Fondatrice e co-direttrice di IDRInstitute-Intercultural Development In- stitute (Europa e USA). Ricercatrice confermata, è docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Sociolo- gia e Ricerca Sociale dell’Università Milano-Bicocca. È stata consu- lente di molte imprese italiane e internazionali sui temi delle relazioni interculturali, è attiva nella formazione dei servizi e delle agenzie non profit. Ha collaborato nella progettazione e nella formazione delle com- ponenti interculturali di progetti EU di scambi internazionali, di que- stioni di genere e di relazioni con minoranze. Lavora da molti anni sulla dimensione corporea dell’esperienza culturale che condivide attraverso seminari incentrati sulla teoria nella pratica. È autrice di articoli e di due testi in italiano.
L’esperienza della cultura è incorporata, a prescindere da quale sia la condizione del nostro corpo. Gli essere umani, non avendo un sistema percettivo specializzato possono vivere in qualsiasi ambiente, al contra- rio degli animali liberi che vivono quasi esclusivamente in un ambiente. Gli individui quindi costruiscono il mondo in cui vivono, creano una cultura. Organizzano le relazioni sociali tra esseri umani e tra essi e la natura attraverso un processo che è ancora primariamente fisico. Il si- gnificato attribuito a questi processi è condiviso dalle persone che orga- nizzano le percezioni in maniera simile che tendono a creare gruppi di identità, e quindi gruppi culturali. Ecco perché gli individui viaggiano per esperire un’altra cultura, per farne esperienza sul corpo. Il semina- rio esplorerà come l’interazione con la tecnologia sta potenzialmente cambiando l’esperienza che facciamo durante un viaggio e più specifi- catamente durante uno scambio con un obiettivo di apprendimento in- terculturale. Gli interventi a supporto di questo tipo di apprendimento stanno considerando ancora troppo poco l’impatto del tempo e della traslazione spaziale offerta dai social network e da altre opportunità mediatiche che erodono il tempo fisico dell’interazione e della riflessio- ne individuale. Attraverso la presentazione di dati, la discussione con i partecipanti e alcuni esercizi sensoriali, il seminario intende aprire un dialogo sulla possibilità 1)di usare intenzionalmente questa condizio- Abstract:
ne di “dentro e fuori” dalla realtà virtuale a quella fisica per lavorare sulla capacità parallela di “cultural shifting”; 2)di includere approcci a supporto dell’apprendimento interculturale che coinvolgano maggior- mente la consapevolezza corporea e “l’esperienza di sé all’interno di un contesto culturale”
In termini sociologici, il concetto di cronofagia si riferisce alla con- trazione di tempo (e spazio) nel nostro mondo globalizzato e ai suoi effetti sulla vita quotidiana, in particolare si intendono considerare le conseguenze di questi processi sull’esperienza fisica della realtà: l’esperienza incorporata. Molti studiosi concordano nel ritenere che l’accelerazione del tempo sociale e la riduzione di barriere spaziali siano tratti caratterizzanti dell’epoca industriale e post-industriale. All’interno di questo corso storico, tuttavia, sembra che ci siano mo- menti in cui la contrazione del tempo e dello spazio abbia determi- nato una rottura con equilibri precedenti a causa dell’intensità dei cambiamenti (Paolucci, 2003). Harvey (1989) utilizza il concetto di compressione spazio-tempo per parlare di un processo che forza gli esseri umani a modificare i modi di rappresentazione del mondo. La modalità con cui ciò avviene dipende da come gli individui reagisco- no a questo fenomeno in base allo status di appartenenza, al luogo di provenienza, al possesso di capitale economico e culturale, e ancora a molti altri fattori. Senza dubbio, la diffusione di mezzi di comuni- cazione sempre più complessi rappresenta uno di quei processi ultra compressi e molto intensi che segneranno il modo in cui continuere- mo a vivere e a pensare.
Molti filosofi hanno riflettuto sul fatto che gli esseri umani siano nulla senza la Techné, da Platone a Tommaso d’Aquino, da Kant, a Herder e Schopenauer. Per Techné intendiamo l’universo dei mezzi (tecnologie) che compongono un apparato tecnico e la razionalità che serve per usarlo in maniera efficiente e funzionale1. La deficienza
1 Techné deriva da héxis noû che significa essere padrone e disporre della propria mente, secondo l’accezione usata da Cratilo, 400b (414 b.c.). e L’uso del termine in
biologica degli esseri umani a sopravvivere in maniera istintuale, tro- va il suo rimedio nell’azione, nella creazione di tecniche che aiutano gli individuai a sopravvivere, a selezionare e a stabilizzare modelli secondo dinamiche culturali, di gruppo. L’essere umano è diverso dagli animali proprio per questa mancanza di istinto, pertanto mentre gli animali vivono perlopiù in ambienti particolari e determinati, gli esseri umani vivono in mondi che adattano a loro stessi.
La cultura è dunque il contesto creato dall’uomo attraverso la Te- chné. Contesti culturali diversi sono l’espressione di differenti or- ganizzazioni di percezioni che assumono significati diversi. Edward T. Hall (1959, p.119) dice che “non esiste qualcosa definibile come ‘esperienza’ in astratto, in maniera separata e distinta dalla cultura. La cultura non è derivata dall’esperienza né riflessa nell’esperienza. Inoltre non può essere misurata secondo un qualcosa di mistico pen- sato come esperienza. L’esperienza è qualcosa che l’uomo proietta sul mondo esterno nel momento in cui lo apprende nella sua forma culturalmente determinata”2. Se la scienza fosse in grado di superare la separazione tra anima, corpo e coscienza, saremmo nella condizio- ne di approcciare percezione, memoria, motricità, linguaggio, ecc., in maniera più fluida, a partire dalla plasticità dell’azione umana come compensazione per la mancanza istintuale. Gli esseri umani sono fatti di carne e possono dare senso a ciò di cui fanno esperienza in base ai corpi che hanno e ai vari ambienti che abitano (Johnson, 1999). La maggior parte dei concetti umani, dei meccanismi sintattici e delle strutture cognitive opera sotto il livello di coscienza. Quando parliamo di meccanismi inconsci del comportamento, a tutti questi livelli, intendiamo i modelli del corpo: “immagini mentali, metoni- mie, concetti e modelli di inferenza sono tutti legati direttamente o indirettamente alle strutture corporee delle nostre esperienze sen- 2 “there is no such thing as “experience” in the abstract, as a mode separate and dis- tinct from culture. Culture is neither derived from experience nor held up to the mir- ror of experience. Moreover, it cannot be tested against some mystical thing thought of as experience. Experience is something man projects upon the outside world as he gains it in its culturally determined form.” La traduzione è dell’autrice.
so-motorie” (Johnson, 1999, p.83)3. Seguendo questa linea di pen- siero, possiamo inferire che diversi modelli linguistici siano connessi a strutture del corpo differenti e a esperienze motorie e propriocettive diverse. Questo costrutto psicologico e linguistico è alla base dell’i- potesi Whorf-Sapir (1956) e soprattutto degli studi neo Whorfiani, ma anche supportato da alcuni studi neuro scientifici. Per esempio, uno studio sino-statunitense (Ng, Han, Mao et al., 2010) ha ricercato i modi in cui studenti sino-americani rappresentavano il concetto di sè, quello di parenti significativi (ad esempio la madre), quello di persone non identificate e, come gruppo di controllo, quelli di tipo tipografico. Attraverso la risonanza magnetica, si è visto un’attiva- zione differenziata del cervello laddove gli studenti erano invitati a pensare a sè stessi e alle loro relazioni in cinese (sè inclusivo, non differenziato dalle relazioni significative) o in inglese (sè individua- le). Ciò conferma la disposizione biologica del cervello ad acquisire cultura e a rimodellarsi in accordo con essa (Ames &Fiske, 2010). Tuttavia è bene essere cauti nel non lasciare che quest’interessante linea di pensiero diventi troppo deterministica: i fattori in gioco per ogni singolo caso possono essere molteplici e soprattutto non lineari. La cultura è dunque incorporata: è la dimensione sociale che da for- ma alle strutture sottostanti la percezione, la capacità di categorizzare e di comunicare nel nostro organismo e allo stesso tempo, attraver- so tali meccanismi incorporati, noi rendiamo possibile la stabilità di taluni assunti culturali e la loro trasmissione in quanto precipui per il gruppo. Gli esseri umani si organizzano in un mondo che coinvol- ge relazioni tra gli individui e tra individui e il loro ambiente fisico attraverso un processo di conoscenza che è ancora prevalentemente fisico, al quale persone che mantengono lo stesso “corpo abituale”, per dirla con Merleau-Ponty, attribuiscono un significato condiviso. Ecco perché andiamo ancora da un posto all’altro nel mondo per “fare esperienza” di un’altra cultura e non lo facciamo solo virtual- 3 “mental images, image schemas, metaphors, metonymies, concepts and inference patterns are all tied, directly or indirectly, to those bodily structures of our sensorim-
mente: perché abbiamo un sentire incorporato per la nostra cultura e per scoprire le altre dobbiamo ancora vedere, toccare e annusare al fine di “esperire”.
Ciò che incuriosisce di più, nel discorso sull’incorporamento, è il li- vello di spiegazione fenomenologica che riguarda il modo in cui uno sente la qualità della propria esperienza. Per dirla con Johnson (1999, p.82) “la consapevolezza di come sentiamo la nostra esperienza e di come il mondo ci si rivela”4. Essere consapevoli di come ci si sente significa creare ciò che tradizionalmente è conosciuto come coscien- za. Useremo la distinzione operata da Antonio Damasio (1999) circa la relazione tra corpo, consapevolezza e coscienza. Damasio vede la coscienza come un atto di conoscenza di ciò che accade agli individui o “il senso di ciò che accade nell’organismo” (1999). In questa pro- spettiva, ogni raggiungimento umano è “una diretta conseguenza di un sistema nervoso che, essendo capace di coscienza, è anche equi- paggiato di una memoria vasta, di una potente abilità di categorizzare elementi nella memoria, della nuova capacità di codificare l’intero spettro della conoscenza in una forma linguistica, e con l’accresciuta capacità di trattenere sapere in uno schermo mentale e di manipolarlo in maniera intelligente” (1999, p.311)5. Nel confermare la relazione stretta tra individui e Techné, aggiunge anche uno schema logico di come ciò possa succedere.
Accenniamo brevemente il percorso descritto da Damasio dall’emo- zione alla coscienza. Gli stati emozionali, in quanto cambiamenti del profilo chimico del corpo, sono la base di ingaggio nella relazione tra uomo e ambiente. Per esempio quando rielaboriamo un oggetto dal punto di vista visivo, poco importa che l’oggetto sia portato a coscienza; durante la rielaborazione dell’immagine dell’oggetto, ci 4 “awareness of how our experience “feels” to us and how our world reveals itself”. La traduzione è dell’autrice.
5 “a direct consequence of a nervous system which, by being capable of conscious- ness, is also equippedwith a vast memory, with the powerful ability to categorize items in memory, with the novel ability to code the entire spectrum of knowledge in language form, and with the enhanced ability to code the entire spectrum of knowl- edge in mental display and manipulate it intelligently”. La traduzione è dell’autrice
sono dei segnali che attivano dei siti neuronali prefigurati per la par- ticolare classe di induzione dell’oggetto, per esempio la vista di un panorama, chiamati siti di induzione emotiva; i siti di induzione-e- mozione stimolano altre risposte verso il corpo e verso altre parti del cervello, rilasciando così l’intera gamma di risposte solitamente associate alle emozioni. Le mappe neurali di prim’ordine (localizza- te nelle regioni corticali e sub-corticali) rappresentano cambiamenti negli stati del corpo, e i sentimenti emergono; il proto-sè (è l’antece- dente ai sentimenti di base e al sentire di sapere) è alterato a causa dei modelli dell’attività neurale nei siti di emozione-induzione, quindi si riorganizza in strutture di second’ordine. In questa sequenza, l’emo- zione precede il sentimento o il sentire. Il corpo non solo come teatro dell’emozione dunque, ma anche come fonte dei sentimenti: la capa- cità di “sentire” si basa tanto su cambiamenti viscerali e scheletrici quanto su cambiamenti dell’ambiente interno. Il risultato è che si può imparare dalle emozioni attraverso l’uso del corpo e ciò può essere fatto intenzionalmente.
Perché il corpo e non solo la riorganizzazione cognitiva o il focu- sing? Perché l’esperienza è primariamente fisica e quindi dovremmo ripartire da qui. Il corpo è lo strumento principale dell’apprendimen- to, dal latino ad prehendere, che significa prendere qualcosa nelle proprie mani. Secondo Marchino e Mizrahil (2012), questo concetto deve essere associato al fatto che gli esseri umani hanno un polli- ce opponibile, capace di trattenere oggetti attraverso il contatto di- retto; il latino cum gnoscere, conoscere con, conoscere attraverso, significa rendere la conoscenza della realtà parte di sè. “E’ sempre e solo attraverso il corpo che, dopo avere appreso, sapremo gestire la conoscenza” (ibidem, p.116). La neurofisiologia ha stabilito defi- nitivamente che non c’è apprendimento di base senza movimento. Conoscersi significa entrare in contatto con sé stessi, non solo con il sè egoico, ma con un senso del sè più profondo. Al fine di raggiun- gere questo tipo di consapevolezza, bisogna ri-sensibilizzare l’orga- nismo. La cultura di derivazione europea ha creato una scissione tra
l’esperienza del corpo e l’apprendimento della realtà. Ristabilendo il processo del “sentire” attraverso il corpo è possibile riorganizzare l’intera esperienza, soprattutto l’esperienza di una cultura (Bennett M., Castiglioni I., 2004). Gli studi di comunicazione interculturale hanno cercato a lungo di provare a rendere più flessibili gli assunti mentali, alcuni dei quali sono così radicati da sembrare intoccabi- li. Se proviamo a lavorare su un assunto attraverso l’apprendimento di un’emozione del corpo, allora possiamo avere un’esperienza più profonda e “aprirci” a un’alternativa. Aggiungere spazi di lavoro sul movimento del corpo e della voce rende possibile aggiungere cate- gorie al proprio repertorio di esperienza profonda, non solo a quello cognitivo. Una volta che una categoria è stata aperta alla sua radice, è trasformata nel senso dato da Mezirow (2000) o in quello del mo- dello forming-feeling di Milton Bennett (2004).
Il tempo risparmiato attraverso la tecnologia è strangolato dall’acce- lerazione sociale, quindi non è mai abbastanza. Mangiamo il tempo e siamo mangiati dal tempo, nutrendo e riproducendo le condizioni della cronofagia. L’erosione dell’esperienza fisica quotidiana in favo- re di quella virtuale è un paradosso che le nuove generazioni stanno gestendo in maniera inconsapevole. Anche l’esperienza all’estero ri- schia di diventare vuota se, per mancanza di tempo, il contatto fisico con la realtà ospitante è ridotto al minimo in favore del mantenimen- to della rete di relazioni “abituale” attraverso le nuove tecnologie. I nuovi comportamenti all’interno delle famiglie rischiano di minac- ciare l’esito delle esperienze interculturali, il cui proposito è quello di accrescere la sensibilità verso la differenza. Si impongono dunque nuove sfide all’educazione interculturale: in primo luogo il concetto di formazione e di supporto sul posto degli studenti deve trasfor- marsi, rispetto al passato, per includere il fenomeno inevitabile della costante connettività de-temporalizzata e de-localizzata offerta dalle reti sociali on line. In secondo luogo, riflettendo sugli assunti peda- gogici della formazione e degli interventi sarebbe bene considerare: 1) l’inclusione di approcci che contemplino un’autoconsapevolezza
culturale incorporata, ossia “l’esperienza di sè operante all’interno di un contesto culturale” (Bennett M., Castiglioni I., 2004); 2) l’utilizzo dell’atto di muoversi avanti e indietro da contesti differenti, dalla percezione fisica a quella virtuale, come una nuova forma di appren- dimento esperienziale al fine di promuovere una maggiore sensibilità etnorelativa.
Non serve dunque demonizzare la nuova tecnologia in favore di un mitico recupero del contatto fisico o della percezione sensoriale della realtà: la tecnologia è parte dell’esperienza culturale. È forse opportuno però diventare intenzionali e maggiormente consapevoli di come questi cambiamenti impattano sulla nostra dimensione di apprendimento e di sopravvivenza, per mantenere un equilibrio per- cettivo sveglio, atto all’adattamento e consapevole di partecipare a una continua co-costruzione culturale.
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