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I rapporti tra ordinamento nazionale ed ordinamento

La disciplina del lavoro sportivo risulta da una pluralità di fonti, eterogenee sia per il livello e ambito di applicazione (sovranazionali, internazionali, nazionali e locali) che per derivazione (legale, amministrativa, contrattuale collettiva, contrattuale individuale).

Ciò deriva, evidentemente, dalla circostanza che il contratto di lavoro sportivo si svolge e manifesta naturalmente i suoi effetti all'interno di diversi ordinamenti giuridici; dunque, occorre che esso si adegui, oltre che alle regole e ai principi dell'ordinamento sportivo, anche all'ordinamento giuridico del singolo Stato in cui viene di volta in volta stipulato, nonché alle regole dell'Unione Europea195.

Pertanto, il contratto di lavoro sportivo costituisce un caso emblematico di “categoria contrattuale comunitaria”, intendendosi per diritto contrattuale comunitario quel complesso di principi giuridici provenienti sia dalle norme del legislatore e decisioni dei giudici comunitari, sia dalle norme e dalle sentenze nazionali che hanno adeguato al diritto comunitario i propri diritti contrattuali196.

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Sostenuta, come abbiamo visto, principalmente da M. Sanino - F. Verde, Il diritto sportivo, op. cit., pp. 222 e ss. ; V. Frattarolo, Il rapporto di lavoro sportivo, op. cit., pp. 78 e ss. ; F. Galgano, La

compravendita dei calciatori, in Contratto e impresa, n. 1/2001, pp. 1 e ss. 195

Dobbiamo precisare che l'ordinamento sportivo può definirsi come un ordinamento giuridico di settore, il quale, anche se non dotato di sovranità, è caratterizzato da un'ampia sfera di autonomia; dunque, si tratta di un ordinamento non originario, ma derivato da quello statale, con il quale mantiene diversi elementi di collegamento. La sua caratteristica principale è quella di disciplinare la condotta dei soggetti che ne fanno parte. Ciò può avvenire, però, nei limiti consentiti dall'ordinamento giuridico statale e da quello comunitario, con la conseguenza che l'autonomia dell'ordinamento sportivo non può spingersi sino al punto di violare disposizioni comunitarie.

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Come affermato da G. Agrifoglio, Il contratto di lavoro sportivo punto d’incontro tra

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In particolare, gli interventi europei maggiormente incisivi nel mondo dello sport sono stati sinora quelli della Corte di Giustizia, protagonista principale del processo di armonizzazione europea, che, attraverso le sue decisioni, ha di volta in volta adeguato singoli aspetti del fenomeno sportivo alle esigenze del mercato comune.

Nel sistema comunitario il tema dello sport e dei suoi rapporti con le norme contenute nel Trattato CE è stato un settore per lungo tempo trascurato, dato che soltanto a partire dalla seconda metà degli anni novanta l’attività sportiva è stata inserita a pieno titolo nell'ambito dell'agenda politica comunitaria; infatti, sebbene le prime pronunce della Corte di Giustizia relative al tema dei rapporti tra lo sport e il diritto comunitario risalgano agli anni settanta197, per circa un ventennio il problema del se, ed eventualmente con quali limiti, fosse possibile assoggettare alle regole del Trattato CE le attività sportive è stato ampiamente sottovalutato.

E’ solo nel 1995, a seguito della sentenza Bosman, che lo sport irrompe prepotentemente sulla scena politico-giuridica comunitaria, guadagnando l'attenzione di giuristi, economisti, politici e giornalisti.

Inoltre, quello dello sport è un tema rispetto al quale, soprattutto agli inizi, le istituzioni comunitarie hanno manifestato un approccio settoriale, dando prevalentemente, se non esclusivamente, risalto alla sua dimensione economica, distinguendola da quella inerente all’esercizio dell’attività sportiva nella quale esse non avrebbero avuto alcuna competenza.

Soltanto dal 1° dicembre 2009, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'Unione Europea ha affermato esplicitamente la propria competenza a «promuovere i profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa, ed a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l'equità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi»198.

Prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dunque, l'Unione Europea si è ben guardata dall'affrontare direttamente i profili non

197 In tal senso confronta Corte di Giustizia, 12 dicembre 1974, Walrave, causa 35/75, in Foro it.,

1975, IV, 81 ; Corte di Giustizia, 14 luglio 1976, Donà, causa 13/76, in Foro it., 1976, IV, 25.

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strettamente economici dello sport; l'approccio dell'Unione è stato piuttosto settoriale ed “economicamente orientato”, nel senso che i giudici comunitari sono stati chiamati a valutare soltanto la compatibilità di singole disposizioni dell’ordinamento sportivo con determinati articoli del Trattato che tutelavano valori economici come, ad esempio, la libertà di circolazione dei lavoratori sportivi.

Al riguardo occorre precisare che la distinzione tra “regole economiche sportive” (come tali interamente assoggettabili ed assoggettate al diritto comunitario) e “regole meramente sportive” (sottratte al diritto comunitario) è non soltanto labile, ma anche in continua evoluzione199. Sulla scorta di tale dicotomia, infatti, la Corte di Giustizia200 ha dichiarato da un lato assoggettabili al diritto comunitario regole, quali quella relativa al numero di giocatori stranieri che ciascuna squadra può schierare nel corso di una partita tra club, e, dall'altro lato, non assoggettabili al diritto comunitario regole quali quella relativa alla selezione degli atleti, oppure quella relativa alla nazionalità degli sportivi da schierare nelle rappresentative nazionali; in relazione a queste seconde regole si è parlato di una sorta di “sporting exception”, vale a dire di un esonero, o esenzione dall’obbligo di rispettare la Carta europea o, eventualmente, il diritto statale201.

Infatti, secondo la cosiddetta “sporting exception”, che ha avuto la massima diffusione negli ultimi anni negli interventi della giurisprudenza comunitaria, sarebbero sottratte dal rispetto del diritto comunitario tutte le regole puramente sportive, non aventi alcun connotato economico. Per una parte della dottrina202 non può essere riconosciuto spazio a tale “eccezione sportiva”, in quanto l’unico settore in cui lo sport può opporre giustificata resistenza all’influenza del diritto comunitario o statale è quello strettamente tecnico delle regole poste a base delle singole attività sportive, come ad esempio lo stabilire quale comportamento costituisca fallo di gioco, come esso debba essere sanzionato, o quale debba essere la

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Come affermato da G. Agrifoglio, Il contratto di lavoro sportivo punto d’incontro tra

ordinamenti, op. cit., p. 257.

200 Vedi Corte di Giustizia, sez. III, 18 luglio 2006, n. 519, in Guida al diritto, 2006, 36. 201

Come affermato da G. Agrifoglio, Il contratto di lavoro sportivo punto d’incontro tra

ordinamenti, op. cit., p. 257.

202 Si fa riferimento a V. Vigoriti, Problemi di diritto comunitario e sport: applicabilità, eccezione sportiva, trasferimenti, nazionalità, in Nuova giur. civ. comm., n. 6/2002, pp. 628 e ss.

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durata di una gara; ma, al di là di questo, per questa parte di dottrina nessuna esenzione può essere configurabile, dovendosi ritenere decisivo il carattere economico dell’attività svolta.

4.2.1) La sentenza Bosman

La soggezione delle attività sportive al diritto comunitario ha avuto, e continua ad avere a livello europeo e nazionale nei singoli Stati membri dell’Unione, una serie di conseguenze di grandissimo rilievo.

La prima di queste è l’estensione ai lavoratori sportivi del diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione Europea203; trattasi di un diritto individuale fondamentale, il cui esercizio non può essere ostacolato da norme che subordinino ad elementi esterni la possibilità di esercitare liberamente un’attività lavorativa subordinata.

Il secondo profilo concerne la validità, alla luce del diritto comunitario, delle norme che subordinano il passaggio dei calciatori da una squadra all’altra al pagamento, da parte del cessionario, di un’indennità di trasferimento al cedente; la materia è tormentata, in quanto si contrappongono interessi economici consistenti ed esigenze meritevoli di tutela, il contemperamento delle quali non è agevole.

La terza conseguenza è quella relativa alla libera prestazione dei servizi; se l’attività sportiva ha rilevanza economica, devono ritenersi illegittime le restrizioni alla libera prestazione di servizi retribuiti all’interno dell’Unione Europea.

Infine, la soggezione delle attività sportive al diritto comunitario ha portato al divieto di discriminazione degli atleti in base alla cittadinanza, in quanto tutti i Paesi riconoscono ed attuano il principio che vieta la discriminazione

203 Come affermato dall’articolo 45 del TFUE, in base al quale: “La libera circolazione dei

lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto: a) di rispondere a offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali; d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego. Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione”.

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per motivi di razza, colore, sesso, opinione, lingua o religione; si tratta di una scelta fondamentale, di cui l’ordinamento sportivo risulta essere partecipe204.

Sui profili che abbiamo appena elencato è intervenuta la sentenza Bosman205, che ha radicalmente rivoluzionato il mondo calcistico e sportivo in generale; infatti, come vedremo, a seguito di tale sentenza gli organi sportivi del calcio mondiale sono stati costretti a modificare i propri regolamenti e a prendere finalmente atto del primato del diritto comunitario sulla normativa nazionale206.

Al fine di analizzare nel dettaglio la citata decisione, appare opportuno ricostruire la vicenda che ha provocato l’intervento della Corte.

Il giocatore professionista belga Jean Marc Bosman aveva svolto la sua attività sportiva presso la società belga RC Liegi dal 1988, come previsto da un contratto valido fino al 30 giugno 1990, percependo una retribuzione mensile di 120.000 franchi belgi, compresi i premi ed altri emolumenti; il 21 aprile 1990, il club belga aveva proposto un nuovo contratto al calciatore di durata annuale con una retribuzione mensile di 30.000 franchi belgi, di gran lunga inferiore a quella precedentemente percepita da Bosman e coincidente con il minimo previsto dal regolamento federale della Federazione belga di calcio; il giocatore belga, ritenendo troppo bassa la retribuzione, aveva rifiutato il contratto; pertanto, esso veniva inserito dalla RC Liegi nell’elenco dei calciatori cedibili.

Successivamente, Bosman era entrato in contatto con la società calcistica francese Dunkerque, ed aveva stipulato con essa un contratto annuale il 27 luglio 1990, stabilendo una retribuzione di 90.000 franchi mensili; in base a tale contratto, la società francese si impegnava a versare un’indennità di 1.200.000 franchi belgi successivamente al ricevimento, da parte della Federazione francese di calcio, del certificato di trasferimento, che avrebbe dovuto essere rilasciato dalla Federazione belga entro il 2 agosto.

La RC Liegi, nutrendo dubbi sulla solvibilità del Dunkerque, omise di richiedere alla sua federazione la trasmissione dell’indicato certificato; in

204 Su tutte le conseguenze generate dalla soggezione delle attività sportive al diritto comunitario

vedi V. Vigoriti, Problemi di diritto comunitario e sport, op. cit., pp. 631 e ss.

205 Corte di Giustizia CE, 15 dicembre 1995, op. cit.

206 Come affermato da M. Castellaneta, La libera circolazione degli sportivi dopo la sentenza Bosman, in Il lavoro nella giurispr., n. 8/1996, p. 636.

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altri termini, risultava impossibile perfezionare il contratto, e, per questo motivo, sin dal 31 luglio 1990, la RC Liegi dispose la sospensione del calciatore, impedendogli di giocare durante il successivo campionato207. Ne nasceva un contenzioso con la RC Liegi, caratterizzato dall’iniziativa di Bosman che adiva la Corte d’Appello di Liegi al fine di far accertare in via giudiziaria l’incompatibilità con il Trattato CEE208 della normativa U.E.F.A., nella parte in cui prevedeva un sistema di pagamento di un’indennità nel caso di cessione di un calciatore il cui contratto fosse giunto a scadenza, nonché nella parte in cui, discriminando fra i calciatori di altri Stati membri dell’Unione, non consentiva una libera circolazione dei giocatori comunitari nei campionati di calcio nazionali209.

La risposta della Corte di Giustizia della Comunità Europea del 15 dicembre 1995 è, ormai, nota: accogliendo il ricorso del calciatore, la Corte dichiara incompatibili con l’articolo 48 del Trattato CEE sia le norme che, in caso di trasferimento di un calciatore professionista in scadenza di contratto da una società di uno Stato membro, subordinano detto trasferimento al pagamento, da parte della società acquirente, della cosiddetta indennità di trasferimento210, sia le norme che limitano il numero di calciatori stranieri, cittadini di Stati membri dell’Unione Europea, che ciascuna squadra può impiegare nelle competizioni sportive211.

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La ricostruzione dell’intera vicenda relativa alla sentenza Bosman è ricavata da M. Castellaneta, La libera circolazione degli sportivi dopo la sentenza Bosman, op. cit., pp. 633 e ss.

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Ad oggi, a seguito del Trattato di Lisbona del 2009, denominato TFUE.

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Nello specifico il calciatore belga chiedeva, in sostanza, che: fosse inibito alla RC Liegi, alla Federazione belga, e alla U.E.F.A. di frapporre ostacoli alla sua libertà di concludere contratti con una nuova società; che la RC Liegi, la Federazione belga e la U.E.F.A. fossero condannati ad un cospicuo risarcimento danni; che le disposizioni della Federazione belga e della U.E.F.A. relative agli “stranieri” venissero dichiarate non applicabili al suo caso; infine, che fosse richiesta alla Corte di Giustizia una pronuncia pregiudiziale necessaria ad accertare la corretta interpretazione delle norme comunitarie applicabili al caso di specie.

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La sentenza Bosman contiene, però, limiti ben precisi; non sono incompatibili con l'articolo 48 del Trattato tutte le «indennità di trasferimento, di formazione o di promozione» da corrispondere in ragione del trasferimento di un calciatore da una squadra ad un'altra, ma solamente quelle: conseguenti al trasferimento del calciatore da una squadra militante nell'ambito di uno Stato membro dell'Unione Europea a quella di un altro Stato membro; che vengano pretese «alla scadenza del contratto che vincola il calciatore ad una società»; che coinvolgono il trasferimento di un calciatore professionista.

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A partire dalla sentenza Bosman, infatti, non ci sono più distinzioni nel tesseramento fra giocatori nazionali e stranieri; l’unica differenza è quella fra calciatori che hanno un passaporto comunitario e quelli che non lo hanno; infatti, in questa famosa sentenza della Corte di Giustizia Europea, la limitazione per l’ingresso di calciatori stranieri, se in possesso di passaporto comunitario, è stata inquadrata come un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dello spazio europeo (con la conseguenza che le federazioni, che giustificavano la limitazione

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Quindi, tale sentenza è andata ad interferire sull’indennità di preparazione e sui limiti posti alla partecipazione di giocatori stranieri comunitari nelle competizioni sportive.

Le questioni sottoposte al vaglio della Corte facevano riferimento non solo all’articolo 48, su cui la Corte si è espressa, ma anche sugli articoli 85 e 86 del Trattato CEE; il riferimento a questi articoli era giustificato dal fatto che le norme federali che ponevano limiti alla circolazione dei calciatori andavano di fatto ad incidere sul mercato calcistico e, in particolare, sulla libertà degli scambi, con conseguente violazione dei principi sulla concorrenza fissati dai suddetti articoli 85 ed 86.

I giudici, una volta accertato il contrasto delle normative denunciate con l’articolo 48, non hanno però ritenuto necessario affrontare il problema della legittimità delle norme in questione riguardanti il problema del diritto alla concorrenza, sottraendo così ai principi di diritto enunciati tutti quei trasferimenti di calciatori aventi carattere interno, rendendo necessaria una “rivisitazione” futura della pronuncia.

La vicenda Bosman ha avuto conseguenze tanto per lo sport professionistico quanto per quello non professionistico; tale sentenza, infatti, non ha riguardato solo gli sport di squadra nel settore professionistico, ma qualsiasi altro sport dove un atleta percepisca una, per quanto minima, somma di denaro212.

E’ indubbio che la sentenza Bosman ha aperto la strada ad una intromissione comunitaria nello sport tramite il pretesto della valenza economica del fenomeno sportivo, creando il rischio concreto che vi siano in futuro ulteriori interventi giudiziari in forza dei quali si porrà l’esigenza di un coordinamento tra diritto comunitario e norme sportive213.

La sentenza Bosman, pur avendo avuto il merito di attuare i principi cui si ispira la politica comunitaria in ambito sportivo, non ha, però, tenuto conto degli aspetti peculiari della realtà del mondo sportivo e del fatto che, in questo settore, l’applicazione integrale delle norme che affermano i suddetti principi avrebbe potuto comportare conseguenze negative.

degli stranieri nei propri campionati con la necessità di proteggere i vivai e le rappresentative nazionali, hanno provveduto ad alzare le “barriere” nei confronti di coloro che non avevano questo diritto di lavorare ovunque, ovvero gli extracomunitari).

212 Secondo il diritto comunitario, infatti, è lavoratore chiunque percepisca un corrispettivo per

un’attività svolta.

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Infatti, un indiscriminato afflusso ed impiego di giocatori stranieri nelle squadre di club andrebbe a compromettere i settori giovanili che hanno il compito di preparare i calciatori per le grandi competizioni; inoltre, l’azzeramento immediato dell’indennizzo, senza la previsione di un periodo transitorio o di un limite di tempo oltre il quale mantenerlo, risulterebbe essere negativo per i bilanci delle società sportive.

Sotto il primo profilo, adattare il dettato delle regole comunitarie anche alla disciplina sportiva andrebbe contro l’interesse promozionale ed economico collegato alla cura dei vivai; infatti, sarebbe destinato a diminuire l’interesse dei club professionistici a proseguire nell’impiego di risorse per i settori giovanili a causa di un’invasione indiscriminata di calciatori stranieri, la quale chiuderebbe a molti promettenti giovani la strada del professionismo; poche società sportive, infatti, saranno disponibili ad investire sui vivai, con la prospettiva di perdere, senza alcun indennizzo, i propri atleti a seguito di un loro trasferimento ad altre società214.

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