Capitolo 2 L’orizzonte della ricerca: la governance del modello di welfare toscano
2.4 Professioni e qualifiche previste dalla normativa regionale nell’ambito dei servizi sociali e sociosanitari
2.4.1 La normativa nazionale
Prima di addentrarsi nel quadro regionale delle professioni e delle qualifiche previste dalla normativa toscana nell’ambito dei servizi sociali e sociosanitari, si ritiene utile un breve accenno alla situazione normativa nazionale sulle professioni e più in generale sulle professionalità del sociale. Per questo possiamo partire dalla nota Legge quadro per la realizzazione dei sistema integrato di interventi e servizi sociali n. 328 del 2000 ha modificato l’assetto istituzionale in materia di politiche sociali, spostando la responsabilità della programmazione, del monitoraggio e della valutazione delle politiche sociali locali dallo Stato alle Regioni e Provincie Autonome.
In particolare, un aspetto importante della normativa in questione si riferisce alla programmazione e definizione dei profili professionali operanti nell’ambito sociale, con la conseguente elaborazione dei piani di studio della prima formazione e degli indirizzi per l’aggiornamento e la formazione continua per il personale già occupato. La programmazione dovrebbe coinvolgere direttamente le singole regioni o provincie autonome che si dovrebbero integrare con l’ambito sanitario, lavorativo e dell’educazione. Le singole regioni/provincie dovranno, quindi, secondo il dettato normativo, rispondere in maniera efficace ed efficiente ai bisogni e alla problematiche che emergono nel loro territorio attraverso l’organizzazione della rete dei servizi e l’erogazione delle prestazioni sociali.
Un altro elemento di forte innovazione della Legge quadro è l’introduzione del concetto di professione sociale e la conseguente definizione dei profili delle figure professionali sociali da riconoscere a livello nazionale. Il condizionale è, però,
d’obbligo: tale definizione è, infatti, stata rinviata ad un successivo provvedimento a tutt’oggi ancora non approvato. La riforma stabiliva, infatti, l’emanazione di un decreto da parte dal Ministero per la Solidarietà Sociale, del Ministero della Sanità e dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, d’intesa con la Conferenza unificata, che definisse i profili delle figure professionali di intervento, prevedendo, inoltre, un regolamento che determinasse: a) “le figure professionali di cui al comma 1 da formare con corsi di laurea di cui all’art. 6 del regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, adottato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n.509;
b) le figure professionali di cui al comma 1 da formare in corsi di formazione organizzati dalle regioni, nonché i criteri generali riguardanti i requisiti per l’accesso, la durata e l’ordinamento didattico dei medesimi corsi di formazione; c) i criteri per il riconoscimento e la equiparazione dei profili professionali esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge”. Successivamente a questa riforma, è intervenuta anche la modifica del Titolo V della Costituzione (L.C. n. 3/2001) che attribuisce alle Regioni il potere legislativo in materia di professioni sociali e lascia allo Stato la definizione dei livelli essenziali di formazione. Data la necessità di riordinare le figure professionali a livello nazionale è stata istituita nel 2002 la Commissione interministeriale per la definizione dei profili professionali per il sociale, le cui proposte non sono state successivamente trasformate in provvedimenti.
In accordo anche alle risultanze di diversi studi condotti sul tema delle professioni sociali di rilievo nazionale, le figure professionali attualmente riconosciute a livello nazionale sono distinguibili in tre differenti tipologie:
• una figura di base in cui si colloca l’Operatore socio‐sanitario (OSS), formalmente istituito con un accordo sancito dalla Conferenza Stato – Regioni tra il Ministro della Sanità, il Ministro della Solidarietà Sociale, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano in data 22 febbraio 2001. Tale provvedimento è stato poi recepito da ciascuna Regione con propri atti. Il profilo dell’OSS fa confluire, all’interno della stessa figura professionale, mansioni socio‐sanitarie e assistenziali.
• una figura intermedia in cui rientrano
- il Tecnico dei servizi sociali, figura individuata nell’ambito del decreto ministeriale della Pubblica Istruzione del 15/4/19946. Questa figura professionale svolge compiti di programmazione di interventi e gestione delle relazioni con utenti e operatori nell’ambito delle strutture sociali del territorio ma non è sempre di semplice collocazione nel sistema dei servizi sociali regionali
- i profili definiti su scala regionale tramite i corsi IFTS (che però stentano a decollare).
• le figure di livello universitario corrispondenti a:
- Assistente sociale, figura che ha ricevuto un riconoscimento giuridico solo tramite la riforma universitaria del 1999.
- Educatore professionale, il cui riconoscimento come figura professionale è sancito dal DM n. 520/1998.
- Psicologo, il cui ordinamento professionale è definito dalla legge n. 56/1989.
- Sociologo
I relativi canali dell’offerta formativa appartengono invece a tre macro‐sistemi: - al Sistema regionale della formazione professionale, a cui compete
anche generalmente la formazione degli operatori socio‐sanitari (OSS);
- al Sistema dell’istruzione:
o Istruzione secondaria tramite gli Istituti Professionali di Stato per i Servizi Sociali per conferire la qualifica di operatore dei servizi sociali (triennio) ed il diploma di tecnico dei servizi sociali (biennio ulteriore, successivo alla qualifica di operatore); Il possesso di questo diploma non identifica in senso stretto una figura professionale, in quanto né il comparto sociale né il comparto della sanità riconoscono sufficiente questa formazione per l’inquadramento nei servizi. Tuttavia, si evidenzia come sia stato possibile in passato e sia possibile ancora oggi avviare la nascita di una professione, partendo dal canale formativo, e come questo diventi un fattore di spinta per il riconoscimento (almeno in qualche regione);
o Istruzione e Formazione Tecnica Superiore che forma i profili definiti da ciascuna regione. Questo livello di formazione con il diploma tecnico superiore è relativamente nuovo e non ancora pienamente utilizzato; Il sistema scolastico ha introdotto recentemente un livello di formazione nuovo con il diploma tecnico
superiore (IFTS ‐ Istruzione Formazione Tecnico Superiore). In
campo sociale, questo può qualificare le figure professionali intermedie e i quadri, di cui si avverte notevole necessità nella organizzazione dei servizi. La domanda di competenze intermedie, formate in un canale post‐secondario e pre‐universitario, aveva dato luogo alla nascita di un canale formativo parallelo di cui sono un esempio significativo le scuole regionali per educatore e per animatore. Queste scuole non erano, però, riuscite a consolidare una figura di rilievo nazionale, in assenza del livello d’istruzione corrispondente nell’ordinamento scolastico nazionale. Oggi questo livello è definito nella formazione tecnica superiore. Viene così ad essere coperto un bisogno formativo evidenziato dal lato della domanda e una via praticabile per la definizione di un profilo di rilievo nazionale nell’area professionale intermedia.
- al Sistema Universitario, a cui compete la formazione degli assistenti sociali (classe di laurea L‐6 che verrà codificata in L‐39, LS 57 in LM‐ 87), degli educatori professionali (classe di laurea L‐18 in L‐19, LS 56 in LM‐50, LS 65 in LM 57 e LS 87 in LM‐85), degli psicologi (classe di laurea L‐34 in L‐24 e LS 58 in LM‐51) e dei sociologi (classe di laurea L‐ 36 in L‐40 e LS 89 in LM‐88), tramite percorsi di laurea triennale o specialistica.
Alla luce di queste considerazioni è possibile quindi distinguere gli operatori che sono impiegati nel sistema dei servizi sociali in queste categorie:
o Professioni con una disciplina comune a livello nazionale: - assistente sociale
- educatore professionale - operatore socio‐sanitario - psicologo
- sociologo
o Professioni presenti in buona parte del territorio nazionale, anche se potenzialmente variamente definite a livello locale e con denominazioni che possono anche variare a seconda del territorio, con curricola formativi ben definiti e discretamente omogenei: ‐ operatore tecnico dell’inserimento lavorativo ‐ assistente di base o simili ‐ animatore sociale ‐ mediatore interculturale o Professioni in fieri, presenti a macchia di leopardo sul territorio nazionale, con denominazioni che possono anche variare a seconda del territorio e curricola formativi di breve durata e non ancora particolarmente strutturati. È questo il caso dell’assistente familiare o più comunemente chiamata “badante”54. 54 Attorno al termine badante il dibattito è tuttora acceso. “Badante” è considerata un’etichetta in grado di depotenziare il valore dell’attività di cura e di chi la presta (Lagormarsino 2006). Il termine, secondo molti, ha una forte connotazione negativa, semplificante e stigmatizzante, è poco rispettoso per chi bada e per chi è badato (Santagati 2007). Secondo Santagati si tratterebbe di una traduzione sintetica che esprime “l’esigenza di circoscrivere una professione specifica di lavoratrici straniere, per le quali l’aspetto centrale della prestazione lavorativa riguarda l’assistenza alle persone” (2007: 83). Permane, inoltre l’accostamento tra “badante” e “donna straniera”: “donne straniere e lavoro è nell’opinione pubblica soprattutto sinonimo di badanti, collaboratrici domestiche, più raramente infermiere. Il lavoro di cura, nonostante la sua invisibilità, continua a restare il fulcro del rapporto fra immigrazione femminile e lavoro e a rappresentare il bacino occupazionale che accoglie il maggior numero di addette» (Dossier Caritas‐Migrantes 2009: 104).