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I principali impedimenti alla diffusione della partecipazione 109

Nel documento I futuri della città: la città solidale (pagine 110-116)

3.3 Opportunità e minacce all’approccio partecipativo 105 

3.3.2 I principali impedimenti alla diffusione della partecipazione 109

Nonostante la grande varietà di approcci e riflessioni teoriche in merito al tema della partecipazione, l’impegno nella pratica è ancora piuttosto limitato soprattutto in Italia, a causa dell’esistenza di alcuni impedimenti di svariata natura (politico-

110 strategica, tecnico-amministrativa, culturale), che si oppongono ad una più ampia diffusione di processi decisionali partecipativi.

Per quanto concerne gli aspetti politico-strategici, il primo importante ostacolo alla partecipazione è rappresentato dalla permanenza di un rifiuto in tal senso da parte di amministratori pubblici e politici, che spesso anche di fronte a domande esplicite di inclusione nel processo decisionale rispondono con comportamenti esclusivi. In questo caso «implicitamente il soggetto pubblico rivela la convinzione di detenere tutte le risorse chiave, progettuali, politiche e finanziarie necessarie per giungere in modo efficiente ad un’efficace conclusione del processo» (Ecosfera, 2001), rivendicando una capacità di rappresentazione dell’interesse collettivo e di mediazione tra questo e l’interesse privato. Il coinvolgimento nelle decisioni dei soggetti portatori di interessi locali viene concesso solo raramente, poiché manca la volontà di base di cedere una parte del potere politico alla comunità, requisito fondamentale di un processo partecipativo; e paradossalmente queste situazioni si manifestano molto spesso in condizioni di debolezza del settore pubblico, il quale, in considerazione delle grandi difficoltà contingenti, mira a concludere rapidamente il processo.

Un secondo impedimento riguarda la rilevante incapacità di definire adeguate politiche urbanistiche con valore strategico, quindi capaci di guardare ai progetti in termini di tessere che, combinate in un’ottica di lungo periodo, contribuiscano insieme a concretizzare il disegno-obiettivo generale. Da questa mancanza di capacità/volontà discende l’individuazione “chiusa” dell’ambito d’intervento, tralasciando aspetti importanti perché “esterni” e ponendo, in tal modo, seri limiti alla possibilità di progettare esperienze di coinvolgimento e dialogo reale.

Le difficoltà nella diffusione della partecipazione sono connesse anche al timore di un uso politico-strumentale della protesta che potrebbe scaturire dalla stessa. La cosiddetta “politicizzazione della protesta”, in genere, implica un automatico screditamento o comunque uno spostamento in sfere dialogiche diverse da quelle originarie, reprimendo ogni possibilità di negoziazione.

L’effettiva partecipazione dei cittadini è indissolubilmente connessa all’effettiva distribuzione di potere, in termini di possibilità di accesso alle informazioni, di ampliamento della sfera conoscitiva, di espressione e comunicazione delle proprie opinioni e di dialogo; il grado di queste possibilità, che dipende inizialmente dalle condizioni di partenza del soggetto e dalle caratteristiche del contesto, risulta accresciuto o diminuito in funzione dalle modalità di partecipazione che si scelgono, nonché dalle risorse che vengono messe in campo. Queste differenze in termini di potere del singolo individuo si aggiungono ad altre debolezze dal punto di vista

111 organizzativo e finanziario di associazioni e comitati rappresentativi, creando così un forte ostacolo all’attivazione di un adeguato processo inclusivo, anche quando il tessuto sociale è carico di istanze partecipative e volontà comunicative.

Per quanto concerne gli aspetti tecnico-amministrativi, in prima battuta è necessario sottolineare che, nonostante l’attuale quadro urbanistico normativo e procedurale non rappresenti quasi mai un reale ostacolo alla partecipazione, spesso i momenti di consultazione previsti non riescono a trasformarsi in reali occasioni di partecipazione. Inoltre, l’eccessivo ricorso a procedure molto formalistiche tende a strutturare il percorso decisionale in un insieme di procedure poco accessibili ai non esperti, avendo specifici tempi e criteri di valutazione dell’efficacia e dell’efficienza del processo e dei risultati; prevale, dunque, un approccio di tipo giuridico-normativo che vede spesso il prevalere degli aspetti di conformità procedurale su quelli legati al raggiungimento degli obiettivi. D’altra parte, è evidente che «la partecipazione si avvale di meccanismi non formalizzati che, sebbene fortemente strutturati, sono di fatto fuori da un’interpretazione convenzionale della prassi urbanistica ordinaria» (Ecosfera, 2001).

Inoltre, dal momento che l’attuazione di efficaci forme di pianificazione e progettazione partecipata richiede una forte capacità di strutturare e gestire i processi attraverso strategie, metodi e tecniche consolidati, un altro impedimento è legato alla mancanza di adeguate capacità in tal senso all’interno delle amministrazioni locali. L’inadeguatezza cui si fa riferimento riguarda, prevalentemente, una mancanza di competenze specifiche nella strutturazione di processi partecipati, una scarsa attenzione agli aspetti comunicativi e una rigida strutturazione di tipo verticale in settori di competenza.

Per quanto concerne gli aspetti culturali, le resistenze alla diffusione della partecipazione nei processi di governo del territorio sono numerose e difficili da superare, poiché prendono forma da «convinzioni radicate indifferentemente in tutti i settori della comunità e rimandano a considerazioni profonde sull’etica, razionalità, efficacia, efficienza dei processi di partecipazione» (Ecosfera, 2001). Il radicato principio della capacità del soggetto pubblico di operare massimizzando il benessere collettivo, infatti, costituisce un importante ostacolo all’ampliamento dell’arena decisionale, che istiga un dichiarato scetticismo verso i possibili miglioramenti derivanti da un siffatto processo inclusivo, nonché paure legate all’allungamento dei tempi decisionali, alla necessità di risorse aggiuntive e alla possibilità di modifiche negative attuate a favore di minoranze.

Uno degli ostacoli più rilevanti rimane, comunque, la generale sfiducia dei cittadini in una reale possibilità di modificare le decisioni - anche qualora

112 l’amministrazione pubblica promuova il coinvolgimento - spesso associata all’individualismo, che produce uno stimolo a partecipare solo quando viene toccato l’interesse personale.

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CAPITOLO 4

Un percorso partecipato per la definizione di adeguate politiche

urbane in contesti multiculturali

Come già sottolineato in precedenza, l’immagine della città contemporanea risulta inequivocabilmente segnata dai fenomeni migratori, che sono oggi diventati estremamente visibili nei contesti e negli spazi urbani delle città di maggiori dimensioni nonché dei paesi più piccoli, dando forma ad un variegato mosaico di minoranze. Il mosaico, simbolo della complessità contemporanea, è così composto da differenti tasselli, ognuno dei quali racchiude una forma unica e identitaria di costruzione dello spazio pubblico e privato, nonché di uso, formale e informale, degli spazi urbani.

Questo impone un ripensamento della fisionomia delle città in funzione di nuove esigenze, che sono innanzitutto quelle di integrazione sociale e di civile coesistenza tra le diverse etnie, oltre che le necessità specifiche a livello culturale e religioso, a livello sanitario e di informazione e assistenza, a livello ricreativo, etc. Tali esigenze specifiche implicano la richiesta di servizi specifici (come centri culturali, scuole, luoghi di socializzazione, luoghi religiosi), chiamando in causa urbanisti, sociologi, politici, giuristi ed economisti per riorganizzare le città in modo da garantire la massima accessibilità e fruibilità della stessa, senza peraltro trascurare le fondamentali esigenze di sicurezza sociale alla base di ogni sistema democratico, con l’obiettivo ultimo di concretizzare il passaggio dalla “città delle differenze” alla “città solidale”, che sia in grado di rappresentare le culture e i valori espressi dai diversi gruppi sociali, evitando che l’integrazione sociale diventi anche omologazione culturale.

D’altra parte, la soluzione dei problemi connessi all’immigrazione può divenire un fattore trainante e di sollecitazione per innescare processi virtuosi di trasformazione urbana, di entità e forme anche innovative; l’uso differenziato della città può, infatti, conferire nuovi significati ai luoghi urbani, restituendo valore a spazi che per le loro origini monofunzionali sono stati e sono spesso sottoutilizzati. Ma per innescare un siffatto percorso rigenerativo è indispensabile che si verifichino condizioni che assicurino la convergenza dei diversi portatori di interesse, il cui panorama dell’offerta risulti assai più ricco rispetto alla tradizionale ripartizione (prima

114 accoglienza, residenza provvisoria o di seconda accoglienza, residenza stabile). Difatti si richiede, ormai, di passare dalla semplice offerta di alloggio all’offerta di servizi sociali integrati, che richiedono la capacità di far seguire all’intervento sulle strutture la gestione delle stesse mediante azioni autoregolative degli immigrati.

Si tratta, dunque, di individuare e favorire un processo che indirizzi l’inserimento degli immigrati, i quali costituiscono un fattore di multiforme continuità, e al tempo stesso renda la città permeabile alle diverse utilizzazioni, arricchendola di spazi multiuso. In tal senso, il conseguimento della cosiddetta sostenibilità sociale58 deve procedere contestualmente a quello della sostenibilità ambientale ed economica, poiché «l’una non può essere raggiunta a spese delle altre» (Khan, 1995).

A tal proposito, è interessante porre l’accento sugli orientamenti definiti dalla

“Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili”, sottoscritta nel 2007 dai Ministri

degli Stati membri, che assume per la prima volta con forza e chiarezza la

sostenibilità e la qualità urbana come riferimenti per le politiche urbane europee.

Le caratteristiche di «qualità degli spazi pubblici, dei paesaggi urbani e dello

sviluppo architettonico» sono finalmente considerate non più complementi

eventuali o superflui, ma fattori decisivi «per le condizioni di vita delle

popolazioni urbane, per attrarre investimenti produttivi ad alto contenuto di know

how, risorse umane qualificate e creative, incrementare il turismo».

Ne deriva un’attività difficile e complessa, che richiede un immenso lavoro sociale, di interazione e comunicazione, di attivazione dei soggetti e degli attori, di mobilitazione delle energie, di strategie complesse di composizione degli interessi e delle azioni individuali e collettive, al fine di proporre soluzioni innovative a problemi difficilmente trattabili in termini di politiche urbane convenzionali. La stessa definizione dei problemi richiede un rapporto di prossimità con una molteplicità crescente di interessi e attori e, in particolare, con i destinatari finali delle politiche; la complessità delle scelte impone, inoltre, per ogni area importante delle

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La definizione più diffusa di sostenibilità, fornita nel 1987 dalla World Commission on Environment and Development, intende la stessa come un processo continuo che richiama la necessità di coniugare le tre dimensioni fondamentali e inscindibili dello sviluppo: Ambientale, Economica e Sociale.

Per sostenibilità ambientale si intende la capacità di valorizzare l’ambiente in quanto elemento distintivo del territorio, garantendo al contempo la tutela e il rinnovamento delle risorse naturali e del patrimonio. La sostenibilità economica può essere definita come la capacità di produrre e mantenere all’interno del territorio il massimo del valore aggiunto combinando efficacemente le risorse, al fine di valorizzare la specificità dei prodotti e dei servizi territoriali. La sostenibilità sociale indica la capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite per classi e per genere, quindi la capacità dei soggetti di intervenire insieme ed efficacemente, in base ad una stessa concezione del progetto, incoraggiata da una concertazione fra i vari livelli istituzionali.

115 politiche urbane, l’adozione di pratiche sperimentali, di innovazioni tecniche e procedurali, di progetti integrati e intersettoriali, di flessibilità normativa e gestionale.

Ecco, allora, che l’attenzione si sposta dal progetto degli “interventi” al progetto del percorso partecipativo.

Partendo da tali presupposti, di seguito sarà definito un modello procedurale a supporto della pianificazione partecipata in contesti multiculturali, con l’intento di individuare adeguate politiche urbane per l’inserimento e l’integrazione sociale e spaziale della componente immigrata all’interno del contesto urbano. L’iter procedurale definito è stato successivamente implementato all’interno di uno specifico contesto di riferimento, l’area del Crotonese, comprendente i Comuni di Crotone, Cirò Marina, Cutro, Isola Capo Rizzuto, Rocca di Neto e Strongoli.

4.1 Strutturazione di un modello procedurale a supporto della pianificazione

Nel documento I futuri della città: la città solidale (pagine 110-116)