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Il capitale intellettuale, è attratto dall’Italia?

2. Alla ricerca della classe creativa in Italia: un imprinting culturale.

2.2 Il capitale intellettuale, è attratto dall’Italia?

La situazione sembra ancora più disarticolata per quella classe dei creativi che nasce e si forma in Italia. Con l’aumento della possibilità di spostarsi - grazie all’Europa che ha eliminato le frontiere interne e alla diminuzione dei costi dei mezzi di trasporto a lungo raggio- molti italiani sono emigrati e continuano ancora oggi a emigrare. Una volta formati e terminati i propri studi terziari in Italia, non trovando risposte concrete dal mondo del lavoro e della ricerca, molte persone hanno preso la dura decisione- lasciando famiglia, amici, il luogo in cui sono cresciuti e la cultura di questo Paese- di esportare le

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proprie conoscenze in altri paesi sia europei sia d’oltre oceano. Questo fenomeno è definito, nel gergo comune, come la “fuga dei cervelli”: infatti «secondo le analisi condotte […] basate sul numero degli iscritti all’Anagrafe

degli Italiani residenti all’estero (AIRE) ha perso ogni anno dal 3 al 5 per cento dei suoi neolaureati» (Tinagli, 2008: 62). Gli stessi Italiani non considerano il

loro Paese appetibile per quanto riguarda le possibilità di lavoro. Perdere i neolaureati è un grande azzardo le cui conseguenze sono ancora difficili da capire. Ancora non è stato ben compreso dall’Italia e dagli italiani, perché non sono mai state attuate delle politiche concrete per far rimanere o far rientrare questa parte della popolazione. Inoltre sono del tutto assenti strategie concrete fatte sia dalle istituzioni pubbliche- spesso a causa dei continui cambi di governo- sia da parte delle imprese, che anziché attirare o provare a spingere il governo a formulare delle strategie per assumere questo capitale conoscitivo, espatriano anche loro perché economicamente più conveniente. Inoltre, la nostra stessa società incoraggia i giovani ad andarsene, perché vi è l’idea che «spesso espatriare significa crescere professionalmente. Infatti, si va all’estero

per cogliere possibilità di lavoro più stimolanti di quelle presenti in Italia (51%), fare un’esperienza internazionale (38%), o perché è il passaggio obbligato per fare carriera in azienda (24%)» (Redazione Il fatto Quotidiano, 18

novembre 2013). Lasciare andare parte della popolazione più formata, farà sorgerà il pericolo di restare privi dell’unica possibilità che permetterebbe al Paese di svilupparsi ed evolversi sia economicamente sia culturalmente; senza questa possibilità si rischierebbe di rimanere un paese statico e immutabile. Altrettanto complicata è capire quanti e quali membri di questa classe creativa estera e dei loro neolaureati è attratta dall’Italia dopo i suoi studi. Sappiamo, che c’è scarsità negli investimenti per ricerca, «un’indagine di Eurostat del

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2003, sulla mobilità europea degli occupati nei settori della scienza e tecnologia, mostrava come l’Italia fosse il paese europeo con la minore percentuale di lavoratori in questi settori provenienti da paesi stranieri»

(Tinagli, 2008: 58). L’Italia può ciononostante vantarsi di alcune eccellenze in campo scientifico e tecnologico all’estero, mentre molti altri Paesi, più politicamente influenti o economicamente ricchi, come Francia e Gran Bretagna, non possono fare altrettanto. Purtroppo le nostre stesse Università hanno una continua difficoltà a garantire la ricerca in questi ambiti di eccellenza internazionale, non solo perché vi sono pochi finanziamenti, ma perché non ci sono delle strutture e laboratori adeguati per questo tipo di ricerca scientifica e tecnologica. Possiamo perfino dire che in molti centri italiani sono del tutto assenti.

L’Italia manca, dunque, di una parte del nucleo centrale della propria classe creativa, cosi come elencata da Florida. Scienziati, ingegneri e professori italiani all’estero, le cui vite e ricerche sono state perdute dal nostro paese a causa di questi investimenti mancati. Investimenti che sarebbero stati sicuramente profittevoli e necessari se valutati con l’ottica di considerare il futuro come una conseguenza del presente. Bisognerebbe «dare ai ricercatori

che tornano la possibilità di portare avanti i loro progetti e crescere all’insegna della trasparenza e della meritocrazia» (Quarantelli, 21 ottobre 2013), perché i

ricercatori contribuiscono con i loro studi allo sviluppo di questo futuro. Su questo l’Italia manca d’iniziativa, inoltre quei timidi tentativi di ribaltare il trend, che sono stati fatti dalle istituzioni come il Governo, le Università o le imprese, non sono bastati per riattrare parte di questa nostra classe creativa perduta.

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Pur avendo in Italia il più grande e variegato patrimonio artistico-culturale e una storia artistica legata alla prima industria cinematografica- come Cinecittà a Roma-, alla musica e al teatro, che l’hanno resa per lungo tempo un luogo in primo piano sulla sfera internazionale, ciò non è bastato per riuscire ad attrarre e trattenere quel capitale della conoscenza contemporaneo legato all’arte e alla cultura. Questa parte del core della classe dei creativi, oggi e domani starà e ricercherà i luoghi in cui potrà avere la più grande possibilità di esprimersi attraverso la propria arte. Cercheranno luoghi in cui potranno vivere ed essere apprezzati per quello che fanno. Dal sud al nord della penisola, vi sono numerose Accademie, Istituti e scuole di alta formazione per artisti e artigiani, ma sono riamaste legate alla formazione del passato, innovano poco sia nell’insegnamento sia nell’offrire servizi adeguati per laboratori che siano a passo con la contemporaneità: perché «l’arte

sperimentale, come la si concepisce oggi, ha preso delle vie talmente varie e, appunto segnate dalla sperimentazione tecnica, progettuale, teorica ed estetica, che una omologazione simile degli stili degli studenti non è più proponibile»

(Santagata, 2009: 355). Quindi spesso, chi può permetterselo, emigra nelle città e nei Paesi che sono definiti come le Capitali economiche dell’arte contemporanea, perché è in questi luoghi che si mettono in risalto le nuove avanguardie dell’arte: non solo per la formazione ma anche per la possibilità di fare carriera. Quelli che si formano in Italia, invece, emigrano una volta terminati gli studi verso altri Paesi, come Germania, Inghilterra, Francia e Stati Uniti. L’Italia sta perdendo il suo primato anche sulle eccellenze della creatività, infatti «[…] è cambiato lo status della scena italiana nel

contemporaneo internazionale: da palcoscenico di primo piano a palcoscenico relativamente marginale e secondario» (Santagata, 2009: 351).

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