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I modelli di misurazione della performance multidimensionali

1.5. L’evoluzione degli strumenti di controllo strategico

1.5.3. I modelli di misurazione della performance multidimensionali

A partire dall’inizio degli anni Ottanta gli approcci sopra citati vengono messi in discussione da modelli value driven derivati dalla teoria finanziaria, nei quali la valutazione si basa, da un lato, sull’analisi degli effetti che le strategie e le politiche inducono sul valore del capitale economico aziendale e in particolare sul valore per l’azionista, e dall’altro, sull’inserimento esplicito del rischio all’interno dei sistemi di calcolo. Il modello del value reporting154, segna virtualmente il

passaggio dai modelli value driven ai modelli di analisi strategica multidimensionale. Il modello del value reporting si propone di monitorare il soddisfacimento delle attese degli stakeholders (azionisti, clienti, lavoratori, fornitori e autorità pubbliche) mediante un insieme di indicatori di natura sia finanziaria che fisico-tecnica.

Il concetto su cui si basano tutti i modelli di controllo strategico è che le tradizionali analisi economico-finanziarie non siano adatte a comprendere “se”, “in quale misura” e “per quale motivo” si stia raggiungendo un obiettivo di

153 Lebas M., Managerial accounting in France: overview of past tradition and current practice, in

The European Accounting Review, Vol. 3, n. 3, 1994, pp. 471-487.

154 Wright D.P., Keegan D.P., Pursuing Value: trackingthe emrging art of reporting on the future, Price Waterhouse LLP, PW Papers, 1997.

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profittabilità stabile, di competitività o di capacità di cogliere le opportunità155.

Inoltre, la sempre maggiore influenza degli intangibles156 in azienda implica la

necessità di integrare le tradizionali misure economico-finanziarie con nuove misure in grado di misurare questo tipo di patrimonio intangibile dell’organizzazione157. Diversi autori si sono cimentati nella definizione di

modelli che integrano le classiche misure finanziarie con altre dimensioni di indagine, interne ed esterne158. Secondo il pensiero di Simons159, tutti questi

sistemi sono accomunati dall’essere diagnostici, ossia sono tesi a rilevare i “sintomi” di qualcosa che non va e spiegarne le cause.

Nei primi anni Novanta, quindi, il progressivo declino della pianificazione strategica porta alcuni Autori ad occuparsi di come collegare meglio la strategia ai risultati economico-finanziari e a sviluppare strumenti in grado di segnalare i cambiamenti delle variabili esterne ed interne e, allo stesso tempo, a fornire una misurazione multidimensionale dei risultati conseguiti attraverso l’implementazione della strategia. In questo periodo due contributi, più di altri,

155 Kaplan R. S. e Norton D. P., The Balanced Scorecard: Measures that Drive Performance, op.cit., 1992. Simons R., Levers of control. How managers use innovative control system to drive

strategic renewal, 1995.

156 Non esiste una definizione precisa per gli intagibles; il termine suggerisce l’elemento dell’immaterialità, dell’assenza di contatto diretto con l’oggetto, ma in letteratura sono riscontrabili diverse definizioni accumunate dall’idea che si configurino come risorse difficilmente acquisibili e replicabili, di norma realizzate nel tempo e difficili da acquistare esternamente con i soli mezzi finanziari. Si identificano in tutte quelle risorse basate sull’informazione, che differenziano l’impresa dalla concorrenza in quanto presentano il carattere di unicità. Per approfondimenti: Itami H., Le risorse invisibili, Petrini Editore, Torino, 1988; Vicari S., “Invisible asset” e comportamento incrementale, Finanza, Marketing e Produzione, n. 1, 1989, pp. 72-73. 157 In merito agli intagibles si veda anche Chiucchi M. S., Intangible Assets within the Value Creation Process: the Role and Contribution of Planning and Control Systems, in Conference

Proceedings-Vol I, Fifth International Seminar on Manufacturing Accounting Research, Pisa, 6-8 June 2000; Marasca S., Giuliani M., Il processo di valutazione degli intangibles: riflessioni

critiche su un caso aziendale in Comuzzi E., Marasca S., Olivotto L., Intangibles. Profili di

gestione e di misurazione, FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 183-204.

158 Lynch R.L., Cross K.F, Mesure up! How to measure corporate performance, Blackwell Business, New Jersey, 1991.

159 Simons R., Levers of control. How managers use innovative control system to drive strategic

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appaiono in grado di richiamare l’attenzione di accademici e manager. Il primo contributo è di McNair, Lynch e Cross160, i quali propongono un sistema di

reporting a vari livelli, chiamato Performance Pyramid (Fig. 1.5.). Questo modello, come il TBD, si basa sull’idea che le informazioni debbano essere declinate in maniera differente ai diversi livelli organizzativi: ai livelli più alti, misure sintetiche e, ai livelli inferiori, misure via via più dettagliate. Lynch e Cross partono dal presupposto che la soddisfazione del cliente (in primis), la flessibilità e la produttività rappresentino le principali dimensioni sulle quali le aziende di maggior successo (di produzione e di servizi) competono. Essi suggeriscono, inoltre, di impostare il sistema di misurazione partendo dai tre seguenti presupposti fondamentali:

− le attività devono essere collegate agli obiettivi strategici. In questo modo sarà possibile tradurre gli obiettivi finanziari e di mercato in concetti chiari e in misure operative concrete per ciascun reparto;

− le misure devono essere definite in modo tale da consentire, attraverso l’analisi delle stesse, il miglioramento dei processi aziendali e il raggiungimento degli obiettivi;

− le attività aziendali devono essere incentrate sulle esigenze dei clienti, attraverso una comunicazione da valle a monte dell’organizzazione.

Fig. 1.5. – La piramide della performance.

160 Lynch R., Cross K., Measure Up. Yardsticks for Continuous Improvement, Blackwell, 1991; Lynch R., Cross K., Migliorare la performance aziendale: Le nuove misure della soddisfazione

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Lynch R.L., Cross K.F, Mesure up! How to measure corporate performance, Blackwell Business, New Jersey, 1991.

Il modello è strutturato come una piramide a quattro livelli (di obiettivi e misure) e si propone il fine di collegare le azioni manageriali alla strategia d’impresa, identificando gli obiettivi strategici dall’alto verso il basso (sulla base delle priorità del cliente) e le connesse misure di performance dal basso verso l’alto. Il modello di misurazione così impostato è, dunque, in grado di evidenziare l’ambito di influenza dei responsabili dei diversi livelli dell’organizzazione sia in termini economico-finanziari, sia attraverso indicatori di natura diversa.

Il sistema delle misure muove dal basso verso l’alto con l’individuazione delle misure prima a livello operativo, poi di strategic business unit fino a quello

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aziendale. Questo circuito permette di individuare gli obiettivi con una logica top

down e il sistema delle misure, per la rilevazione del raggiungimento degli obiettivi e la valutazione della coerenza delle attività svolte con la strategia adottata, con una logica bottom up.

Nel dettaglio, a livello del top management viene individuata e definita la vision aziendale. Da essa si possono declinare obiettivi, a livello delle aree d’affari in cui l’impresa opera, di natura economico-finanziaria (ROI, ROE, flussi di liquidità, costo di prodotto, livello di indebitamento ecc.) e competitiva (quota di mercato assoluta e relativa, gradi di concentrazione, posizionamento ecc.). Il livello successivo è rappresentato da un insieme di processi inter funzionali che comprendono l’insieme delle attività, delle funzioni, delle politiche e delle procedure e dei sistemi di supporto che traducono in termini operativi una strategia e che coinvolgono la produzione e la fornitura del prodotto/servizio al cliente individuato. A questo livello vengono osservate le maggiori determinanti del successo competitivo dell’impresa mettendo in relazione i processi interni con le aspettative del mercato. Le variabili da monitorare, attraverso le quali devono essere bilanciati gli obiettivi dell’impresa, sono la soddisfazione dei clienti, la flessibilità e la produttività. Questi tre obiettivi sono strettamente collegati ai processi che si svolgono all’interno delle singole funzioni, descritte nel livello successivo: la soddisfazione del cliente è connessa con la qualità e i tempi di consegna; la produttività è riconducibile all’efficienza produttiva e ai tempi di ciclo e la flessibilità viene posta in relazione con tempi di consegna e tempi di ciclo.

Il modello della piramide della performance ricerca un raccordo tra strategia e risultati, identificando obiettivi e misure intermedie che esprimano la capacità dell’azienda di governare in modo efficiente ed efficace i processi produttivi e

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commerciali. Alcune misure esprimono l’efficacia esterna del sistema aziendale, mentre altre esprimono l’efficacia interna dei processi aziendali.

Il secondo contributo è quello offerto da Kaplan e Norton161, i quali introducono,

nell’ambito degli strumenti di management, un efficace supporto per il controllo strategico quale la Balanced Scorecard (BSC). L’analisi della letteratura in tema di BSC e delle caratteristiche dello strumento saranno oggetto di trattazione nel capitolo successivo.

161 Kaplan R.S. e Norton D.P., The Balanced Scorecard: Measures that Drive Performance,

CAPITOLO II

LA BALANCED SCORECARD