1.I.6 APPENDICE DELLE FONT
I. 2 1 Specificità della maschera e riproducibilità del calco
Marcel Mauss individua nella sua “Teoria generale della magia”161 la funzione della maschera, differenziandola dalla categoria della “personalità mitica”162 e da quella di “personalità morale”163. Il termine latino “persona” definisce sia l’identità del singolo intesa in termini giuridici sia come tòn prosopòn, cioè struttura facciale, “maschera”164.
Cicerone suddivide il concetto di persona in “comunità di individui”165, “singolo individuo”166, “personaggio”167 e “personalità”168, evitando di fare menzione dell’uso della maschera169.
Nel Pro Cluentio, parlando delle imagines degli Aelii, pone l’identità maschera-
pronomen, cosicchè, automaticamente, si assiste a una sorta di reincarnazione: «Tu Marcellus eris»: il defunto riacquista la propria essenza vitale grazie alla maschera,
perché la sua “persona” intesa come “personalità” sopravviverà ancora attraverso il “duplicato” del volto170.
161 M.Mauss 1965. 162 Ibidem, p. 131. 163 Ibidem. 164
I Greci tradussero la nozione di persona dal latino nel termine “tòn prosopòn”: J.Bayet 1971, pp.224- 227
165
«Una communis est generi humano» (Cicerone, De Officiis 1, 107). 166
«Altera autem quae propriae est singulis attributae» (Cicerone, De Officiis 1, 107). 167
«Quam casus aliqui aut tempus imponit» (Cicerone, De Officiis 1, 107). 168
«Quam nobismet iudicio (nostro) accomodamus» (Cicerone, De Officiis 1, 107). 169
Daremberg-Saglio 1963. 170
56 Se la «première fonction du masque est de permettre à l’homme qui la révère de se
faire autre»171, nel caso delle immagini funerarie romane il potere della maschera si eleva sopra l’individuo, non ne altera la soggettività (come fa la maschera teatrale), ma si configura come vera alternativa concettuale alla morte fisica della persona.
«(...) l’âme humaine a une tendance naturelle à conserver l’images
des défunts, celle des ancêtre en première lieu (...) C’est pour garder le souvenir, pour le transmettre, c’est aussi pur que ces morts jouissent, sous leur image, d’une sorte d’existence»172.
Con la maschera funeraria avviene lo sdoppiamento del soggetto nell’oggetto, inteso nel suo duplice aspetto grafico e plastico: lo “split representation”, teorizzato da Franz Boas173 come estensione nella pittura e nel disegno alle superfici piane di un procedimento artistico- rappresentativo, trova la sua “incarnazione” nel manufatto-maschera, mantenendo rispetto ad essa un nesso fisico e simbolico strettissimo, fondato sulla genealogia stessa dell’oggetto e ricavato in modo diretto dall’impronta del volto.
Tra l’elemento plastico e l’elemento grafico viene annullata la naturale ambivalenza della reciproca “relazione di opposizione”: la struttura e la decorazione si fondono perfettamente nell’oggetto-maschera, venendo meno, all’interno del processo di
sdoppiamento, il meccanismo della “dis-locazione”, connaturato in tutti gli altri generi
171
G.Burau 1948. 172
Si veda a questo proposito il pensiero di Patrick Rambaud 1978, p. 11. 173
F.Boas 1927, pp. 223- 224. Citato in C. Lévi-Strass 1966, p. 290. Fig 6
57 artistici174. Un sentimento profondo ispira il rito del funerale romano, in cui la funzione principe che assume la maschera è quella di conservare nel modo più estremo possibile la fisicità dell’impronta, che conferisce all’imago la massima valenza ontologica. Riprendendo le parole di Rambaud:
«La première fonction de l’imago, c’est de conserver l’apparence de celui qui a vécu. Le défunt n’a laissé de lui-même qu’un souvenir; or, le souvenir est fragile, éphémère»175.
La prima testimonianza letteraria dell’uso del calco eseguito con la cera risale al racconto di Plinio, il quale ci tramanda che:
«Primo tra tutti a riprodurre il ritratto in gesso derivandolo dalla
faccia stessa e versata la cera nello stampo in gesso a correggere l’immagine fu Lysistrato di Sicione, fratello di Lisippo. Costui cominciò anche a fare ritratti al naturale, prima di lui cercavano di farli i più belli possibile. Sempre lui inventò di riprodurre calchi della statua e la cosa ebbe tanto successo che nessuna statua fu fatta senza modello di argilla (...)»176.
La realizzazione dei calchi ripresi direttamente dai volti è un esito della formulazione lisippea del ritratto realistico. Dalla voga dei calchi e della pratica di ricavare statue dai modelli preesistenti, deriverebbe l’uso di modelli fittili per statue di qualsiasi materiale.
174
Ibidem, p. 229. 175
Per una trattazione essenziale della valenza simbolica della maschera nella storia dell’arte, si rimanda alla voce “Maschera” dell’Enciclopedia Einaudi VIII :. H.Damish1979 coll.776-795.
176
«Hominis autem imaginem gypso e facie ipsa primus omnium expressit ceraque in eam formam gypsi infusam emendare instituit lysistratus syconis frater Lysippi. Hic er similitudines reddere instituit, ante eum quam pulcherrimas facere studebant». Plinio, Naturalis Historiae XXXV, 153 (trad. R.Mugellesi, 1988).
58 Attraverso il calco si ricavano una serie di prototipi in cera su cui si lavoreranno i volti finali, secondo la funzione principale della riproducibilità177.
Come sottolinea Breckenridge nel noto studio dedicato alla ritrattistica romana antica, l’atto di ricavare dalla matrice il ritratto del soggetto-referente è un atto che tende sempre a prescindere nel modo più assoluto dall’evidenza del naturalismo mimetico178.
Questa osservazione, del tutto controcorrente rispetto alla teoria che il verismo tardoreubblicano derivi dall’uso dei calchi 179, a mio avviso è di grande importanza in un riesame attento della questione180. Secondo lo studioso, il procedimento della matrice sarebbe diretto a copiare il fenomeno del volto181, e non il
noumeno, cui pertiene invece la maschera, che
ricordiamo veniva usata nel rituale della commemorazione funebre. Proprio in questa fase di ri-produzione del soggetto in più oggetti, il calco si sottrae all’integrità del volto, innescando
177
Sembra opportuno osservare che in questo senso la funzione del calco è in antitesi con quella della maschera, configurandosi l’uno come mezzo e l’altra come fine del processo artistico-generativo.
178
J.D.Breckenridge 1968, pp. 8-9. 179
Teoria sostenuta dalla maggior parte degli studiosi di ritrattistica romana, e riassunta in modo puntuale nel saggio di D.Jackson 1987, pp. 32-47. Si rimanda al testo di Jackson per la bibliografia relativa all’argomento.
180
«The casts of the face are just a sort of direct copyng of phenomena, a tecnique which stands as a more or less exact prototype of the process of photography», Breckenridge 1968, p. 8.
181
Si intende il termine fenomeno nella sua accezione originaria greca di apparire (fainomai e nel senso kantiano di «oggetto esperibile, concluso mediante le forme a priori della sensibilità e dell'intelletto». Fig 7
59 un processo di disgregazione dell’immagine originaria, che Zadocks definisce «process
of dissolution»182.
Il volto reso dal calco apparirà rispetto alla sua matrice originara deformato nella struttura ossea, maggiormente evidente e pronunciata, e nei lineamenti facciali: in particolare «gli occhi tendono a infossarsi nelle orbite mentre le labbra pendono
all’ingiù, distanziate in modo innaturale dal setto nasale»183.
Secondo Benndorf la maschera nasce con una funzione non magica ma pratica, ossia di conservare il volto del corpo del defunto, che deve affrontare il rito della collocatio: lo studioso mette così in connessione l’uso della maschera funeraria con il rituale di esporre per diversi giorni il corpo del defunto, in posizione verticale, sia «che esso fosse
vissuto da re o da ladro»184.
Tale costume assicurava probabilmente la visibilità del corpo accertando incontrovertibilmente la morte del soggetto esposto alla pubblica vista.
Secondo lo studioso solo in un secondo momento essa assume la funzione magica di «vero ritratto» 185.
Una voce fuori dal coro è quella di Hiesinger, che nega la pratica del calco, in ragione del fatto che nè Polibio nè Plinio erano pittori e quindi non potevano conoscere i particolari tecnici relativi alle pratiche funerarie: per questo le loro descrizioni sarebbero poco attendibili. La sua teoria è fortemente messa in crisi da Jackson, che sottolinea l’importanza del riferimento incrociato di entrambi gli autori latini alla logica della «strettissima somiglianza»186.Secondo lo studioso, i ritratti degli antenati
182
A.N.Zadoks-J.Jitta 1932, p. 47. 183
The nose labial furrow became deeper, and the lips are suken, so that the distance between nose and lips is unnaturally lenghthened every detail, every little line and wrinkle is smoothed away; death masks hardly ever show anything of the so called verism, generraly attribuited to them». Infra, nota 265.
184 O.Bendorff 1870, p. 79. 185 G.E.Lessing 1857, p. 261 186 U.Hiesinger 1973, p. 815.
60 deriverebbero direttamente dai calchi dei volti:, quindi le imagines non sarebbero generiche sculture o mere teste abbozzate, ma oggetti quasi di culto, cui spetta di stabilire un’identità con la “persona” effigiata, garantita dal meccanismo dell’impronta.
61