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La nuova forma del piano 61

Nel documento I futuri della città: la città solidale (pagine 62-65)

2.1 L’evoluzione del piano urbanistico 58 

2.1.2 La nuova forma del piano 61

A partire dagli anni ‘70, diverse sono le sperimentazioni portate avanti con l’obiettivo di proporre una configurazione alternativa del piano, generate da una particolare attenzione verso temi di natura estremamente differenziata. In primo luogo, con l’obiettivo di ricercare un rapporto equilibrato tra crescita effettiva della popolazione e possibilità edificatorie, grande rilievo assume il dimensionamento del

62 piano, strettamente connesso al tema del recupero, rivolto prioritariamente a centri storici, ma anche a edifici particolarmente significativi ed aree dismesse. Allo stesso tempo, la dotazione di servizi e attrezzature pubbliche diviene una questione centrale, soprattutto a seguito del decreto sugli standard; così come la questione relativa all’ambiente, da considerare come elemento fondamentale sia nelle analisi sia nella definizione della qualità urbana24.

Un esempio particolarmente significativo è rappresentato dal Piano del centro storico di Venezia, avviato nel 1981, che definiva, per ciascun tipo edilizio, due elementi, ossia le trasformazioni fisiche consentite (che andavano generalmente nella direzione del ripristino degli elementi della tipologia storica originaria) e la gamma (generalmente molto larga) delle utilizzazioni compatibili con quel tipo, tali da non stravolgerne l’assetto fisico e funzionale. Il piano, inoltre, perimetrava le porzioni di città in cui poter/dover effettuare operazioni più consistenti, per le quali stabiliva le caratteristiche fisiche e funzionali da rispettare nella formazione dei piani urbanistici attuativi. Mentre queste scelte avevano carattere di permanenza nel tempo, in occasione di ogni mandato amministrativo si doveva, invece, decidere cosa rendere effettivamente esecutivo nel periodo successivo (destinazioni d’uso ammesse nelle diverse tipologie strutturali, specifiche trasformazioni da rendere obbligatorie nel periodo considerato, piani attuativi da redigere), tenendo conto delle condizioni sociali, delle possibilità economiche, degli indirizzi politici e delle disponibilità degli operatori (Salzano, 2003).

Questa esperienza vede la sua prosecuzione nella redazione del PRG del Comune di Carpi, nella preparazione di un disegno di legge urbanistica regionale dell’Emilia Romagna (1992) e nel progetto di riforma della legge urbanistica nazionale, presentata nel 1992 dall’Associazione Polis durante un convegno a Venezia (Scano, 1993).

Sulla scorta di queste esperienze, durante il Congresso dell’INU nel 1995, viene proposta una riforma del Piano Regolatore Generale, che prevede essenzialmente la scomposizione del processo di pianificazione comunale in due parti, una strutturale - non conformativa dei diritti proprietari e quindi solo configurativa del territorio, con validità a tempo indeterminato - e l’altra operativa/programmatica - conformativa della proprietà e prescrittiva, ma di durata temporale limitata (di solito cinque anni, tempo corrispondente ad un mandato amministrativo) - cui corrispondono due elaborati di natura differente: il primo, interpretando il territorio, definisce gli

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Alcuni piani si sono caratterizzati per la previsione di abbondanti aree a verde, nonché per l’introduzione di norme orientate alla ricerca dell’equilibrio ambientale, rappresentate da indici relativi alla permeabilità del suolo, alla previsione di quote di verde, al rispetto di parametri relativi alla qualità insediativa (rumore, esposizione, etc.).

63 obiettivi e le scelte strutturanti per il futuro assetto dello stesso; il secondo indica le trasformazioni urbanistiche da avviare nel relativo periodo di validità.

La parte strutturale del piano definisce, quindi, la scelte strategiche e le grandi opere, che richiedono diversi cicli amministrativi per una completa realizzazione, nonché le regole delle trasformazioni fisiche e la gamma delle utilizzazioni compatibili con le caratteristiche del territorio. In questo contesto, la parte programmatica prescrive, ogni quinquennio, le utilizzazioni e le trasformazioni fisiche obbligatorie, ossia le opere e gli interventi urbanistico-edilizi, che, selezionati tra quelli ammissibili, dovranno essere necessariamente realizzate (Salzano, 2003).

Ne deriva un profondo rinnovamento nella legislazione urbanistica regionale25, che, pur mancando un coordinamento nazionale in tal senso26, attribuisce alla pianificazione di livello comunale - e ai relativi elaborati - un carattere più articolato e complesso, con valore di sintesi di tutte le scelte di assetto del territorio. A tal proposito, l’art. 19 della legge n. 20/2000 dell’Emilia Romagna, recita:

«1. La pianificazione territoriale e urbanistica recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici ed ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi ovvero da previsioni legislative.

2. Quando la pianificazione urbanistica comunale abbia recepito e coordinato integralmente le prescrizioni ed i vincoli di cui al comma 1, essa costituisce la carta unica del territorio ed è l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni ed i vincoli sopravvenuti, anche ai fini dell’autorizzazione per la realizzazione, ampliamento, ristrutturazione o riconversione degli impianti produttivi, ai sensi del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447.»

Per come altresì evidenziato nell’Appendice I, le proposte normative maggiormente rilevanti risultano quelle della Toscana (legge n. 1/2005), dell’Umbria (legge n. 28/1995), della Liguria (legge n. 36/1997), della Basilicata (legge n. 23/1999), del Lazio (legge n. 38/1999), dell’Emilia Romagna (legge n. 20/2000) e della Calabria (legge 19/2002).

Entrando nel merito, la Toscana articola la pianificazione comunale in “piano strutturale”, con l’obiettivo di individuare e classificare le risorse territoriali e le

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Va sottolineato che, mentre fino all’inizio degli anni ‘90 le regioni legiferavano in genere nell’ambito del sistema della legge n. 1150/1942, la fase legislativa caratterizzata da innovazioni sostanziali ha inizio dopo l’entrata in vigore delle nuove norme sull’ordinamento degli enti locali (legge n. 142/1990).

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Questo provoca, tra le altre cose, alcuni problemi in termini di comprensione, da parte dei cittadini, italiani ed europei, i quali si trovano spesso di fronte a oggetti simili denominati in modo molto diverso.

64 scelte di portata sovracomunale, “regolamento urbanistico”, con potere di attribuzione di prescrizioni e valori agli immobili, e “programma integrato d’intervento”, con funzione programmatica e operativa; la Basilicata, l’Emilia Romagna e la Calabria articolano analogamente la pianificazione comunale in “piano strutturale comunale”, “piano operativo” e “regolamento urbanistico”; l’Umbria articola il piano comunale in una “parte strutturale”, che individua le specifiche vocazioni territoriali a livello di pianificazione generale in conformità con obiettivi e indirizzi urbanistici regionali e provinciali, e una “parte operativa”, che individua e disciplina le previsioni urbanistiche secondo modalità, forme e limiti stabiliti nella parte strutturale; la Liguria articola il piano urbanistico comunale in “descrizione fondativa”, “documento degli obiettivi”, “struttura del piano” e “norme di conformità e di congruenza”; infine, il Lazio articola il piano in “disposizioni strutturali” e “disposizioni programmatiche”. Come è evidente, alcune regioni prevedono per la componente strategica e per quella programmatoria più piani, tra loro connessi ma reciprocamente autonomi; altri invece articolano in più componenti un’unica fase pianificatoria generale.

Nel documento I futuri della città: la città solidale (pagine 62-65)