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La natura “evolutiva e processuale” del Social Housing

2. Il caso delle politiche di Social Housing

2.3. La natura “evolutiva e processuale” del Social Housing

anche il settore del social housing ampliando la platea dei potenziali beneficiari, ovvero di coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità abitativa. Si tratta, in sostanza, di una evoluzione per certi aspetti “naturale” che ha a che fare con il carattere processuale del concetto stesso di social housing.

In effetti, come afferma Mugnano «… Sia nella forma di esclusione dal mercato abitativo, sia nella forma di esclusione territoriale, la vulnerabilità abitativa del vecchio millennio veniva interpretata, vista e circoscritta alle fasce più deboli ed emarginate della popolazione. La vulnerabilità abitativa del nuovo millennio pur mantenendo, e in alcuni casi accentuando, le condizioni di forte esclusione (vedi ad esempio le condizioni di estrema povertà abitativa dei rifugiati), sembra allo stesso tempo tingersi di tinte molto più tenui, come il difficile accesso della classe media al mercato immobiliare. Gruppi sempre più ampi della popolazione vivono infatti in uno stato di fragilità abitativa che in parte dipende dalle condizioni economiche e in parte dalla vulnerabilità territoriale… Da una parte, il – nemmeno tanto lento – taglio alla spesa pubblica, aggravata da una profonda crisi finanziaria mondiale (nel 2008) ed economica nazionale (2011), ha creato una nuova questione di “housing affordability” (ndr13) che riguarda nuovi gruppi sociali (giovani coppie con o senza figli, famiglie immigrate, nuclei immigrati, etc.). Un numero

13 Per housing affordability si intende un indicatore che misura l’accessibilità al mercato immobiliare. Tale indicatore si basa sul rapporto tra il prezzo medio per l’acquisto o l’affitto di una casa e il reddito mediano nazionale. Per approfondimenti sulla questione dell’housing affordability vedi: Nelson, Bowles, Juergensmeyer, Nicholas (2008); Sisternas Tusell (2017); Acolin, Green (2017).

sempre maggiore di cittadini sembra essere intrappolato in un limbo. Se da una parte infatti questi gruppi hanno redditi troppo elevati per essere considerati eleggibili agli strumenti di protezione abitativa dell’edilizia residenziale pubblica, allo stesso tempo sono troppo deboli economicamente per entrare nel mercato abitativo privato. La letteratura scientifica identifica questi gruppi sociali come la nuova area grigia delle politiche abitative …» (Mugnano, 2017, pp. 36-37).

Quest’area grigia ha un’ampiezza un tempo sconosciuta (Lodi Rizzini, 2013, pp.2 e 6; Mugnano, 2017, pp. 18, 42-48). Ai soggetti classici in situazione di vulnerabilità abitativa, quali le famiglie a basso reddito e quelle in disagio sociale, gli immigrati, le giovani coppie, ecc., (Tosi, 2002; Edgar, Doherty, Meert, 2002; Mugnano, 2017, pp. 31 e 49) si sono aggiunte recentemente famiglie di attori che spaziano dai rifugiati stranieri agli immigrati più o meno regolari, dagli studenti fuori sede agli anziani, questi ultimi, rimasti spesso soli ad occupare il proprio alloggio e non più in grado di provvedere alle spese di affitto o anche di manutenzione in caso di alloggi di proprietà (D’Innocenzo, 2001; Mugnano, Palvarini, 2012).

Gli immigrati costituiscono una categoria sociale particolarmente a rischio. Come fa notare Tradardi «Lo sfruttamento della condizione di ricattabilità degli immigrati crea un mercato a sé, contraddistinto da abitazioni sotto i limiti dell’abitabilità e considerati irrecuperabili per le esigenze della popolazione locale» (Tradardi, 2004, p. 143). Spesso, purtroppo la questione abitativa degli immigrati si configura come un vero e proprio rifiuto alla loro integrazione da parte delle popolazioni autoctone. La riluttanza ad avere immigrati come vicini di casa può dar luogo al rifiuto a far entrare individui e gruppi indesiderati nello spazio in cui si identifica una comunità o l’uscita dallo stesso spazio per non condividerlo con i nuovi arrivati (Somma, 2004, p. 123).

Per quanto riguarda gli anziani, come fanno notare Baldini e Beltrametti, la loro condizione è spesso definibile come “house rich-cash poor”, ovvero persone relativamente povere in termini di reddito, anche a causa di politiche pensionistiche meno generose rispetto al passato e per l’allungamento della durata della vita media, ma relativamente ricche in termini di patrimonio immobiliare (Baldini, Beltrametti, 2015, p. 73).

La crisi economica del 2009 ha fatto emergere, dunque, un’ampia zona grigia della popolazione che pur disponendo di un reddito, non riesce, comunque, a sostenere le spese dell’abitazione con il conseguente ampliamento della componente sociale della domanda abitativa, interessando soprattutto le famiglie a bassa patrimonializzazione (Puccetti, Sambo, Valzania, 2014, p. 159).

Rientrano in questa area grigia anche coloro che, soprattutto in Italia, sono stati colpiti con la propria abitazione da disastri naturali, come inondazioni, terremoti, movimenti franosi, e da disastri provocati direttamente o indirettamente dall’attività umana, come l’inquinamento, l’urbanizzazione selvaggia e illegale in zone dove l’edificazione era proibita (prossimità di canali, pendii di scolo delle acque piovane, ecc.) (Frigerio et al., 2016; Frigerio, Strigaro, Mattavelli, Mugnano, De Amicis, 2016; Mela, Mugnano, Olori, a cura di, 2016; Mela, Mugnano, Olori, a cura di, 2017).

Tali categorie a rischio di esclusione sociale, a causa della loro condizione di estrema fragilità abitativa, sono spesso costrette ad accettare soluzioni di segregazione territoriale (Bolt, 2009; ), ovvero di alloggi in veri e propri quartieri degradati che hanno iniziato a svolgere una funzione di filtering (Morbelli, 2001, p. 16), ossia di una funzione di approdo, e comunque almeno nelle intenzioni, di passaggio all’inizio della propria carriera abitativa. Si tratta di territori caratterizzati da una forte deprivazione sociale e culturale e una notevole segregazione socio-spaziale rispetto al tessuto urbano circostante e interessati da dinamiche importanti di mobilità dei residenti che spesso considerano la propria situazione disagiata dal punto di vista abitativo come meramente di passaggio. Naturalmente, il fenomeno del filterging, insomma di quartieri e di situazioni abitative di passaggio è conosciuto da tempo. In molti centri urbani degli Stati Uniti, come in molte città europee, infatti, la mobilità abitativa è spesso legata alle ondate migratorie che si succedono e che interagiscono a volte con il contesto territoriale (ISMU 2003, p. 24; Dondi Dall’Orologio, Manaresi, Marcatili, 2011). A New York, nel quartiere denominato Little Italy situato nella Lower Manhattan, che agli inizi del secolo scorso era la zona di approdo dell’immigrazione italiana (peraltro con forte concentrazione di tipo regionale in alcune vie del quartiere: i napoletani principalmente in Mulberry Street, i siciliani in

Elizabeth Street e i calabresi e i pugliesi in Mott Street14), a metà del ‘900 si è registrata una progressiva e costante occupazione da parte di popolazione di origine cinese proveniente in parte dal confinante quartiere di China Town (Schiavo, 2015). Così come in alcune città olandesi (Kestellot, Cortie, 1998), in particolare all’Aja, esistono interi quartieri i cui residenti sono prevalentemente di origine turca e altri dove invece sono gli immigrati polacchi, impiegati soprattutto nel settore dell’edilizia, a rappresentare la comunità maggioritaria (Bonifazi, 2008).

Tali fenomeni e caratteristiche, che riguardano soprattutto il contesto urbano, spesso interessano indistintamente, sia le zone periferiche, sia le zone centrali degli insediamenti urbani, come ad esempio nella zona centrale di via Paolo Sarpi a Milano denominata China Town (Cristaldi, 2012), o il rione dell’Esquilino a Roma in pieno centro storico (Mudu, 2006; Mudu, 2003), o come alcuni quartieri centrali di Bruxelles (Kestellot, Cortie, 1998).