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La ceramica: note sul materiale

2.2. Tecnologia ceramica

2.3.2. I rivestimenti vetrosi

Questa tipologia di rivestimento può essere trasparente (invetriatura) od opaca (smalto), ma è comunque caratterizzata da particolari proprietà di brillantezza e impermeabilità. Un esempio di questi manufatti è mostrato in figura 2.12.

L’ingrediente principale di questi rivestimenti è costituito dal quarzo, facilmente reperibile nelle sabbie, il quale per fondere ha bisogno di sostanze particolari,

Figura 2.11. Esempio di ceramica a vernice rossa. Coppa in terra sigillata, decorata a matrice, prodotta nell’officina di Secundus a La Graufesenque (Millau, Aveyron, Francia; 40-85 d.C. circa).

Studio archeometrico di ceramiche 32 dette fondenti, che abbassano il suo punto di fusione (pari a 1475°C) a temperature più facilmente raggiungibili dall’artigiano: queste sostanze sono costituite da ossidi di piombo, alcali (quali Na2O o K2O) oppure da borati. La struttura vetrosa era inoltre stabilizzata con l’aggiunta di minerali ricchi in calcio (calcare) e alluminio (feldspati).

Le cosiddette vetrine o invetriature sono caratterizzata dalla trasparenza e possono essere applicate direttamente sul corpo ceramico oppure su uno strato di ingobbio: i manufatti invetriati potevano quindi essere sottoposti a una monocottura oppure a una doppia cottura, tecnica questa che distingue le invetriate basso medievali da quelle altomedievali.

Nei tempi antichi le vetrine erano generalmente piombifere o alcaline, trasparenti oppure pigmentate: la loro funzione, oltre a essere quella di impermeabilizzare i manufatti, era anche estetica dal momento che questo rivestimento lucido assimilava le ceramiche ai più preziosi vasi metallici.

I rivestimenti vetrosi potevano essere anche di natura opaca: in questo caso si parla di smalti stanniferi, dove lo stagno aveva appunto la funzione di opa-cizzante. Per quanto riguarda la produzione di questa tipologia di rivestimento, che gene-ralmente era applicata sul corpo ceramico già sottoposto ad una prima cottura (biscotto) e che poteva essere ulteriormente sovrastato da una vetrina

Figura 2.12. Esempi di ceramica invetriata e smaltata. a) Brocca e brocchetta invetriate provenienti dal Foro Romano (rispettivamente: fine IX - inizi X secolo; IX secolo); b) Boccale in maiolica rinascimentale col motivo della “bella donna".

Studio archeometrico di ceramiche 33 trasparente detta coperta, è possibile fare riferimento alle ricette riportate sui testi antichi. Tra di essi di fondamentale importanza sono il trattato di Cipriano Piccolpasso, I tre libri dell'arte del vasajo (1548), e un documento riscoperto recentemente, il codice numero 473 della Wellcome Library di Londra, anche detto Codice Calabranci (Berti, 2003). In particolare, il Piccolpasso dedica il secondo libro del suo trattato proprio alla spiegazione dei metodi di produzione e di decorazione di questa tipologia di rivestimento.

Il primo riferimento affrontato nel libro è quello relativo al modo di bruciare la feccia di vino: raccolta nei mesi di novembre e dicembre, quindi quelli successivi alla vendemmia, essa veniva ridotta in pani, fatta ben asciugare e quindi bruciata all’aria aperta, in modo tale da lasciare ceneri ricche in potassio. Per feccia bruciata, egli spiega, si intende quella di colore bianco, che quindi veniva poi conservata all’interno di vasi in legno.

Il marzacotto era ottenuto mescolando sabbia silicea e feccia in varie proporzioni (circa 3:1), a cui poteva essere aggiunta anche una piccola percentuale di sale marino, sottoponendo la miscela a un processo di fusione e pestando e macinando il composto risultante.

Il cosiddetto bianchetto era ottenuto fondendo lo stagno e battendolo con un pestello di legno, mentre il calcino o stagnio accordato era ottenuto calcinando stagno (20%) e piombo (80%). Lo smalto vero e proprio si otteneva dunque aggiungendo il calcino al marzacotto e fondendo il tutto in un crogiolo: il piombo svolgeva un’azione fondente, mentre lo stagno era l'opacizzante. Macinato finemente e posto in sospensione acquosa, lo smalto era quindi applicato sul biscotto per immersione, aspersione o a pennello.

Altre ricette per ottenere smalti e coperte sono contenute nel codice Wellcome 473, un manoscritto composto tra il 1636 e il 1674 da Dionigi Marmi, ceramista di Montelupo, il quale, in quel periodo, venne in possesso di un manoscritto più

Studio archeometrico di ceramiche 34 antico, databile tra il 1466 e il 1526, appartenuto alla famiglia Calabranci, nota dinastia di ceramisti della città di Montelupo. Il Marmi decise così di copiarne il testo, mantenendone comunque la struttura pur aggiungendo alcune ricette in suo possesso. Nella prima parte del primo libro egli elenca una serie di 20 ricette per la produzione di marzacotti e coperte: tra gli ingredienti variamente miscelati troviamo pietra pesta, sale chommune, alume di feccia, stagnio e ghetta (piombo calcinato).

2.4. Le decorazioni

Un'ultima serie di considerazioni va infine riservata alla decorazione dei manufatti ceramici, seppure spesso non vi sia una linea di confine netta tra la funzione di rivestimento e quella di decorazione dei materiali. A titolo di esempio si pensi al caolino, un’argilla di colore bianco che può essere impiegata per entrambi gli scopi.

Per quanto concerne le decorazioni della ceramica, in genere, si distinguono due diverse tecniche esecutive, sulla base della modalità e dei materiali con cui i pigmenti sono applicati e fissati sul supporto.

In un primo caso, le decorazioni possono essere applicate a freddo su un manufatto già cotto (post-firing decoration) e i pigmenti sono generalmente miscelati a un legante organico o inorganico. Un indicatore di questo tipo di cottura è la presenza di pigmenti sensibili al calore, che cambiano cioè la loro struttura se sottoposti ad alte temperature. Un esempio di questa tecnica decorativa può essere riscontrato sin dall’antichità, giacché una particolare varietà cromatica è riscontrabile nella tradizione ceramica dell’antico Egitto.

Per quanto riguarda le decorazioni ottenute a caldo, esse rappresentano una evoluzione delle capacità tecniche dei ceramisti, in quanto per la loro realizzazione essi dovevano considerare un fattore aggiuntivo, cioè il cambiamento di colore dei pigmenti durante la cottura. In questo caso, i pigmenti sono applicati sul supporto

Studio archeometrico di ceramiche 35 essiccato all’aria, o che ha subito una prima cottura, e cotti a loro volta. Quando ciò avviene le stesure pittoriche sono saldamente fissate al supporto e mostrano una certa continuità strutturale con esso, mentre i pigmenti possono trasformarsi o anche formarsi in fase di cottura, perfino modificando la loro colorazione.

Una gamma cromatica estesa in questo caso è evidenziabile soltanto a partire dalla diffusione delle maioliche, quindi degli smalti stanniferi utilizzati con funzione di rivestimento.

Anche in questo caso numerose informazioni sono tramandate dai testi antichi: sia il Piccolpasso che il Codice Calabranci (Libro I, parte II) riportano infatti numerose ricette per ottenere i colori utilizzati nella decorazione delle maioliche rinascimentali, le quali potevano subire delle variazioni a seconda del centro produttivo. Tra gli ingredienti più comuni si annoverano la ramina a base di rame, la ferraccia a base di ossidi di ferro, l’ antimonia e la zaffera contenente cobalto.