• Non ci sono risultati.

Le peculiarità dei returnees

I returnees coinvolti nella ricerca hanno in gran parte svolto l’e- sperienza all’estero con Intercultura nel corso degli anni scolastici 2009/2010 (34.8%) e 2010/2011 (45.7%) ed è durata quasi per tutti – si registra un’unica eccezione – un intero anno (97.8%). Nord Eu- ropa ed il continente americano – da Nord a Sud – sono i luoghi più praticati. Gli USA (43.5% dei casi) sono stati la nazione più frequen- tata; a seguire si annoverano il Belgio, la Norvegia e la Germania (pari al 6.5%).

Circa i tempi medi giornalieri di connessione si osserva che quasi il 33% dei ragazzi dedica dalle tre ore in poi alla navigazione - oltre l’8% in meno di quanto dichiarato dagli studenti piemontesi e puglie- si -, mentre il 15.2% riesce a contenersi entro l’ora.

Come a casa propria, nell’esperienza all’estero con Intercultura quasi tutti i returnees (91.3%) avevano una connessione internet in casa e per 40 di loro (pari all’87%) l’accesso era in gran parte senza limiti. Pur potendo usufruire di internet praticamente nelle stesse condizioni di casa, nell’esperienza estera i returnees hanno avuto tempi di con- nessione decisamente più ridotti rispetto alle loro abitudini. “Solo” l’8.7% ha dichiarato di essersi connessi ad internet oltre le 3 ore al giorno (a casa era il 17.4%), mentre ben il 32.6% si connetteva non più di 1 ora al giorno (con un incremento di oltre il 17% rispetto alle abitudini quotidiane a casa).

Anche loro danno preminenza alle relazioni interpersonali, al con- tatto face to face rispetto a quello virtuale della rete. Nel corso della permanenza all’estero l’84.7% dei returnees ha incrementato il nu- mero delle “amicizie” di almeno 100 nuovi contatti (il 54.3% di que- sti anche oltre 100) su Facebook. Tuttavia, a differenza dei contatti italiani, molti di quelli inseriti nel corso dell’esperienza all’estero corrispondevano a persone davvero frequentate e conosciute. Infatti, il 30.4% dei returnees (contro il 6.5% in Italia) ha dichiarato che cir- ca la metà/più della metà dei nuovi amici su Facebook erano da con- siderarsi realmente tali, mentre il 28.3% ha indicato che il numero di

amicizie su Facebook non corrispondeva per nulla ad amicizie reali. Conformemente a quanto sostenuto nel corso di tutta l’analisi dei dati, internet ed i social network si specificano sempre più come stru- menti utili, necessari per il mantenimento delle relazioni interperso- nali. Il momento più difficile da gestire è stato il ritorno a casa dopo la permanenza all’estero. Infatti, il 26.1% ha utilizzato maggiormen- te i social network nei primi tre mesi. Dopo il “riassestamento” i contatti si diradano e per il 45.7% dei returnees vengono mantenuti attivi soprattutto nel corso di ricorrenze particolari, come durante il Natale o per i compleanni. In generale, il 50% dei returnees chatta ancora spesso con le nuove amicizie fatte, mentre il 34.8% cerca i contatti, anche se spesso invano. Talvolta i social network servono per socializzare e raccontare la propria esperienza. Infatti, il 56.5% ha condiviso molte foto con i propri amici ed il 17.4% ha scritto dei post per comunicare gli stati d’animo durante il soggiorno, questi ultimi difficili da rivelare ai famigliari e/o agli amici al momento, come indicato dal 56.5% .

In aggiunta alle stesse domande poste agli studenti delle scuole pie- montesi e pugliesi, che ci hanno consentito di comparare le risposte e ricavare importanti considerazioni sulla fruizione dei digital media da parte delle nuove generazioni, sono state inserite nel questionario somministrato ai returnees alcune domande volte a comprendere in che modo i new media possano o meno aver influito sulle esperienze all’estero; se la stessa esperienza extraterritoriale abbia modificato o meno anche le proprie abitudini a riguardo dell’uso di internet o dei social network.

Anche da questa sezione del questionario abbiamo ricavato dati mol- to interessanti.

Un primo elemento rilevante è che, nonostante il largo utilizzo di internet e dei social network, i nostri giovani sembrano non consi- derare tali strumenti in grado di sostituire l’esperienza sul campo. Al 65.2% dei returnees non è mai venuto in mente di usare i networks per conoscere il paese nel quale avrebbero fatto l’esperienza di stu-

dio all’estero con la proposta di Intercultura. Però con internet ed i social network i “nostri” returnees hanno attivato contatti prima della partenza (in particolare lo hanno fatto in 25, pari al 54.3%). Questi contatti per il 52.1% sono serviti, mentre il 28.3% non ha riscontrato alcun vantaggio da tali confronti. Certo, per questi risultati si po- trebbero proporre spiegazioni che rimanderebbero alla superficialità, al non interesse, a motivazioni generiche nell’affrontare l’impresa, ma in continuità con i risultati già emersi dai dati precedenti e di quelli che seguiranno, ci sentiamo – invece – di sposare l’idea che su certe questioni, quali la costruzione e il mantenimento delle rela- zioni interpersonali e le esperienze di vita extraterritoriali, i giovani per ora mantengono la netta distinzione tra vite reale e vita virtuale, preferendo decisamente la prima alla seconda. Anche per la stessa esperienza all’estero vissuta dai returnees solo il 19.6% ha ritenuto abbastanza utile quanto aveva appreso da internet per adattarsi alla nuova realtà culturale. Poco e per nulla proficue si sono rivelate le conoscenze pregresse per il 32.6% .

Infatti, l’idea di partenza sulla cultura del Paese ospitante è stata di- sattesa per il 52.2% , confermata – invece – soltanto dall’8.7% . A giustificazione di ciò vi è la convinzione di quasi tutti (93.5%) che le emozioni provate durante il soggiorno all’estero fossero impreve- dibili.

L’esperienza reale all’estero è risultata, dunque, essere differente da quella ipotizzata a tavolino. L’impatto emotivo è stato notevole, ma quasi il 57% dei returnees ha deciso di non condividere con fami- gliari ed amici i propri stati d’animo vissuti nel corso dei momenti difficili, probabilmente perché – nella consapevolezza della barriera oggettiva data dalle distanze – hanno ritenuto opportuno non trasfe- rire le proprie ansie sui propri cari e mettersi in gioco nello gestire lo stress emozionale. Il 76.5% tra coloro che hanno, invece, deciso di condividere le proprie difficoltà ha considerato i social network particolarmente utili per alleggerire il peso.

Dunque, nell’esperienza all’estero l’utilizzo della rete non è da con- siderarsi strumento essenziale per la conoscenza della nuova realtà

culturale, né per avviare e gestire relazioni interpersonali, dove – in- vece – il contatto diretto, i rapporti faccia a faccia risultano insosti- tuibili. Diventa, al contrario, necessario per mantenere i contatti più con gli amici italiani che con i propri famigliari .

Nel questionario somministrato ai returnees coinvolti nella ricerca sono state inserite delle domande per analizzare un aspetto centra- le della nostra ricerca quale è quello del cosmopolitismo e quanto la diffusione di questo atteggiamento esistenziale e relazionale pos- sa essere favorita dai nuovi media. In merito possiamo rilevare che il 39.2% degli intervistati è convinto che internet aiuti a costruirsi una personale idea del mondo circostante, mentre il 37% è indeciso, confermando che la vita reale costituisca un fattore insostituibile per la formazione della propria percezione del mondo. Tuttavia, anche i nostri returnees sono d’accordo quasi all’unanimità (91.3%) sul fatto che grazie ad internet sono state abbattute le distanze geografiche. Ma, a differenza dei primi, in loro emerge una maggiore convinzione sia della relazione tra internet e la propria dimensione cosmopolita, sia di quella tra internet (i social networks in primis) e l’educazione alla mondialità. Infatti, il 65.2% è convinto che internet li faccia sen- tire cittadini del mondo e, soprattutto, il 58.7% – contro il 17.4% che la pensa in maniera opposta – ritiene che internet ed i social network siano utili strumenti di educazione interculturale.

Conclusioni

Da quanto esplicitato appare quindi, in maniera molto più marcata nei returnees che nei loro compagni di scuola, l’idea che l’identità odierna di coloro che abitano il pianeta terra stia assumendo sempre più le sembianze di un composito intreccio di appartenenze collegate fra di loro secondo lo schema della rete. Sguardo cosmopolita signi- fica che in un mondo di crisi globali e di potenziali pericoli generati dal progresso le vecchie distinzioni – tra dentro e fuori, nazionale e internazionale, noi e gli altri – perdono il loro carattere vincolante e che per sopravvivere c’è bisogno di un nuovo realismo, un realismo

cosmopolita (Beck, 2002). La glocalizzazione è dunque una svolta epocale, determinata dal mutamento dei paradigmi organizzativi del mondo e della società, soprattutto per effetto dell’innovazione tec- nologica, che ha profondamente cambiato il nostro modo di rappor- tarci ai concetti di tempo e di luogo. Oggi l’uomo sta sperimentando la scoperta dell’opportunità di vivere in un contesto dominato dalla mobilità, delle persone, delle cose e dei segni. Nel passaggio da un mondo inter-nazionale a uno glocal, è stata proprio la nuova con- cezione della mobilità a modificare profondamente tutta una serie di parametri concettuali ai quali eravamo abituati, fra i quali l’idea di cittadinanza, di appartenenza, e di nazionalità (e dunque anche del concetto stesso di relazioni inter-nazionali). Su questa trasforma- zione e sulle conseguenti nuove concettualizzazioni legate alla defi- nizione di confine e di territorio si dovrebbero sviluppare profonde riflessioni. Comprendere a fondo la portata di una rivoluzione, in qualunque sfera essa si manifesti, proprio mentre è in pieno svolgi- mento, è impresa ardua se non impossibile. Come prevedere quali e quante tra le promesse o le minacce, le aspettative o i timori saranno confermati tra dieci o venti anni? E’ questa la situazione in cui ci troviamo oggi: la rivoluzione digitale promette, attraverso i suoi so- stenitori e i suoi protagonisti, di cambiare radicalmente e in meglio sia il funzionamento globale della società sia la vita degli individui. E naturalmente genera simmetriche paure tra quanti temono invece che tali cambiamenti si possano rivelare involuzioni e regressioni. Le tensioni ideologiche sono tanto più acute in quanto alla base del cambiamento si pone una pervasiva diffusione della tecnologia nella vita sociale. Abbiamo cercato di assumere in questo contesto una po- sizione equidistante dalle opposte ideologie e cercato semplicemen- te di descrivere i processi di cambiamento in atto senza concedere troppo all’apologia o alla detrazione. Per questo abbiamo ritenuto opportuno fornire i dati scaturiti dalla ricerca per capire a fondo in che cosa consista e che uso ne venga fatto dagli adolescenti italiani del complesso di tecnologie che sono alla base della rivoluzione digi- tale. Supportati da tale bagaglio ci siamo impegnati a studiare come