contigua, Zona archeologica, ZPE, SAR, e ZEE, che inquinano nel senso che rendono non più sicuro lo spazio marittimo e quindi ne riducono i commerci che vi passano sopra e sotto. In particolare possiamo analizzare la situazione dell’Italia che non avendo istituito Zone Economiche Esclusive (ZEE) ha indebolito la sua posizione nei confronti degli stati frontisti. Per ora sul versante italiano è presente una zona di alto mare ovvero un’area in cui nessuno in particolare esercita giurisdizione se non i singoli Stati di bandiera sulle proprie navi. Risulta inoltre indispensabile che l’Italia metta un freno alla territorializzazione del Mediterraneo da parte dei paesi rivieraschi, che così facendo avanzano e ottengono pretese su vaste zone di mare circostanti approfittando del fatto che le nuove tecnologie permettono oggi lo sfruttamento dei fondi marini in misura più importante rispetto al passato. Questa tendenza sta già da tempo creando forti tensioni tra i paesi che affacciano sul mediterraneo e che potrebbero sfociare in veri e propri conflitti armati61.
In aggiunta confermano l’aumentata attenzione mondiale verso il mediterraneo proprio un netto aumento degli investimenti da parte dei Cinesi che, in poco più di un decennio sono aumentati di circa 10 volte. Da sottolineare sono quindi sicuramente gli investimenti cinesi sul porto di Pireo, privatizzato nel 2016, a favore di China Costco
Shipping Group leader nel settore dry and liquid bulk. Questa mossa cinese suggerirebbe
la loro intenzione di fare del Pireo il maggior hub logistico nel mediterraneo, essendo questo vicino a Suez e potenzialmente potrebbe diventare uno snodo cruciale per il
transshipment dei container provenienti dall’Asia. Altri investimenti hanno interessato
i cinesi nel loro tentativo di arricchire le rotte sia terrestri che marittime tra Cina ed Europa, un traffico che recentemente si attestava ad oltre 25 milioni di container all’anno62.
Questo aumento sempre costante di concentrazioni di traffici marittimi nel Mediterraneo, che rappresenta sempre di più un crocevia tra due mondi, occidente e oriente, ha fatto si che iniziasse a ripresentarsi un fenomeno che fino al secolo scorso sembrava molto lontano, la pirateria marittima.
61 Casardi P., Riflessioni sul concetto di interessi strategici nazionali, in Geopolitica del mare, Mursia 2018. 62 Sisto L. e Pellizzari M., Il ruolo dei traffici marittimi nel sistema economico nazionale, in Geopolitica del
L’Italia quindi non appena ha preso conoscenza di questa nuova minaccia si è impegnata fin da subito, insieme alle altre marine europee (perché lo ricordiamo, danneggiare le linee di collegamento economico e mercantile in mediterraneo non comporterebbe danni solo all’Italia), ad emanare una serie di provvedimenti normativi che dal 2011 circa hanno dato inizio ad una serie di operazioni per il contrasto attivo alla pirateria (vds. Operazione Atalanta).
Questa situazione ha costretto l’Europa a ridefinire in qualche modo i confini del Mediterraneo, non più considerabile ormai un mare chiuso ma un mare aperto e solcato da numerose nazioni. Nasce dunque la definizione di Mediterraneo Allargato che allarga i confini i suoi confini sul Golfo Persico, Mar Nero, Oceano Indiano e coste occidentali africane che insistono sul Golfo di Guinea. Un’area che quindi diviene geostrategicamente unitaria dal punto di vista della sicurezza marittima.
Dunque ad oggi non possiamo più definire il Mediterraneo come Mare Nostrum ma questo non toglie il fatto che, data la nuova connotazione geostrategica di questo specchio di mare, noi in primis dobbiamo tutelarlo in quanto noi in primis potremmo essere lo Stato che maggiormente ne beneficerà. Una grande minaccia è appunto l’immigrazione clandestina, che spinge molte delle rotte ad allungarsi ed ad aggirare il mediterraneo, questo ci crea un grande deficit economico, da qui infatti parte l’esigenza di dispiegamento di gran parte della flotta al Sud del Mediterraneo come deterrente e come contrasto al traffico illecito di esseri umani, per preservare il nostro approvvigionamento energetico e per non marginalizzare nuovamente il Mediterraneo.
Non a caso si parla di economia del mare (blue economy) in particolare in Italia, dove oltre il 54% del commercio estero (240 milioni di tonnellate) avviene via mare, a fronte del 15% che utilizza la modalità stradale. Siamo un’economia di trasformazione, grande importatrice di materie prime, soprattutto di prodotti energetici, in primis petrolio (la quasi totalità del petrolio importato dall’Italia utilizza la via marittima). Ma siamo anche un mercato che importa prodotti finiti (giocattoli, vestiti, computer e altro) e derrate alimentari: tutte merci che viaggiano sul mare. Limitando lo sguardo al traffico commerciale con i soli Paesi extra-Ue, ben l’85% delle merci arriva e parte utilizzando la grande via marittima. Degli oltre 90 miliardi di euro di merci importate nel 2016, oltre il 55% in valore e il 70% in peso viaggia via mare mentre, dei quasi 110 miliardi di merci esportate, circa il 45% in valore e l’85% in peso viaggia via mare. Dal lato dell’import il principale partner italiano si conferma la Cina con il 19% di merci in valore, seguita dagli Stati Uniti (10%) e dalla Russia (7%). Rispettivamente il 75%, il
40% e il 47% di tali importazioni avviene via mare. Dal lato delle esportazioni i partner economici più rilevanti sono gli Stati Uniti con il 20% delle merci in valore, seguiti da Svizzera (10%), Cina (6%) e Turchia (5%). Di queste, ad esclusione della Svizzera per ovvi motivi geografici, rispettivamente il 62%, 64% e 57% avviene via mare63.
Esce fuori come risultato che per poter proteggere il nostro sistema economico fondato sull’apertura delle frontiere e sulla libera circolazione delle merci in gran parte per via marittima, è fondamentale mantenere la stabilità e la pace delle relazioni internazionali. Inoltre il nostro traffico marittimo genera da solo circa il 3% del PIL. Questo è un dato fondamentale e che dovrebbe farci riflettere, dietro al traffico marittimo non c’è solo un enorme quantità di lavoratori ma ci sono rapporti nazionali e internazionali tra Stato e Industria navale, esportazione di nuovi progetti navali all’estero e allo stesso sponsorizzazione quindi dell’industria cantieristica nazionale, tutti questi sono fattori che influenzano in positivo la nostra economia.
Bisogna per tanto mantenere e garantire la sicurezza del nostro status politico e industriale all’estero tramite l’impiego di una rete diplomatica efficiente accanto alla quale si accompagna l’impegno profuso dal Ministero della Difesa per l’attuazione di operazioni atte al mantenimento della pace, oppure atte a contrastare la pirateria o per contenere i danni di calamità naturale che possono sempre accadere e infine operazioni di difesa da estendere ai nostri connazionali, ai nostri commerci e alla nostra sicurezza energetica, concetto strettamente connesso a quello di dipendenza energetica64.
Ricollegandoci al concetto di dipendenza energetica, per poi ovviamente ricollegarlo alla necessita di difendere i nostri confini economici sul mare, dobbiamo considerare che il 90% circa del gas utilizzato in Italia proviene dall’Estero grazie principalmente a quattro gasdotti internazionali e a tre rigassificatori che inseriscono il gas nella rete di distribuzione nazionale. Da quest’anno, tramite il gasdotto TAP, l’Italia importerà un volume complessivo di circa 8,8 miliardi di metri cubi annui di gas proveniente dall’Azerbaijan. Nonostante ciò resteranno comunque importanti e fondamentali dal punto di vista strategico le vie di fornitura provenienti da Russia e Algeria che
63Matteo Bressan: “Le capacità tecnologiche duali “preventive”: il valore delle competenze tecnologiche
sovrane derivanti dai processi di ricerca e sviluppo impiegati per la realizzazione di sistemi e piattaforme indispensabili all’assolvimento delle missioni della Difesa che, trovando una reciprocità di impiego anche nel campo delle tecnologie innovative nel mondo non militare, determinano un effetto volano a sostegno della crescita del Sistema Paese” pp.26.
64 Moretti C., La strategia energetica italiana – Gli interessi nazionali in materia di sicurezza energetica.
ultimamente hanno notevoli criticità dovute ad ovvi problemi legati alla geopolitica del momento. La stessa cosa avviene per il petrolio, che per la maggior parte importiamo dal Medio Oriente e si sta pensando in futuro di costruire un nuovo gasdotto per aumentare l’import.
Risulta quindi ovvio che un danneggiamento doloso di tali condotte configurerebbe un attentato alla sicurezza nazionale che dovrebbe essere contrastato dalla nostra Marina Militare proprio nell’ambito dei propri compiti d’istituto, come in effetti è già previsto65.
Partendo quindi da tutti questi dati ne consegue che è di fondamentale importanza per noi l’impegno profuso dalla Marina Militare nel controllare continuamente l’integrità delle nostre vie di commercio e dei nostri gasdotti. Se la Marina ma non solo, tutta l’organizzazione Difesa insieme, non fosse stata in grado di proiettare anche all’estero queste sue capacità ad oggi non avremmo preso il controllo di operazioni di
peacekeeping in zone per noi molto sensibili con risvolti evidenti e positivi sul piano
della politica estera.
Riassumendo quanto detto fin ora quindi, possiamo evidenziare come oramai il Mediterraneo sia soggetto di numerosi Stati che interagiscono tra loro proprio tramite le sue acque pur essendo questi lontani. La situazione geopolitica e strategica di oggi che riguarda quindi il Mediterraneo è ben cambiata da quella che è stata nelle due guerre mondiali e durante la Guerra Fredda. In quegli anni il Mediterraneo era sempre si un crocevia ma vi era comunque stabilità data dal forte contrasto posto in essere di due super potenze che in qualche modo gelarono le potenzialità di questo specchio di mare rendendolo soltanto strumento di sorveglianza e passaggio. Con la caduta dell’Unione Sovietica e con il progredire allo stesso tempo della tecnologia e con la nascita di nuovi patti e accordi internazionali, questo equilibrio cosiddetto bipolare dalla fine degli anni