Capitolo 2 L’orizzonte della ricerca: la governance del modello di welfare toscano
2.1 I passi cruciali del laboratorio di welfare toscano 40
La Regione Toscana è indubbiamente tra le regioni più avanzate rispetto all’ordinamento dei servizi sociali e socio‐sanitari, al punto di essere considerata, come vedremo, un vero e proprio modello di welfare regionale.
Punto di partenza per sottolineare la sensibilità del legislatore regionale rispetto ad un sistema di welfare che sappia realmente soddisfare le esigenze dei cittadini toscani, è contenuto nella legge regionale del 3 ottobre 1997, n. 72, finalizzata alla “organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità”, anche mediante il “riordino dei servizi socio‐assistenziali e sociosanitari integrati”. Con tale legge, infatti, come previsto all'articolo 1, la Regione Toscana
39 Per un approfondimento sulla questione si veda, tra gli altri, il recente volume Campedelli, Carrozza,
Rossi (2009), (a cura di), Il nuovo welfare toscano: un modello? La sanità che cambia e le prospettive future, Il Mulino, Milano.
40 Prima di approfondire le motivazioni che in qualche modo sostengono la tesi condivisa da molti che la
proposta toscana di governance del welfare regionale possa essere conchiusa nella definizione di modello, voglio spendere in questa nota alcune parole per spiegare l’accento posto sul termine “laboratorio di welfare” utilizzato per indicare il paragrafo. Il termine “laboratorio” dà l’idea di un processo in fieri, di un luogo non conchiuso e stabile, all’interno del quale si sperimentano soluzioni, si cerca l’innovazione e che declinano tale spazio come un sistema assolutamente in mutamento. È In questo senso che mi sento legittimato nell’utilizzo di un’etichetta quale “laboratorio toscano di welfare”, che vive sia cambiamenti di cornice (in questo caso faccio riferimento i modo specifico al nuovo assetto organizzativo delle SdS) che l’ingresso di nuovi attori in campo, che impongono in un certo senso ad affrontare nuovi spazi e frontiere di sviluppo, tra le quali non possiamo dimenticare i professionisti che lavorano all’interno di questo modello di welfare (si pensi ad esempio alle nuove professionalità nel campo del sociale, figure emergenti che chiedono con forza momenti specifici di riflessione e di approfondimento).
intendeva “promuovere e coordinare gli interventi di politica sociale, anche con apposite reti di protezione sociale, attraverso la loro integrazione con quelli sanitari, come quelli relativi alla casa, al lavoro, alla mobilità, alla formazione, all'istruzione, all'educazione, al diritto allo studio, alla cultura, alla ricerca, al tempo libero e a tutti gli altri interventi finalizzati al benessere della persona ed alla prevenzione e rimozione delle condizioni di disagio sociale”. Anticipando la legge nazionale 328/2000, la legge 72 del 1997 si poneva come obiettivo primario la costruzione di un sistema integrato, capace di mettere al centro la famiglia come destinataria delle politiche di intervento pubbliche e di coinvolgere le organizzazioni del terzo settore soprattutto nella erogazione dei servizi, quale espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo sociale. La legge ha contribuito in modo rilevante, nel suo enfatizzare la programmazione come strumento essenziale per realizzare i processi di integrazione attraverso cui definire gli interventi e le risorse disponibili (Rossi 2009), alla realizzazione del “sistema integrato di interventi e servizi sociali” della prima legge organica nazionale sull'assistenza: la Legge 328/2000. La legge nazionale ha ripreso molti punti presentati dalla legge toscana, in primis il principio di fondo della necessaria integrazione, individuando i servizi sociali come “interventi per garantire la qualità della vita”, in linea di continuità evidente con la legge toscana. Altro aspetto che qui si vuol sottolineare per evidenziare la vicinanza delle due leggi, è costituito dalla valorizzazione del metodo della programmazione, con un coinvolgimento dei soggetti del terzo settore. A fronte di tale linea di continuità, una marcata differenza risiede, invece, nell'accoglimento da parte dell'intervento nazionale, del principio universalistico, che supera l'impostazione di tipo categoriale della legislazione regionale toscana, secondo la quale gli interventi socioassistenziali sono rivolti solo a coloro che “versino nelle condizioni di disagio e rischio sociale, di sofferenza e di emarginazione” (art. 3).
Dopo la riforma costituzionale del titolo V, realizzata con la legge costituzionale n. 3/2001, la Regione Toscana ha operato per ridefinire e ri‐organizzare la materia
dell'assistenza, attraverso la legge n. 41/2005 e la revisione della propria normativa in materia sanitaria con la legge n. 40 dello stesso anno. Tra gli elementi più significativi che concorrono ad identificare il sistema sociosanitario toscano quale modello, va sottolineato il tentativo di definire con chiarezza le responsabilità dei soggetti istituzionali nella programmazione e nell'organizzazione dei servizi ed il necessario coinvolgimento delle diverse espressioni del terzo settore non solo nella fase di erogazione delle prestazioni ma anche nella fase della progettazione, attraverso specifici strumenti istituzionalmente definiti. La legge 41, in particolare, contribuisce in modo forte a definire il modello di welfare verso cui la regione da anni si orienta, confermando la scelta di un modello di welfare municipale e di welfare mix.
Sempre nel 2005 la Regione Toscana ha avviato un percorso di sperimentazione mediante la realizzazione delle Società della Salute indicate per la prima volta nel Piano Sanitario Regionale 2002‐2004 e oggetto di sperimentazione secondo quanto previsto dal Piano Sanitario Regionale 2005‐2007. La Società della Salute si configura come un consorzio pubblico senza scopo di lucro i cui titolari sono le aziende sanitarie locali e i comuni, nasce con l'obiettivo di costituire un nuovo soggetto organizzativo a livello territoriale cui affidare la cura della salute intesa in senso più ampio, capace di valorizzare le espressioni delle comunità locali, delle parti sociali e del terzo settore nell'individuazione dei bisogni di salute e nel processo di pianificazione e di programmazione. L'elemento di maggiore novità è costituito dalla previsione di un Piano Integrato di Salute da realizzare in ogni Società della Salute nel quale definire profilo epidemiologico della comunità locale e obiettivi di salute e benessere con i relativi standard qualitativi e quantitativi, per poi individuare azioni, risorse (non solo finanziarie) e la rete dei servizi e degli interventi attivabili sul territorio.
Il passo più recente dal punto di vista legislativo è stata la legge toscana n. 60/2008, che in un certo senso chiude la sperimentazione avviata e realizzata con le Società della Salute dando un impulso forte al processo di integrazione sociosanitaria. La legge individua un unico strumento di programmazione di livello regionale, non si parlerà più
di programmazione sanitaria bensì di “programmazione sanitaria e sociale integrata». In questo modo il “Piano Sanitario e Sociale Integrato Regionale” diventa “l'atto unico di programmazione regionale che comprende l'assistenza sanitaria, sociale e sociosanitaria integrata”. Anche livello locale gli strumenti della programmazione zonale vengono sostituiti da un unico strumento, il Piano Integrato di Salute quale “strumento di programmazione integrata delle politiche sanitarie e sociali a livello di zona‐distretto”. Sempre questa legge, recependo gli esiti della sperimentazione, istituisce la Società della Salute quale “modalità organizzativa di un ambito territoriale di zona‐distretto costituita in forma di consorzio tra l'azienda sanitaria locale ed i comuni per l'esercizio associato delle attività sanitarie territoriali, sociosanitarie e sociali integrate”, proponendola come strumento per la realizzazione di quell’obiettivo che la Regione Toscana ha perseguito fin dal 1997, ovvero la maggiore integrazione tra l'assistenza sanitaria e quella sociale.
Il contesto di welfare della Regione Toscana, come si è cercato di dimostrare seppur per sommi capi, e come è facilmente intuibile, si trova oggi in una fase di profonda trasformazione. Questo porta con sé nuovi modi di guardare alla realtà sociale, nuovi modi di tradurre i bisogni dei territori, nuove conoscenze e competenze per dare risposta a tali esigenze. Anche per questi motivi affrontare nell’ambito toscano una riflessione sulle professioni sociali e sui lavoratori del comparto sociale più in generale, può diventare emblematico per l'intero panorama nazionale.