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L’identità travisata nell’immagine della madre con il figlio nel Maiu

1.I.6 APPENDICE DELLE FONT

II. 1 «L E PITTURE DELLE CATACOMBE CONTENGONO RITRATTI ?»

II.1.4 L’identità travisata nell’immagine della madre con il figlio nel Maiu

Nell’immagine campita nel cubicolo XV del Coemeterium Maius è raffigurata una donna con il suo bambino in braccio, che nella storia degli studi è stata interpretata come una raffigurazione sacra, ma il suo carattere individuale, sembra reso esplicito, per i motivi che vedremo. 427.

Al centro della lunetta campeggia, frontale, la figura della donna velata, rappresentata a mezzo busto, con le braccia espanse in atteggiamento orante, la quale tiene davanti a sè, all’altezza del petto, il figlio. Essa indossa una dalmatica gialla a larghe maniche, ornata di striscie di stoffa di color porpora e azzurro scuro, e il velo bianco che nelle trasparenze sfiora il tono del turchino. Il volto ha grandi occhi scuri, quasi spalancati, incorniciati dalla grande linea dell’arcata sopraccigliare, che insieme alle zone d’ombra con cui sono definite le palpebre, contribuisce a dare risalto, in un gioco di chiari e di scuri, al bianco delle pupille, attribuendo intensità allo sguardo, tutto indirizzato all’esterno della lunetta. I lineamenti sono definiti in modo marcato: il setto nasale piuttosto largo e leggermente schiacciato, le labbra sottili chiuse come in un abbozzato sorriso, formano una fossetta sul mento. La figura, velata, ha la tipica acconciatura costantiniana, con la treccia sulla nuca ed i capelli ondulati, divisi al centro della fronte e raccolti dietro le orecchie, ornate dai grandi orecchini a forma di perla; la figura indossa una collana di perle. Il busto del figlio è raffigurato fino alle spalle, e nella parte sinistra la pittura è perduta a causa di una lacuna che interessa la figura a partire dalla zona inferiore dell’orecchio sinistro ed anche parte della manica della madre. Il volto del bambino è caratterizzato da grandi occhi, con le sopracciglia aggrottate come nell’espressione di una smorfia del viso, che rivolgono lo sguardo in alto alla sinistra della lunetta; il suo orecchio destro è caratterizzato dal padiglione quasi “a sventola”, e i capelli corti con la frangia che incorniciano il volto, sono definiti

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136 dettagliatamente. Ai lati delle due figure, sotto le grandi palme rivolte verso l’alto della donna, sono campiti due grandi monogrammi costantiniani. La raffigurazione esorbita lo spazio della lunetta, come nel particolare del capo della e nella zona inferiore dei busti delle figure, dipinti sopra alla cornice: quest’ultima si compone in una fascia rossa più esterna e di una azzurra, intervallate da un motivo tratteggiato bianco, e una linea nera che nella parte superiore della lunetta sviluppa brevi motivi decorativi.

La pittura della lunetta fu riscoperta da Wilpert alla fine dell’Ottocento, il quale, ci riferisce il Marucchi, dopo aver lavato bene il dipinto dalle molte macchie che lo deturpavano, aveva riconosciuto con sua grande meraviglia che la figura di quello che credeva il Re Giudeo si era improvvisamente cambiata in quella della «Beata Vergine

con il Fanciullo Gesù in seno»428.

L’interpretazione tradizionale delle due figure come quella della Vergine con il Bambino risale al Bosio, il quale, avendo potuto vedere l’immagine già alla fine del Cinquecento, da subito fu convinto che si trattasse della «gloriosissima Vergine in atto

di orare con il Signore in seno»429. Di opinione opposta fu Bottari, che alla metà del XVIII secolo e in aperta polemica con l’Aringhi, sosteneva che ”certamente non è punto inverosimile che questa donna rappresenti chi fece fare le pitture, e che il bambino che ella ha davanti rappresenti il suo figliolo» ma la sua lettura rimase pressochè isolata nel panorama storico critico del tempo, mentre Gian Battista De Rossi inseriva la pittura nella sua raccolta delle “Immagini della Beata Vergine tratte dalle catacombe”.

In una prima interpretazione dell’immagine, risalente agli ultimi anni dell’Ottocento, epoca della scoperta delle pitture, Wilpert dichiara di non essere convinto della lettura proposta da Marchi come raffigurazione della Vergine con il Bambino, per il fatto che nell’immagine non si riconosce alcun “segnale” iconografico che la possa riferire a tale interpretazione, e i monogrammi, secondo lui, non hanno la funzione di attribuire

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Nuovo Bolettino di Archeologia Cristiana 1903,p. 7. 429

137 carattere di santità al bambino, ma piuttosto servirebbero per ribadire il concetto «che i

morti vivono in Cristo»430.Più tardi lo stesso Wilpert cambierà la sua interpretazione dell’immagine, dichiarando di avere riscoperto «la più bella immagine della Madonna

trasmessaci dall’Antichità»431. Alla metà del Novecento ancora Fasola432 esamina lo stile delle pitture, che per lo studioso risultava circoscrivibile ad un’epoca tardo costantiniana, per l’uso di definire con linee scure i contorni delle figure, nella loro resa corpulenta, quasi monumentale, e nei particolari descrittivi, come quello della pettinatura della donna che per la tipica fattura turrita e dagli sbuffi laterali. L’immagine quella della stessa defunta dedicataria del cubicolo, che si è fatta rappresentare nel gesto della preghiera, con in grembo il proprio figlio. Qui i volti appaiono proprio come ritratti, come si vede nella smorfia tutta infantile del bambino, mentre la madre ha voluto farsi ritrarre non come una martire o come una santa, bensì come matrona, ornata di tutti suoi preziosi gioielli.

Sembra dunque difficile non avvertire il carattere tutto terreno, quasi narrativo, nella figura della donna dai grandi occhi, simile in tutto alle grandi oranti femminili campite nel Cimitero dei Giordani, ma meno patetica rispetto ad esse, e più veristica in questa sua essenza di autentica “immagine-ritratto”433.

430 J.Wilpert 1893, p. 48. 431 Ibidem. 432

Nel saggio Topographische Argumente zur Datierung der ‘Madonna orans’ 1956, im Coemeterium Maius, padre Fasola, partendo dall’indagine topografica, propone per le pitture una datazione tardocostantiniana, dedotta dalla posizione del cubicolo in cui esse si trovano, ossia in quella parte più profonda del cimitero che fu scavata entro il 336, come attesta la data affissa sulla chiusura di un loculo. A suffragio di tale cronologia è la presenza dei due monogrammi costantiniani : cfr. U.M.Fasola 1956, pp. 137-147.

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