creativa e il territorio.
2.5 Vi raccontiamo la Storia: gli artisti e gli artigiani in
Italia.
Come in precedenza asserito, in Italia la poca accessibilità, la scarsa informazione, la dislocazione e la snaturalizzazione dei luoghi hanno reso gli artisti e gli artigiani delle figure mitologiche e poco comprese. I media hanno alimentato questa mitologia, esagerandone i tratti psicologici e comportamentali, attribuendogli un ruolo d’immagine, come se fossero un fantoccio della cultura di una società. Se prestassimo attenzione a come la maggior parte dei film o degli show televisivi, parlano o rappresentano gli artisti, potremmo notare che questi sono spesso teatralizzati, caricature o maschere, come quelle della Commedia dell’arte, con caratteristiche ridicole e atteggiamenti esagerati, enigmatici e camuffati o esibizionisti, spesso personaggi prima emarginati dalla società e poi divinizzati sul palcoscenico. La situazione dell’artigiano è però diversa, è diventato colui, che con il suo lavoro manuale, vive a stenti di un antico sapere che va dimenticandosi. Queste politiche culturali sia televisive che cinematografiche ci faranno concentrare sulla superficialità delle caratteristiche e gli stili di vita di queste persone. Ci portano spesso a sminuire il loro ruolo sociale oltre che culturale, dando poca considerazione nei loro riguardi all’interno del nostro Paese.
Questo ha portato da parte degli artisti e degli artigiani a rifiutare l’appellativo di “artista” o di “artigiano”, preferendo o convenendoli riconoscersi e identificarsi in altro.
Le nuove generazioni tendono a intraprendere meno coraggiosamente la loro arte come mestiere, perché pensano che per avere successo attraverso la loro
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passione dovranno riuscire a inserirsi nel mondo dello Star System, creato da Hollywood o dai mercati internazionali dell’arte. Potrà, allora, accadere che queste nuove generazioni si scoraggino o accettino qualsiasi compromesso pur di riuscire ad emergere. Se accettato, questo compromesso farebbe perdere all’arte il suo senso e scopo sociale, perché «i lavoratori creativi devono essere
lasciati liberi di esprimere se stessi attraverso l’intero processo di creazione di un oggetto. In tal modo hanno il controllo del loro lavoro, e contribuiscono a una cultura vibrante e dinamica[…]» (Gauntlett, 2013: 71). Quando un giovane
si trova a dover scegliere tra seguire la sua passione o fare altro, allora entrano «[…] in gioco anche ragionamenti di tipo economico che valutino i costi
associati a tale scelta e le relative convenienze future: convenienze in termini di qualità del lavoro, delle retribuzioni, dello status sociale raggiunto e così via»
(Tinagli, 2008: 56). Le figure dell’artista e dell’artigiano italiano non avranno lo stesso status sociale che potranno avere le altre professioni, come per l’appunto l’avvocato, l’ingegnere o anche lo stesso architetto, citate poiché secondo la definizione di Florida sono tutte figure professionali che fanno parte della stessa classe creativa. Per questo motivo le nuove generazioni tenderanno ad affiancare alla loro reale passione artistica, qualcosa che sia riconosciuto “di buon occhio” dalla società in “qualità del lavoro, delle
retribuzioni e dello status sociale”.
L’idea e la mitologia che si sono formate intorno alla figura dell’artista hanno creato anche un paradosso: molti si sentono artisti e pensano di poter creare arte, così ogni loro azione, anche la più banale, viene interpretata da critici e pubblico come il risultato di una costruzione di senso, contenuti spesso superficiali, estemporanei, incapaci d’apportare evoluzione e miglioramento nella società. Questi fraintendimenti e caotici camuffamenti, non sono soltanto
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legati a quello che sta accadendo nel nostro presente, ma sono stati influenzati da quelle idee che si sono venute a costruire in Italia, nel corso del tempo, intorno ad alcune parole. Se riflettiamo, in particolare, sull’idea che si è costruita intorno alla parola “arte” in Italia, scopriremmo che: «l'arte
contemporanea è penalizzata proprio dalla parola “arte”, in particolare in Italia, dove l'arte è qualcosa di preciso, chiaro, agganciato alla natura stessa dell'idea d'Italia. Invece, contemporanea è quell'arte che ancora non ha saputo affermare se stessa dentro la curva della storia, quell'arte che a volte non sa di essere tale. Da sempre il progetto della contemporaneità è sfidare la storia, scommettendo sul futuro» (Bonami, 2002: 10).
In Italia questa parola ha sempre avuto un forte legame con il passato e la storia del territorio. Gli interpreti di questa parola, come critici d’arte, curatori o studiosi, ne hanno alimentato il legame col passato, snobbando però quell’arte che crea il nuovo, il diversamente utile e non la semplice novità, quell’arte che potrebbe essere davvero innovazione sociale e culturale. L’artista contemporaneo, che crea e osa, sfidando il passato, non fa parte di quel mondo dello Star System, perché attualmente non sarebbe riconosciuto in quanto tale, poiché non avremmo la giusta chiave di violino per riconoscerlo come tale. Non avremmo la giusta capacità di comprendere il loro nuovo linguaggio, in quanto loro stessi dovrebbero farsi interpreti tra noi della loro arte, ruolo che invece ricoprono i critici o i curatori, sensibili all’estetica ma meno alle problematiche sociali, miopi nell’intravedere e cogliere gli stimoli che l’arte messa in mostra contiene.
I creativi sono quindi il prodotto della nostra contemporaneità, perché la loro chiave di lettura è già stata trovata e tradotta nel passato, sono solo un riflesso della nostra società. Nello stesso tempo, i veri innovatori non possono essere
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classificati, perché quello che fanno non è uno specchio di quello che li circonda, viene quindi difficile riconoscere l’Umana natura e sensibilità contenuta nei loro lavori. Di conseguenza, i creativi del domani, non riusciranno a identificarsi con questo termine, perché sono immagini di un futuro possibile e non riflesso di un passato immutabile.
È dunque sottile la differenza fra la categoria dell’artista e dell’artigiano, poiché possiamo considerare «l’artista come artigiano potenziato: o meglio,
artista e artigiano come due facce di una stessa medaglia, dal cui dialogo e dal cui confronto nasce quell’eccellenza che si traduce in differenza, in unicità, in vantaggio competitivo» (Cavalli, 2011: 5). Riuscire a creare un dialogo tra
l’artista e l’artigiano è una delle azioni che le grandi imprese stanno cercando di adottare in Italia. Artisti e artigiani, infatti, contribuiscono attivamente alla creazione di un imprinting culturale italiano, ma involontariamente, perché spesso quello che generano lo fanno perché devono rispondere alle esigenze di una passione incontrollata nata da una attenta osservazione della realtà. Il loro scopo non essendo sempre ben compreso, è utilizzato da terzi che usano questi prodotti artistici come beni strumentali per i loro fini con intenzioni diverse da quelle che potranno avere gli artisti o gli artigiani. Per terzi intendiamo istituzioni pubbliche o private, che utilizzano l’arte e la cultura per propri bisogni e scopi. Alcuni la impiegano per creare degli ambienti stimolanti, con il fine di aumentare la produttività dei propri dipendenti: come le collezioni degli imprenditori che vengono utilizzate ed esposte all’interno di alcune imprese. La produttività delle imprese, difficilmente aumenterà ponendo semplicemente delle opere d’arte dentro i luoghi di produzione o negli uffici dei dipendenti. Certo è che operai e dipendenti non potrebbero mai tendere a quel tipo di libertà del fare, in cui la presenza di stimoli e creatività
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gli aiuta ad essere più produttivi e inventivi, perché troppo spesso i loro compiti sono mansioni ripetitive, schematiche, pre-impostate; come controllare l’andamento dei macchinari. Quindi, la creatività che li circonderebbe sarebbe per loro solo pura illusione, una visione onirica. Bisognerebbe, invece, liberarli dal timore di esprimere il proprio pensiero e la propria immaginazione applicata al lavoro, oppure di impiegarli davvero in qualcosa che gli potrebbe far esprimere qualche tipo di creatività.
Altri ancora, utilizzano l’arte per provare a rieducare il consumatore a comprare e utilizzare prodotti più ricercati, come la moda che si è venuta a creare sul concetto del “fai da te”: rendere il consumatore più consapevole dei materiali utilizzati per i prodotti, o del tempo impiegato per farli o del significato che potrebbero acquistare per chi li fa, li renderà a sua volta consapevoli del valore e quindi li incoraggeranno a comprare prodotti fatti dalle fabbriche “artigianali”, presenti in Italia.