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III Joseph Conrad, An Outcast of the Islands

L’opera di Conrad esce solo quattro anni dopo quella di Stevenson, nel 1896, ma l’atmosfera è già cambiata verso un’ulteriore problematizzazione e interiorizzazione dell’esperienza coloniale. Ciò si palesa proprio a partire dal rapporto uomo-donna presente in questo testo, ormai lontanissimo dal dispiegamento onirico del desiderio, come in Loti, e senza nessuna possibilità di compromesso più concreto come in Stevenson. Circa tre anni prima di Heart of

Darkness, infatti, Conrad ha già a che fare con tutta un’esperienza di oscurità e

tenebra legata al contatto tra un uomo bianco, sicuro della propria superiorità e del proprio potere, e una terra altra, che davanti a esso si dispiega impenetrabile e incomprensibile. Peter Willems è sicuramente, in questo senso, un predecessore di

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Kurtz; entrambi, infatti, senza alcun tipo di controllo, non sono più in grado di distinguere il confine tra libertà e dissolutezza, ritrovandosi in balia di se stessi e scoprendone tutto l’orrore. Quello che, però, in Heart of Darkness sarà presente per allusioni e per sottointesi, lasciando la storia di Kurtz a un livello quasi totalmente implicito, qui è ancora esposto, anzi, in un certo senso, lo è eccessivamente. An Outcast of the Islands, infatti, si rivela essere un romanzo densissimo, dalle innumerevoli sfumature, ricco di personaggi estremamente compositi psicologicamente, con molteplici filoni tematici e dalle fittissime dinamiche relazionali. All’interno di questa struttura il rapporto erotico si trova a essere, ancora una volta, il motivo trainante, la chiave di volta dell’intera impalcatura narrativa e a esso viene riportata pressoché l’intera gamma dei significati e dei messaggi dell’opera. Il ritorno del represso erotico conradiano si rivela, in questo senso, portatore di una maggiore complessità psicologica, rispetto a quello di Loti e di Stevenson, fino a raggiungere una capacità di accentramento tale da essere la causa scatenante di ogni evento del romanzo. Ciò non significa che esso si dispieghi meno traumaticamente rispetto a quello degli altri due romanzi; al contrario, come si è già visto nella differenza tra Aziyadé a

The Beach of Falesá, più il represso erotico si fa portatore di altri repressi più

diventa difficile esplicitarlo. Secondo questa linea non stupirà, dunque, che An

Outcast of the Islands appartenga alla categoria B della distinzione orlandiana già

accennata, per cui il ritorno del represso si trova su un piano conscio ma non

accettato. Le problematiche che si scatenano in conseguenza al rapporto tra

Willems e Aissa e le stesse reazioni dell’uomo sono sintomo di questo stadio e l’enorme conflittualità che si dispiega tra le forze di equilibrio del racconto né è il risultato più esplicito. Il fatto è che mentre l’erotismo di Loti va solo a influenzare un bisogno di libertà morale, quello di Stevenson inizia a intaccare una serie di pregiudizi e categorie e quello di Conrad, così come previsto da Bataille, va a colpire nel suo intero un sistema cognitivo dato per scontato che parte proprio dall’identificazione della propria individualità: «L’érotisme est dans la coscience de l’homme ce qui met en lui l’être en question.»230. L’esperienza di Willems,

dunque, benché tacciata come quella di un outcast e quindi allontanata dal possibile coinvolgimento del lettore, ma anche dell’autore, raggiunge

230 G.Bataille, op. cit., p. 33.

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un’interiorizzazione decisamente maggiore e questo comporta una retrocessione del ritorno del represso in una zona meno superficiale e quindi meno facile poi da portare alla luce.

Nonostante la quantità di eventi e implicazioni, però, anche in questo caso la trama può essere riassunta in poche parole: un uomo bianco, in una posizione delicata rispetto alla propria comunità coloniale, compromette definitivamente ogni sua possibilità di redenzione a causa dell’attrazione per una donna indigena che lo spingerà a fare di tutto per lei, fino al punto di schierarsi contro la sua gente in un vero e proprio conflitto politico. La linea narrativa generale è, dunque, molto simile agli altri due testi presi in analisi, con le dovute differenziazioni, già sottolineate, nella portata del messaggio. Inoltre, i coinvolgimenti e le implicazioni, che la relazione uomo-donna comporta, sono nei tre romanzi via via sempre più ampi: se Loti fa ricadere tutto sul proprio protagonista e i personaggi a lui legati senza interessare altre dimensioni, Stevenson già aumenta la portata della suo rapporto amoroso fino a renderlo necessario alla regolazioni di conti in sospeso e Conrad, infine, ne allarga talmente tanto il significato fino a trascinarvi dentro una lotta di potere tra colonizzatori e colonizzati, ma anche, perfino, le varie influenze coloniali nell’importante scena delle bandiere inglese e olandese issate a rivendicare una certa protezione e appartenenza. Insomma, va ripetuto ancora una volta, se il ritorno del represso erotico scende a un livello conscio ma

non accettato è perché esso comporta un ritorno del represso culturale molto più

ampio e molto più problematizzato che inserisce in An Outcast of the Islands più spinte tematiche.

Per districarsi tra di esse, se ne escluderanno, inevitabilmente alcune, preferendone invece altre in grado di illuminare meglio il paradigma qui ricercato. A questo scopo si procederà, in un primo momento, alla breve presentazione di alcuni personaggi ritenuti maggiormente importanti, poi, all’analisi di alcune scene chiave, in terzo luogo all’importanza dell’elemento paesaggistico e, infine, al rapporto tra l’uomo e la donna.

 I personaggi

134 When he stepped off the straight and narrow path of his peculiar honesty, it was with an inward assertion of unflinching resolve to fall back again into the monotonous but safe stride of virtue as soon as his little excursion into the wayside quagmires had produced the desired effect.231

Questo è il primo periodo del romanzo e già chiarisce i punti salienti della personalità del protagonista. Il lettore capisce subito, cioè, di avere a che fare con un personaggio da una moralità non troppo chiara (suo particolare tipo di onestà), ma estremamente sicuro delle proprie capacità (irremovibile decisione interiore); queste due linee sono quelle che lo caratterizzeranno, con il loro affermarsi o confutarsi, per tutto il dispiegarsi della storia. In realtà entrambe possono essere riportate a una sola, cioè alla certezza che Willems ripone sulla sua superiorità, rispetto ai suoi compatrioti, ma soprattutto rispetto agli indigeni e al potere che può esercitare su di essi:

He did not analyze the state of his mind, but probably his greatest delight lay in the unexpressed but intimate conviction that, should he close his hand, all those admiring human beings would starve.232

Ancora una volta si accenna all’indifferenza morale del protagonista e dopo se ne spiega il punto di origine maggiore nel suo sadismo inconscio che prende forma nel piacere di controllare la vita della famiglia indigena della moglie, fino a sfiorare il pensiero di poterli fare morire tutti. Questa sua prima degenerazione indica che, nel momento in cui il lettore fa la conoscenza di Willems, egli è già in una fase in cui la libertà di azione e di controllo hanno corrotto alcuni dei suoi principi civili, tanto da spingerlo (a questo si riferisce la prima citazione) a imbrogliare temporaneamente il suo capo per poter guadagnare di più, con la netta convinzione di essere in grado non solo di non farsi scoprire, ma perfino di farsi promuovere. Quando, invece, viene smascherato non solo perde la fiducia e l’ammirazione degli altri uomini bianchi con cui si vantava tanto, ma viene trattato malamente anche dai parenti autoctoni e scacciato via dalla moglie da cui

231 J. Conrad, An Outcast of the Islands, London, Dent & Sons, 1949, p. 3. (L’edizione italiana di riferimento, da cui sono tratte le parziali traduzioni, in corsivo nel testo, è Id., Un reietto delle

isole, trad. R.Ambrosini, Milano, Garzanti, 1994).

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si rende conto, con grande stupore, di essere odiato. È in questo momento che il titolo viene per la prima volta sfiorato, in quanto dopo essere stato insultato e scansato Willems afferma di sentirsi come «the outcast of all mankind »233. La sua umiliazione è tale da fargli pensare al suicidio, ma viene fermato in tempo dall’altro grande personaggio del romanzo, il capitano Lingard, che lo ha allevato fin da ragazzo. Questi gli permette di andarsene dall’isola con la prospettiva di ricominciare da capo da un’altra parte dopo un breve soggiorno a Sambir, piccolo villaggio su un fiume (significativo rispetto a Heart of Darkness che anche qui la vicenda si svolga su un fiume il cui possesso acquista un’importanza incredibile). Il periodo di permanenza si rivela essere più lungo del previsto e il protagonista che si ritrova lasciato a se stesso e senza nessuna occupazione (altro elemento, l’indolenza, importante nella preparazione della capitolazione definitiva) cerca di calmare la sua frustrazione ritirandosi in luoghi sempre più appartati e lontani della foresta, fino all’incontro decisivo con Aissa, la donna mezza malese e mezza araba. L’evoluzione del protagonista da qui in avanti è indistricabile da quella della protagonista e vale, quindi, la pena rimandarla, per un risultato più efficace, alla trattazione sul rapporto tra i due. Prima di passare ad Aissa, però, conviene ancora una volta ribadire che se è vero che la perdita del proprio sé avviene principalmente sotto l’influsso dell’attrazione erotica, Willems, al momento dell’incontro con la donna, si trova già in una posizione di reietto dovuta al dispiegamento incontrollato della propria volontà di potere e guadagno, volontà talmente forte da ritornare spesso come motivo nei pensieri del protagonista. Infatti, se è vero che egli si trova isolato a Sambir dall’unico altro uomo bianco presente, Almayer, è perché quest’ultimo non solo sospetta di lui, ma anche perché, in quanto suo ex collega e sottoposto, lo ricorda come estremamente prepotente e autoritario. Dunque, il temperamento di Willems, come quello che sarà poi di Kurtz, è guidato da una brama che lontano dai centri di controllo diventa potenzialmente distruttiva, non solo nei confronti degli altri (il sadismo nei confronti di colleghi, sottoposti e indigeni), ma soprattutto, come si vedrà, nei confronti di se stesso, e quanto questa si farà desiderio erotico diventerà incontrollabile.

233 Ibid., p. 30.

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2. Aissa

Quello che più stupisce di questo personaggio è il fatto che appartenga sotto molti aspetti a quel gruppo di femmes fatales così presenti nella seconda metà del XIX secolo e stupisce ancora di più che, nonostante questa sua possibile riduzione a una categoria ben chiara e inflazionata, essa risulti poi un personaggio estremamente articolato, le cui descrizioni, pur all’interno della casistica tipica, hanno una potenza evocativa non indifferente. La sua fatalità, infatti, lungi dall’essere soltanto una posa o un elemento di intreccio in più, risulta essere fondante in quanto simbolica. La donna non è qui solo oggetto di erotismo, ma si fa portatrice di altre istanze, prima di tutto quelle della sua terra.234

He looked at the woman. Through the checkered light between them she appeared to him with the impalpable distinctness of a dream. The very spirit of that land of mysterious forests, standing before him like an apparition behind a transparent veil—a veil woven of sunbeams and shadows.235

Con questo passaggio viene sancito definitivamente il legame tra la protagonista e la natura dei suoi luoghi e viene inaugurata la tendenza, presente, come si vedrà, in tutto il libro, di rendere il paesaggio testimone di ogni evento importante. Inoltre, ci sono qui molti degli elementi che, secondo quanto visto in Praz e in Brooks, caratterizzano la donna agli occhi di una cultura patriarcale e borghese e che sono riassumibili nell’immagine del velo che collega l’idea del possesso della donna a quello della conoscenza della verità. Lasciando anche questo aspetto all’analisi che ne verrà fatta nella parte dedicata al rapporto tra i due protagonisti, basti adesso sottolineare altre due particolarità con cui Aissa viene continuamente descritta: il suo temperamento virile e i suoi occhi. Non è un caso che più volte e fino alla fine si insista sul suo essere «Woman in a body, but in heart a man!»236 e questa insistenza risulta essere ancora più significativa se si pensa ad Armida, a Cleopatra, a Carmen, che prima di lei, in un topos essenziale al rapporto uomo occidentale-donna orientale, hanno assunto fattezze virili proprio come

234

Si ricordi a questo proposito l’immagine della donna africana che punta le braccia al cielo in

Heart of Darkness: la donna possiede una tale forza simbolica da ridursi, proprio per questo suo

valore, quasi a una pura apparizione delle forze che hanno catturato Kurtz nella terra straniera. 235

Ibid., p. 70.

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evidenziazione delle propria capacità davanti all’amante. La seconda caratteristica assume importanza, invece, all’interno della simbologia che essa rappresenta e che, dalla figura di Medusa, alla Sfinge, a tutte le donne fin de siècle, è foriera del magnetismo femminile come forza incontrollabile e sconosciuta al sistema maschile. Ancora nel primo incontro tra i due protagonisti i riferimenti agli occhi di Aissa fanno da padroni fino al culmine finale:

Through the mesh of scattered hair her face looked like the face of a golden statue with living eyes. The heavy eyelids dropped slightly, and from between the long eyelashes she sent out a sidelong look: hard, keen, and narrow, like the gleam of sharp steel.237

Quello di Aissa è, dunque, un personaggio che deve molto alla tradizione di donne fatali che la precedono, ma che, nonostante questo, si rivelerà, nel confronto con i vari uomini bianchi, di una consapevolezza e di una capacità di affermazione della propria esistenza non sottovalutabile. Scrive a questo proposito Ruth Nadelhaft:

The native woman Aissa, who captivates and terrifies Willems, represents in An Outcast

of the Islands not only a love affair but also a personification of native culture in all its

wildness and its passionate self-consciousness.238

Ciò può essere intuito anche dalle motivazioni che la spingono a intessere il suo rapporto con Willems, che non sono solo passionali, ma che hanno anch’esse un desiderio di potere e grandezza che va a contrastare con quello dell’uomo. Essa, infatti, accetterà di essere utilizzata quale strumento di ricatto per spingere il protagonista a collaborare con la popolazione locale nella ribellione contro Lingard che detiene il controllo di Sambir e si negherà all’uomo per indurlo a eseguire i piani prestabiliti, fino a costringerlo a una prostrazione totale:

“Aïssa, do you hear me? Come back! I will do what you want, give you all you desire—if I have to set the whole Sambir on fire and put that fire out with blood. Only come back. […]”239

237

Ibid p. 78.

238 Ruth Nadelhaft, Women as Moral and Political Alternatives in Conrad’s Early Novels, in Theory

and Practice of Feminist Literary Criticism, edited by Gabriela Mora and Karen S. Van Hooft,

Ypsilanti, Bilingual Press, 1982, p. 247.

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Insomma se la protagonista trae parte della sua origine nel milieu artistico degli anni in cui Conrad compone, l’altra parte sorge, invece, da una volontà dell’autore di fare di lei un’alterità con una propria specificità non riducibile ed è proprio dall’unione di queste due tendenze che essa trae la sua alta capacità di fascinazione e, soprattutto, di simbolizzazione.

3. Il capitano Tom Lingard

Tom Lingard was a master, a lover, a servant of the sea. The sea took him young, fashioned him body and soul; gave him his fierce aspect, his loud voice, his fearless eyes, his stupidly guileless heart. Generously it gave him his absurd faith in himself, his universal love of creation, his wide indulgence, his contemptuous severity, his straightforward simplicity of motive and honesty of aim.240

Tutta la descrizione di questo personaggio sta in queste poche frasi, al secondo capitolo del romanzo, tra una digressione sul mare e la storia dell’incontro tra Lingard e il protagonista. Verrà raccontato, infatti, subito dopo, come il capitano impietositosi di un Willems giovanissimo e disertore dalla sua nave olandese, lo abbia accolto e allevato sulla sua nave con grande orgoglio. Due capitoli dopo, appresa la sventura del suo pupillo, lo salva ancora una volta portandolo, come già detto, a Sambir. Solo quando il protagonista lo tradirà aiutando i suoi rivali a togliergli il monopolio sul fiume, la psicologia del capitano sarà approfondita ancora un po’. Prima di tutto gli verrà rinfacciata da Almayer proprio la sua generosità (il suo ingenuo cuore) che a quanto pare si smuove solo per «what is poisonous and deadly»241 suggerendo che la sua propensione ad aiutare non è tanto dovuta a una bontà disinteressata, ma a una conferma delle proprie capacità di influenza. Il tradimento di Willems, se lo scalfisce, lo fa proprio perché va a intaccare la certezza nella sua influenza e in un luogo in cui Lingard credeva di essere imbattibile.

It was only since his return to Sambir that the old seaman had for the first time known doubt and unhappiness. […] A good many years ago—prompted by his love of adventure—he, with infinite trouble, had found out and surveyed—for his own benefit only—the entrances to that river […]. No doubt he thought at the time mostly of personal gain; but, received with hearty friendliness by Patalolo, he soon came to like the ruler and

240

Ibid., p. 13. 241 Ibid., p. 161.

139 the people, offered his counsel and his help, and—knowing nothing of Arcadia—he dreamed of Arcadian happiness for that little corner of the world which he loved to think all his own. His deep-seated and immovable conviction that only he—he, Lingard—knew what was good for them was characteristic of him, and, after all, not so very far wrong. He would make them happy whether or no, he said, and he meant it.242

In questo passaggio Conrad chiarisce l’atteggiamento maggioritario del capitano, facendo di lui un esempio di colonizzatore convinto della superiorità della propria impresa243. La sua propensione a fare del bene, la stessa che lo ha spinto a proteggere più volte Willems, è dovuta alla convinzione che solo lui è in grado di sapere cosa è bene e cosa è male e l’ultima frase è in questo senso cristallina: solo Lingard può rendere felici gli abitanti di Sambir, con la forza o meno, che è pressoché la convinzione dell’ideologia coloniale, almeno come divulgata generalmente. Quello che il protagonista è riuscito a fare non è grave agli occhi di Lingard per le conseguenze economiche e di potere che comporta, quanto per il fatto che ha messo in questione le certezze del capitano: non solo perché lo stesso tradimento di Willems è una smentita, ma soprattutto perché l’intero villaggio seguendo questi si ribella, dimostrandogli che la benevolenza nei suoi confronti è solo paura. Questo equilibrio di forze viene palesemente schierato al momento dei tre confronti tra Lingard e gli tre personaggi qui presentati, raggiungendo il suo culmine proprio nel dialogo con il protagonista dove saranno messi l’uno davanti all’altro due possibili atteggiamenti nei confronti dell’alterità, uno canonico, per così dire, quello del capitano, e uno deviato, quello di Willems, che, tuttavia, si riveleranno meno distanti del dovuto.

4. Babalatchi

L’ultimo personaggio è senz’altro quello più difficile da definire. Esso infatti, nonostante non gli sia concesso grande spazio di approfondimento, ha all’interno del romanzo un ruolo centrale, anzi si può dire che è colui che attiva il motore stesso degli eventi. Nell’equilibrio di contrasti del romanzo egli è dalla parte della popolazione indigena di Sambir, ma non è uno di loro e la sua azione è dettata

242

Ibid., pp. 199-200.

243 In questo aspetto il personaggio conradiano ha molto a che fare con il Prospero di The

Tempest. Non a caso nella citazione riportata sono riscontrabili certe punte di ironia sottile

proprio per sottolineare quella certezza di sé e quella convinzione cieca nel proprio ruolo tipiche

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