I.3 Rituali e performances nel funerale gentilizio
I.1.5 La rete genealogica degli stemmata
Come ci tramandano le antiche fonti, le famiglie nobiliari romane tenevano nell’atrio la rappresentazione grafica della propria genealogia138.
Quest’uso era strettamente connesso allo ius imaginum, cioè a quel privilegio esclusivo delle élite gentilizie di conservare in appositi armaria i ritratti funebri degli antenati più illustri139.
Plinio, descrivendo l’atrio domestico nel suo pullulare di imagines maiorum, tiene a ribadire che queste immagini non erano “signa” bensì «expressi cerae vultus»,140ossia maschere di cera conservate nelle apposite edicole lignee141.
Contestualmente alle maschere, Plinio ci dice che nell’atrio vi erano anche dei ritratti dipinti «imagines pictae» visivamente collegati da una rete di “linee” che si dipanavano da un’immagine all’altra «lineis discurrebant ad imaginem picta» a formare una genealogia definita «stemmata»142.
I ritratti su tavola convivevano nell’atrio con le maschere di cera143.
138
Si analizzeranno in questo stesso paragrafo le testimonianze più significative a questo riguardo, che risalgono a Plinio (Nat. Hist. XXXV.6, cfr. App. I.I.7.A.10), Seneca (De Beneficiis 3.28: cfr. App. I.I.7.D.5), Giovenale (Satira VIII, 1-23, cfr. App. I.I.7.D.6) e anche Svetonio (Galba 2-3, cfr. App. I.I.7.C.5). Per le altre fonti antiche che citano gli stemmata, si segnalano: Mart. 4.40.I e 5.35.4; Plut. Num.21.4; Sev. Alex. 44.3; Is. Etym. 9.6.28.
139
L’autorizzazione allo ius imaginum avveniva attaverso il riconoscimento di specifiche dignitates, analizzate e catalogate nelll’ampio e approfondito studio di Mommsen, cui si rimanda per il concetto dello ius imaginum in generale, con bibliografia relativa: T.H.Mommsen 1892.
140
Supra, note 54 e 118. 141
Sulle immagini disposte negli armaria si rimanda alla già citata testimonianza di Polibio: Supra, nota 118 e cfr. App. I.I.7.C.1.
142
«Imagines in atrio exponunt et nomina familiae suae longo ordine ac multis stemmatum inligata flexuris in parte prima aedium collocant». Cfr. App. I.I.7.A.10 [7-8].
37 Accogliendo l’interpretazione di Silvio Ferri144, appare esplicita la differenziazione di Plinio delle immagini ceree definite come expressi cerae vultus all’interno delle edicole «singulis disponebantur armariis» e le imagines pictae degli stemmata145: nel testo pliniano, le due categorie di ritratto sono separate semanticamente dall’avversativo “vero”: «stemmata vero lineis discurrebant ad imagines pictas»146.
Secondo la descrizione degli stemmata di Seneca, le imagines si disponevano in una lunga serie «longo ordine» ed erano collegate le une alle altre «stemmata inligata
flexuris»: ciascuna riporta il nome dell’antenato effigiato «nomine familiae suae»147. Quindi dalle fonti citate sappiamo che nell’atrio vi erano dei ritratti dipinti «imagines
pictae»148 i quali erano collegati tra loro da linee «vero lineis discurrebant ad imagines
pictae»149 che avevano un andamento curvo «flexuris»150.
Come e cosa fossero in realtà queste linee non lo sappiamo. Bianchi Bandinelli, riprendendo la traduzione di Silvio Ferri, descriveva questo “sistema” di ritratti come
144
S.Ferri 1946, p. 119. 145
Secondo alcune interpretazioni dei passi citati di Plinio e di Seneca, gli stemmata collegherebbero tra loro direttamente i ritratti cerei conservati nelle edicole lignee (TH.Mommsen 1872, p. 88; K.Schneider- H.Meyer 1916, coll. 1097). A chi scrive sembra invece che sia ineludibile l’idea che accanto ai ritratti di cera vi fossero proprio delle altre immagini dipinte e collegate dagli stemmata; allineandosi alla traduzione di Silvio Ferri, uno dei principali studiosi di Plinio, «non si può di certo pensare all’utilizzazione pratica per l’albero gentilizio delle immagini ceree», poichè il testo di Plinio è chiarissimo: da una parte ci sono gli expressi cerae vultus, e dall’altra parte, ribadendo l’avversativa con l’avverbio latino “vero”, ci sono le imagines pictae (Ibidem).
146 Ibidem. Cfr. App. I.I.7.A.10; [7-8]. 147
Cfr. App. I.I.7.D.5
148 Secondo Lessing invece le imagines pictae altro non erano che i ritratti di cera, i quali (come conferma Polibio, cfr. Polibio, 6.,53, Supra) erano colorate secondo l’antica abitudine di dipingere le statue per conferire loro maggior realisticità: G.E.Lessing 1857, p. 261.
149
Ibidem. 150
38 una sorta di grande albero genealogico151, costituito dai ritratti degli antenati uniti da alcuni nastri di stoffa rossi152.
Le linee “sinuosamente curve” che collegavano le tavole dipinte creavano una sorta di intreccio che si configurava simbolicamente come rappresentazione visiva dei collegamenti generazionali, in cui al primo posto erano i ritratti, accompagnati singolarmente dai loro corrispettivi tituli. L’appartenenza a un dato ramo familiare si autenticava cosi’ attraverso il nome e si manifestava pubblicamente in quella sorta di
installazione permanente e “mutante”153 collocata all’interno dell’atrio domestico.
151
Maurizio Bettini pone l’accento proprio sulla differenza sostanziale che intercorre tra il genere degli stemmata e quello dell’albero genealogico, esprimendosi in questi termini: «Lo stemmata e il modello organico vegetale si presentano come due strumenti culturali molto differenti: semplice espediente grafico il primo, che nel versus alto e basso rispetta l’andamento della scrittura; metafora organicistica il secondo, capace di convogliare nella rappresentazione del tempo generazionale una superiore ricchezza di contenuti antropologici». Ibidem, p. 181.
152
Cfr. R.Bianchi Bandinelli 1965, coll. 695-738. 153
La struttura degli stemmata non era fissa, bensì era soggetta a mutamento dovuti a una serie di fattori, collegati ai modi di interagire delle immagini dei maiores con la realtà famigliare. Nella testimonianza che si è già presa in esame, Cicerone ci informa che la nipote di Antonio dovette portare con sé i ritratti antenatizi della sua famiglia, che finirono in carcere quando il suo sposo Vatinio fu imprigionato (cfr. Supra nota 59). La donna sposandosi recava con sé le immagini dei propri avi, per assicurare il riconoscimento e la dignità alla sua stirpe, che avrebbe in tal modo potuto disporre delle imagines materne tanto quanto disponeva di quelle paterne. Va da sé che il sistema della rete genealogica non era fisso ma che mutava essendo “aggiornato” di continuo, non solo dal suo interno, attraverso l’acquisizione dei ritratti di coloro che morivano, ma anche dall’esterno, a causa degli spostamenti femminili dalla famiglia di origine a quella del congiunto. Per l’argomento delle cosiddete immagini cognatae (quelle che si trasferiscono da una famiglia a un’altra) si rimanda allo studio di Mommsen 1887, p. 84.
39 Ci si potrebbe spingere a congetturare che “le curve sinuose” che collegano i ritratti, altro non fossero che delle vere e proprie ghirlande, e non dei nastri di stoffa, come sosteneva Mommsen154.
Accogliendo la traduzione del termine "stemmata" con "ghirlande dipinte"155, possiamo dipanare un fil
rouge con la tradizione paleocristiana della ghirlanda
(fig.5) nella pittura delle catacombe, che allude visivamente alla dimensione ultraterrena del defunto.
Non tanto un vero e proprio albero genealogico,
quanto un’immagine che di se stessa vuole dare una determinata famiglia, lo stemmata assume il compito di visualizzare fisicamente la rete delle relazioni costituendosi come una sorta di autentico “archivio di immagini”, che vengono a costituire insieme ai loro
tituli, una sorta di guida anche per quei volti di cera che si trovano lì accanto, conservati
negli armaria.
I rapporti tra le imagines di cera e le tavole pictae che costituivano la rete genealogica dovevano essere molto stretti156, anche se sostanzialmente erano due tipologie di ritratto differenti tra loro. Le maschere di cera contengono in sé lo statuto
154
Ibidem. L’interpretazione delle linee come nastri rossi è sostenuta da Bianchi Bandinelli, Supra, nota 154.
155
L’autore della traduzione italiana di un altro brano classico in cui si nominano gli stemmata, traduce “inligata flexuris” con il termine ghirlande. Si tratta dell’incipit della Satira VIII di Giovenale (cfr. Supra, p.1 nota 3 e nota 4; cfr. App. I.I.7.D.6 (1-4).
156
Piace pensare alla tipologia delle antiche pinakes come a un oggetto che in qualche modo ha assunto in sé, in un processo di crasi visiva, l’idea sintetica delle imagines nell’atrio dell’antica domus romana: strutturate come trittici lignei, troviamo al centro delle pinakes il ritratto funerario e sulle ante laterali le immagini degli dei Osiride e Serapide, dalle quali si riteneva che discendesse la stirpe del defunto. A questo proposito cfr.: T.Matthews 2005, pp. 3-13
40 ontologico del ritratto: infatti,in quanto derivate direttamente dal volto del defunto, ne condividono fisicamente la matrice. Dall’altra parte le tavole dipinte erano autenticate dai tituli e dalla loro istallazione di diritto nella rete genealogica degli stemmata.
Si è detto dell’uso di indossare le maschere durante i funerali157 e di recarle in processione insieme alle tavole dipinte, per poi dopo i riti funebri, depositarle nella casa. Si crea così una sorta di “archivio familiare”158, dove i personaggi più illustri sono collocati avanti nella processione funebre e in alto nella rete genealogica dello
stemma159.
Il nesso fondamentale tra le due tipologie di ritratto nell’atrio, era quello di funzionare, prima nella processione funebre e dopo nell’istallazione permanente domestica, come dei veri e propri sistemi simbolici, concepiti entrambi per attribuire identità alle persone che non erano più in vita, certificandone la presenza a livello di immagine e assicurandone così il “potere” della memoria. Le imagines maiores assumono in se stesse una funzione dichiaratamente “paradigmatica”: citando le parole di Maurizio Bettini, «la loro presenza non significa solo se stessa, ma è in grado di far
significare anche quello che sarà poi, perchè i maiores godono del doppio statuto di codice e di messaggio contemporaneamente (...) comunicando se stessi, comunicano quella che è la loro identità di gruppo»160.
157
Per l’uso delle maschere durante la processione funebre si veda la testimomianza di Polibio: Supra, p. 22 e nota 107.
158
Si crea in questo archivio familiare una rete di rispondenze a livello di somiglianza fisionomica, che determina l’appartenenza o meno a una determinata stirpe. Cfr. M.Bettini 1994., p. 190.
159
Sull’ordine di apparizione delle immagini degli antenati durante la processione, si veda quando detto a proposito del rito funebre: cfr. Supra p. 22.
160
41