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2. Il caso delle politiche di Social Housing

2.2. Il carattere multidimensionale del Social Housing

La questione di come definire i differenti aspetti del concetto di social housing ha alimentato un dibattito molto acceso da quando la maggior parte degli studiosi, e a volte anche degli addetti ai lavori, ha iniziato a percepire il tema dell’abitare come sempre più legato ai grandi mutamenti della società moderna. In effetti, l’identificazione del perimetro di azione delle politiche del social housing dipende sempre più spesso dall’evoluzione del significato stesso di casa, come afferma Mugnano: «… La casa porta con sé delle forti contraddizioni in quanto è contemporaneamente un oggetto fisico, architettonico e una costruzione culturale e sociale. Vi sono infatti standard abitativi da garantire, norme igieniche da rispettare ma allo stesso tempo ogni cultura, società, generazione ed epoca ha avuto, e continua ad avere, significati diversi legati alla casa. La divisione degli spazi interni, il rapporto tra spazio interno e spazi comuni, la relazione tra casa e quartiere hanno una diretta applicazione sulle forme architettoniche, sugli stili di abitare, ma anche sul valore economico del bene ...» (Mugnano, 2017, p. 12). Sempre secondo Mugnano, «… il tema della casa sta cambiando lentamente ma inesorabilmente, rispetto al passato. Studiare la domanda abitativa è certamente centrale in quanto può aiutare a far emergere o mettere in luce alcuni mutamenti storici, sociali ed economici della società. Nel periodo postbellico la questione abitativa si concentrava soprattutto sul tema della ricostruzione e dell’accesso a standard abitativi moderni. Durante il periodo dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, il tema centrale era fornire una risposta immediata e a buon mercato alla domanda di casa espressa da masse di lavoratori che affluivano nei grandi centri urbani come nuova forza lavoro. Quali sono i bisogni abitativi dell’Italia contemporanea? La flessibilità e la precarietà lavorativa, la

forte attenzione delle giovani generazioni ai temi legati alla sostenibilità ambientale, i nuovi modelli familiari, e altri fenomeni come l’invecchiamento della popolazione richiedono certamente un cambio di marcia delle risposte pubbliche e private nell’ambito dell’abitare. Nel contesto italiano degli ultimi venti anni sono emersi nuovi bisogni abitativi da parte sia delle popolazioni più vulnerabili, che da quelle meno vulnerabili e pur sempre in maggiore difficoltà nell’accesso alla casa. Non si tratta solamente della cosiddetta area grigia, ma anche di quelle fasce che, pur essendo state protette dal sistema abitativo del secolo scorso, cominciano a mostrare alcune fragilità. Lo scenario dei bisogni abitativi è quindi complesso e le risposte prodotte si sono o si stanno moltiplicando e differenziando…» (Ivi, p. 11).

La questione abitativa, dunque, e in particolare quella del social housing sono legate a dimensioni diverse dall’interpretazione della casa intesa esclusivamente come “mattoni e cemento”. D’altra parte, autori come Gurney (1990), mettono in guardia dal considerare la casa solo attraverso la dimensione emotiva.

Proprio nel tentativo di superare questa apparente insanabile dicotomia, la maggior parte degli autori impegnati sul tema dell’abitare hanno adottato un approccio multi- dimensionale in grado di prendere in considerazione le tante dimensioni che interessano l’housing. A tale proposito, Easthope (2004) definisce la casa come la sintesi di tre grandi famiglie di dimensioni: la dimensione socio-spaziale, la dimensione psico-spaziale; e la casa come contenitore di emozioni.

In realtà, le dimensioni coinvolte nella questione abitative sono probabilmente ancora più numerose, ciò che conferisce alle politiche di social housing un particolare carattere di complessità legato appunto alla multidimensionalità, sia dei problemi a cui le politiche intendono far fronte, sia delle soluzioni messe in opera. Ciò riguarda in modo particolare la dimensione territoriale come ambito privilegiato delle politiche di sviluppo locale. In tal senso, Saccomani afferma che «… il territorio non è più inteso come semplice supporto di funzioni ed interventi, ma come un’entità complessa e multidimensionale con proprie specificità locali, storia e identità: queste specificità sono una dimensione fondamentale dei processi dello sviluppo e le politiche di sviluppo devono riconoscerle e valorizzarle …» (Saccomani, 2004, p. 25).

Proprio all’aspetto della multidimensionalità dell’abitare si sono recentemente ispirati alcuni interventi di housing in Italia come, ad esempio, il progetto QUA.FA.S.I.12 in Toscana. Come messo in evidenza da Monesini e Ruggieri «A partire da una prospettiva ecologico sociale e multidimensionale dell’abitare, lo scopo del progetto era quello di approfondire i fattori macro-sociali, abitativi e relazionali del quartiere e la qualità delle relazioni sociali in famiglia e a scuola per capire i meccanismi che generano disagio nelle persone, nelle famiglie e nei bambini e costruire degli interventi sperimentali di riduzione del disagio e di promozione della resilienza» (Monesini, Ruggieri, 2014, p. 15). Come ben definito da Bonetti riguardo a tale progetto sperimentale «… L’esplorazione delle modalità concrete dell’abitare è alla base del progetto QUA.FA.S.I è un progetto di ricerca-azione realizzato in uno storico quartiere di edilizia residenziale pubblica il cui esito finale è costituito dalla sperimentazione di un servizio sociale di prossimità. Il progetto si propone di promuovere condizioni di maggior benessere e di maggior inclusione assumendo come riferimenti cardine due piani in rapporto reciproco sostegno: da un lato l’agency e la partecipazione degli abitanti alle scelte che li riguardano, dall’altro, la trasformazione dei contesti di vita attraverso l’attivazione delle risorse sociali. Collocandosi al livello di condominio e di quartiere, il progetto muove dalla dimensione locale dell’abitare per sostenere processi generativi di relazioni, attività e strategie che non si limitano a ridistribuire beni per colmare mancanze, ma mirano piuttosto a costruire le condizioni per l’esercizio di una maggior cittadinanza…» (Bonetti, 2014, p. 47).

Riflettendo sugli insegnamenti di tale intervento condotto in Toscana, Guerrini afferma che «L’estensione del concetto di abitare, dalla casa al contesto, si concretizza nel riconoscere centralità ad altre dimensioni come il rapporto con il quartiere, le relazioni di convivenza e le interazioni con altri attori del territorio» (Guerrini, 2014, p. 61).

12 Il progetto QUA.FA.S.I. (Quartiere, Famiglia e scuola insieme), realizzato nel periodo 2011-2014 nei comuni di Viareggio, Lucca e Capannori e finanziato dalla Regione Toscana all’interno del bando: “Finanziamento di ricerche interdisciplinari finalizzate all’individuazione e alla riduzione delle condizioni di disagio abitative e sociali nelle strutture insediative dell’edilizia residenziale pubblica” ha visto la partecipazione dell’Università di Firenze (Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia), dell’Università di Pisa (Dipartimento di Scienze Politiche), dell’Ente gestore dell’edilizia residenziale pubblica di Lucca e delle amministrazioni comunali di Viareggio, Lucca e Capannori.

Le caratteristiche delle politiche del social housing, dunque, non possono che essere caratterizzate dalla multidimensionalità e dall’interrelazione tra le differenti dimensioni della realtà sociale, quest’ultima essendo peraltro in continuo divenire. In tale quadro di dinamicità e di interrelazioni continue tra aspetti e dimensioni differenti, l’attore può giocare un ruolo decisivo attraverso le sue politiche o anche attraverso il suo disimpegno. Come fa notare Mugnano, tra gli anni ‘70 e ‘90, in Italia, si registra «… la perdita di interesse da parte del settore pubblico verso il tema dell’abitare. Questo ha provocato diversi effetti. In prima battuta vi è stata una drastica, ma inesorabile, contrazione dei finanziamenti degli investimenti pubblici nell’ambito della casa. Più in generale si può dire che in questi anni inizia un processo di smantellamento della questione abitativa che si è concretizzato sotto diverse forme. Ciò è vero soprattutto per i quartieri di edilizia residenziale pubblica. Dagli anni ‘70 fino alla metà degli anni ‘90 queste aree escono completamente dall’agenda politica e sociale dei nostri governi nazionale e locali. Questi vent’anni di completo disinteresse da parte dell’attore pubblico si sono concretizzati in un più generale disinteresse per la manutenzione, ordinaria e straordinaria, degli immobili. I quartieri di edilizia residenziale pubblica passano da edifici all’avanguardia, rispondenti a standard abitativi, a luoghi di disagio abitativo e di degrado edilizio …» (Mugnano, 2017, p. 30).

Per avere una idea del carattere complesso e multidimensionale delle politiche di social housing può essere citato il caso della Comasina a Milano, un esempio emblematico delle dinamiche sociali e economiche, oltre che urbanistiche, che la progettazione e la realizzazione di un intero quartiere di edilizia popolare può conoscere. Il quartiere, la cui costruzione fu iniziata nel 1953 su iniziativa dell’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP), fu il primo esempio di quartiere autonomo e auto-sufficiente nella storia della pianificazione urbana in Italia, con i suoi quattro grandi condomini collegati alla piazza principale e con soluzioni altamente innovative, almeno per l’epoca, in materia di “mobilità debole” (con un sistema di vialetti e strade pedonali completamente separate dalle strade dedicate al traffico automobilistico), di risparmio energetico (dispositivi termoidraulici) e di spazi verdi e comunitari (con piccoli giardini e parchi interni). Come fa notare Mugnano «… questi elementi urbanistici innovativi, tuttavia, ben presto si trasformarono in criticità. Gli spazi verdi e le aree pedonali sono diventati infatti dei luoghi protetti per la micro-criminalità e per il controllo dello spaccio di droga. Agli inizi

degli anni ‘60, il quartiere diventa una “no-go area”, stigmatizzato per la presenza di criminalità nella zona. La struttura architettonica di quartiere autosufficiente è stata percepita dagli abitanti come una forma di isolamento e di distacco dal resto della città: un’isola tra i continenti. La presenza dei servizi, in breve, si è trasformata in un ostacolo invece che un punto di forza, in quanto molti dei servizi di contrasto al disagio sociale della città, come ad esempio la Casa Albergo che accoglieva immigrati in forte bisogno abitativo, vennero collocati nel quartiere. Per più di vent’anni il quartiere ha quindi esperito una traiettoria discendente, diventando una delle zone della periferia di Milano più problematiche …» (Ivi, p. 32).

Se, dunque, l’esperimento di edilizia popolare della Comasina ha seguito fin dalla sua creazione, e per oltre un ventennio, traiettorie diverse rispetto agli obiettivi originari di riduzione del disagio sociale, è interessante rilevare che il quartiere ha subito in seguito, attorno a metà degli anni ottanta, una profonda metamorfosi. Grazie alla costruzione della metropolitana, alle attività delle organizzazioni della società civile e dell’associazionismo culturale, oltre a un piano di vendita del patrimonio dell’ALER (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale), il quartiere ha cambiato volto e si stima che oltre i due terzi dei residenti nel quartiere abbiano acquistato nel corso degli anni il proprio alloggio.

Naturalmente, nonostante la rivalorizzazione del quartiere, gli obiettivi originari di edilizia popolare rivolta a famiglie in situazioni di disagio sociale sono stati completamente rielaborati dalle dinamiche sociali, in un primo tempo nella direzione dell’isolamento di famiglie che invece dovevano essere messe in contatto con il tessuto urbano circostante e in seguito nella direzione di un approccio legato all’incentivazione della proprietà privata degli alloggi che è tutt’altra cosa rispetto agli interventi di attuazione delle politiche di social housing.

In realtà, l’edilizia residenziale pubblica in Italia, in assenza di una chiara politica di promozione degli alloggi sociali da parte dei differenti governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, rappresenta, di fatto, un settore residuale e trascurabile del mercato immobiliare (Minelli, 2004). Il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, infatti, si attesta in Italia attorno al milione di unità abitative (Federcasa, 2015, p. 5), notevolmente inferiori alla maggior parte degli altri paesi europei (Housing Europe, 2017) che, invece,

hanno promosso politiche di social housing, anche se dagli esiti a volte discutibili come nei casi più volte citati della Francia e del Belgio.

L’esempio della Comasina, tuttavia, rimane di grande attualità poiché mette bene in luce la grande varietà degli attori che intervengono nel settore dell’abitare, attori che si sono moltiplicati in maniera considerevole a partire dagli anni ‘80 e ‘90, periodo in cui l’attore pubblico si è sostanzialmente ritirato, ad eccezione di alcune esperienze di amministrazioni locali particolarmente attive, dal settore dell’alloggio sociale.

2.3. La natura “evolutiva e processuale” del Social Housing