Capitolo 3. Etica e qualità dei contenuti
3.1 Identità, immagine e reputazione
Quando si parla di identità, di immagine e di reputazione si rischia spesso di cadere in errore. In effetti, questi sono termini che spesso vengono utilizzati come fossero sinonimi, mentre a volte si fa confusione con il loro vero significato. A portare maggiore chiarezza nella questione ci ha pensato Toni Muzi Falconi, esperto di relazioni pubbliche, che ha sinteticamente definito identità, immagine e reputazione in questo modo:
l’identità (le componenti epigenetiche di una organizzazione); l’immagine (la percezione che i pubblici ricevono dalla comunicazione dell’organizzazione) e la reputazione (quello che gli altri dicono ad altri di una organizzazione)1.
Semplificando ulteriormente potremmo dire che l’identità è come siamo realmente, l’immagine è come cerchiamo di mostrarci all’esterno mentre la reputazione, invece, è come gli altri parlano di noi. In particolare, come sostiene Giampietro Vecchiato, possiamo definire l’immagine come:
1 Toni Muzi Falconi, “Identità, immagine e reputazione”, articolo pubblicato online all’indirizzo <http://www.ferpi.it/identita-immagine-e-reputazione>.
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la sintesi delle opinioni che l’ambiente esterno ha di una organizzazione, di un’azienda, di una persona, di un prodotto. Deriva da un processo di sedimentazione delle relazioni che si riesce ad instaurare con tutto l’ambiente e con tutti i pubblici2.
Inoltre, sempre utilizzando le parole di Vecchiato, possiamo sostenere che identità e immagine sono termini strettamente collegati tra loro:
sia l’identità che l’immagine derivano quindi dall’esistenza stessa dell’azienda, dove la prima è il presupposto, il prerequisito, per la seconda (solo una forte identità può creare una solida e credibile immagine)3.
Non si può pensare di avere un’incoerenza tra l’identità e l’immagine. Non possiamo cercare di mostrarci al pubblico per quello che non siamo; sia perché questo non è eticamente corretto nei confronti del pubblico, sia perché c’è il grosso rischio di venire scoperti, e in quel caso le conseguenze dal punto di vista reputazionale potrebbero essere molto pesanti. Bisogna ricordare che nel mondo odierno in cui le persone sono sempre più connesse, le bugie hanno le gambe ancora più corte; ed è qui che entra prepotentemente in gioco il concetto di reputazione, a cui va dedicato un approfondimento maggiore.
Utilizzando la definizione fornita dall’enciclopedia Treccani, per reputazione si intende “il fatto di essere reputato, la stima e la considerazione in cui si è tenuti da altri”4. Sempre secondo Vecchiato la reputazione:
è un concetto che supera largamente e completa quello di immagine. E la reputazione risulta strettamente collegata alla redditività, al valore di mercato e alla capacità delle organizzazioni di superare i momenti di crisi5.
Non possiamo esercitare nessun tipo di controllo sulla nostra reputazione, l’unica cosa che possiamo fare è comportarci in maniera tale da permetterci di mantenere una buona reputazione. Come abbiamo accennato all’inizio di questo capitolo parlando della fiducia, anche quando si tratta di reputazione ci vuole molto a
2 Giampietro Vecchiato, Relazioni pubbliche e comunicazione, cit., p. 61.
3 ibidem
4 Definizione pubblicata online all’indirizzo <http://www.treccani.it/vocabolario>.
5 Giampietro Vecchiato, “Fare, fare bene e farlo sapere: il valore della reputazione”, articolo pubblicato online all’indirizzo < http://www.prconsulting.it/blog/fare-fare-bene-e-farlo-sapere-il-valore-della-reputazione>.
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guadagnarla ma basta poco per perderla, provocando delle gravi conseguenze a livello di business: “è infatti molto difficile quantificare l’impatto di una buona reputazione sul fatturato; ma sicuramente conosciamo i costi economici di un danno reputazionale”6.
Alcuni studiosi sostengono che con l’avvento del mondo digitale sia necessario praticare una distinzione tra reputazione offline e reputazione online, mentre altri affermano che non ha senso distinguere tra questi due mondi: la reputazione è soltanto una. Anche non volendo entrare nel merito della questione, è sotto gli occhi di tutti che il web ha reso più veloce il processo del “passaparola” e, per questo, quando si parla di reputazione online, bisogna tenere conto di una caratteristica propria del web:
avere una buona reputazione online è moneta sonante. Al contrario, averne una pessima, o semplicemente avere un omonimo sbagliato, può renderci la vita un inferno. Il nostro passato, quello che abbiamo immesso in rete, le nostre tracce digitali, ma anche quello che gli altri dicono di noi, rimarrà scritto per sempre. Pronto a essere tirato fuori al momento giusto. O, più spesso, al momento sbagliato. Già, perché siccome l’intelligenza è artificiale, Google valuta con criterio squisitamente matematico cosa mostrare nella prima fondamentale riga della prima pagina di ricerca, che è il biglietto da visita più letto. Quello fatale7.
Dunque, online le nostre tracce digitali non si cancellano; se offline c’è la possibilità che qualcuno si dimentichi di qualcosa che ci riguarda, con il web è molto più difficile che questo accada, il web non dimentica. Questo concetto va di pari passo con la questione del cosiddetto “diritto all’oblio”, che viene definito da Wikipedia come:
una particolare forma di garanzia che prevede la non diffondibilità, senza particolari motivi, di precedenti pregiudizievoli dell’onore di una persona, per tali intendendosi principalmente i precedenti giudiziari8.
In questa definizione ci si riferisce a persone, ma il concetto può essere esteso anche ad aziende. Negli ultimi anni il tema del diritto all’oblio è stato spesso al centro del
6 Giampietro Vecchiato, “Fare, fare bene e farlo sapere: il valore della reputazione”, cit.
7 Barbara Carfagna, “Web reputation”, Il Foglio, 18 maggio 2015.
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dibattito, soprattutto in Europa. Nel maggio 2014 una controversa sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che si può chiedere la rimozione di un risultato della ricerca su Google, se il contenuto non è più rilevante. La sentenza prevede che Google:
valuterà se i link per cui viene richiesta la rimozione rinviino verso informazioni effettivamente obsolete e non più rilevanti oppure verso dati di interesse pubblico, come possono esserlo invece quelle su frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o problemi legati alla “condotta pubblica di funzioni statali”9.
La sentenza della Corte è stata molto discussa. Da un lato alcuni sostengono che in questo modo viene meno la libertà di informazione, dall’altro lato, invece, alcuni sostengono che tutto sommato questa sentenza è abbastanza inutile perché in questo modo vengono eliminati da Google solamente i link alle notizie o all’informazione, mentre il contenuto vero e proprio resta disponibile online, diventa soltanto più difficile da rintracciare.