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IL COMMERCIO INTERNAZIONALE E LE BILANCE DEI PAGAMENTI

Nel 2010 il volume del commercio mondiale di beni e servizi è salito del 12,4 per cento, recuperando completamente il pesante calo del 2009 (-10,9 per cento) e ritornando sui livelli massimi del 2008. La ripresa degli scambi è stata particolarmente rapida nelle economie emergenti, soprattutto in quelle asiatiche.

I prezzi delle materie prime hanno segnato cospicui aumenti, più intensi a partire dalla scorsa estate, riflettendo, oltre ad attese di miglioramento dell’attività produttiva, anche tensioni dal lato dell’offerta.

La ripresa economica e i rialzi dei corsi delle materie prime hanno determinato un nuovo ampliarsi degli squilibri di parte corrente delle bilance dei pagamenti, ponendo fine alla temporanea riduzione dovuta in larga misura agli effetti della recessione.

Il commercio internazionale

Il recupero degli scambi ha interessato soprattutto i beni, che tendono a essere più sensibili al ciclo economico rispetto ai servizi; in particolare, le esportazioni mondiali di beni durevoli, più severamente colpite dalla crisi nel 2009, sono cresciute di circa il 70 per cento a prezzi correnti in dollari, a fronte del 22 in termini nominali per l’insieme dei beni, con-tribuendo per oltre un quinto allo sviluppo dei flussi complessivi. Il commercio di servizi, che rappresenta circa un quarto di quello di beni, è risalito meno rapidamente (8 per cento).

Tra il 2000 e il 2008, le esportazioni mondiali di servizi (valutate a prezzi correnti in dollari) erano cresciute mediamente del 12 per cento l’anno, in parte sospinte dall‘elevata dinamica di quelle di prodotti finanziari (14 per cento). Nel 2009 la contrazione delle esportazioni era stata partico-larmente pronunciata per i servizi di trasporto (21 per cento) e per quelli finanziari (18 per cento).

La successiva ripresa nel 2010 è stata più forte per i primi, anche grazie all’aumento del commercio di beni, mentre per i secondi il recupero è stato modesto, essenzialmente a causa del perdurare delle difficoltà nel settore finanziario.

La ripresa degli scambi, benché generalizzata, ha avuto intensità alquanto diffe-renziata tra aree geografiche, riflettendo la diversità dei ritmi di crescita economica (cfr.

il capitolo 1: Le economie e le politiche economiche dei principali paesi e aree). Nei paesi emergenti, in particolare in quelli asiatici, è stato ampiamente riassorbito il brusco calo verificatosi durante la fase più acuta della crisi e i volumi delle importazioni ed esportazioni si sono riportati su un sentiero di espansione prossimo a quello registrato fino alla prima parte del 2008; al contrario, nelle economie avanzate gli scambi si sono

BANCA D’ITALIA Relazione Annuale 2010 31 sviluppati lentamente, frenati dalla debolezza della domanda interna (fig. 3.1). Alla fine del 2010 i volumi importati negli Stati Uniti e nell’area dell’euro erano ancora inferiori ai livelli del secondo trimestre del 2008, mentre le esportazioni, indirizzate in misura maggiore verso i mercati in espansione dei paesi emergenti, avevano quasi completato il recupero (cfr. il capitolo 5: Gli andamenti macroeconomici).

Figura 3.1 Commercio internazionale di beni: principali aree geografiche (1)

(indice 1° trimestre 2005=100; in quantità)

2005 2006 2007 2008 2009 2010 '11 80 100 120 140 160 180

Paesi emergenti asiatici Altri paesi emergenti Importazioni

Fonte: CPB Netherlands Bureau for Economic Policy Analysis.

(1) Per il 2011, stima sulla base dei primi due mesi dell’anno.

Nel periodo 2000-2010 la quota dei paesi avanzati sulle importazioni mondiali, valutate a prezzi correnti, è scesa di 12 punti percentuali (dal 65 al 53 per cento; fig. 3.2); vi è corrisposto un au-mento del peso degli acquisti dei paesi emergenti, più accentuato per quelli asiatici (dall’ 8,4 al 16,2 per cento). Circa la metà di tale spostamento di quote è avvenuta fra il 2007 e il 2010, in connessione con l’ampliarsi del divario di crescita fra le economie dell’Asia e quelle avanzate.

Figura 3.2 Quota dei paesi avanzati ed emergenti, asiatici e non, sulle importazioni mondiali

(valori percentuali)

Fonte: elaborazioni su dati FMI.

(1) Esclude Hong Kong.

Le importazioni dei paesi asiatici sono in misura crescente costituite da scambi all’interno della regione: tale caratteristica riflette soprattutto l’interscambio di beni intermedi dovuto alla forte integrazione dei rispettivi processi produttivi. Nel 2010 i paesi di recente industrializzazione dell’Asia (escluso Hong Kong) e il Giappone hanno indirizzato il 43 per cento delle esportazioni, costituite

pre-BANCA D’ITALIA Relazione Annuale

32 2010

valentemente da beni intermedi e di investimento, in altre economie dell’Asia (da circa il 24 per cento nel 2000); tali flussi rappresentano circa un quarto delle importazioni di queste ultime. L’epicentro degli scambi commerciali in Asia si è progressivamente spostato verso la Cina (definita includendo anche la provincia autonoma di Hong Kong), che è divenuta alla fine del decennio il principale paese di origine delle importazioni dei paesi asiatici, nonché di sbocco per le loro esportazioni.

La crescita degli scambi di beni, sostenuta nella prima metà del 2010 (18,5 per cento in ragione d’anno), si è attenuata nel corso dell’estate, risentendo del rallenta-mento della congiuntura mondiale. Nello scorcio del 2010 e nei primi mesi del 2011, tuttavia, sulla base dei dati parziali disponibili, il commercio internazionale avrebbe segnato una nuova accelerazione.

Nel 2010 è rimasto limitato il ricorso ad azioni di protezione commerciale di tipo difensivo (imposizione di dazi anti-dumping, attivazione di clausole di salvaguardia, introduzione di nuove tariffe o misure non tariffarie) intraprese dai principali paesi importatori, avanzati ed emergenti. I negoziati multilaterali di liberalizzazione com-merciale del Doha Round, avviati sin dal 2001, hanno tuttavia continuato a languire, riducendo la possibilità di un loro concreto esito positivo.

Al vertice di Londra dell’aprile del 2009 i governi dei paesi del Gruppo dei Venti, per impedire l’innescarsi di una spirale protezionistica che avrebbe potuto compromettere l’avvio della ripresa eco-nomica, hanno esteso sino alla fine del 2010 l’impegno, assunto a Washington a novembre del 2008, di astenersi dall’adottare nuove misure che fossero di ostacolo al commercio e agli investimenti inter-nazionali, per quanto legalmente ammissibili. Secondo le valutazioni dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), poco meno del 2 per cento degli scambi mondiali risulterebbe assoggettato a misure protezionistiche adottate a partire dall’ottobre del 2008. Tali stime, peraltro, escludono gli effetti riconducibili a misure più mascherate di discriminazione nei confronti dei produttori stranieri quali, ad esempio, quelle connesse con l’applicazione dei programmi di sostegno alle industrie nazionali mag-giormente colpite dalla recessione.

I prezzi delle materie prime

I corsi internazionali delle materie prime sono aumentati sensibilmente nel 2010.

Per il petrolio e per i metalli i rincari hanno preceduto quelli dei beni alimentari risul-tando più marcati (rispettivamente, pari al 28 e 48 per cento nella media dell’anno).

I rialzi si sono concentrati nel secondo semestre, riflettendo il miglioramento dell’atti-vità economica globale e, nel caso dei prodotti alimentari, un’inattesa riduzione dell’of-ferta (fig. 3.3). Diversamente dal prezzo del petrolio, ancora inferiore al picco storico toccato nel luglio del 2008, quelli delle principali materie prime non energetiche han-no nel complesso superato il massimo raggiunto nella prima metà dello stesso anhan-no.

In un contesto di progressivo rafforzamento della domanda mondiale e ridotta avversione al rischio, nel 2010 sono ripresi gli afflussi di investimenti finanziari verso i mercati derivati delle materie prime, attratti da attese di ulteriori rialzi dei corsi. Tale andamento potrebbe a sua volta aver contribuito a intensificare, almeno temporanea-mente, le spinte al rialzo dei prezzi su alcuni mercati.

La domanda mondiale di greggio si è ampliata del 3,4 per cento nel 2010, segnan-do l’aumento più forte dal 2004 (tav. 3.1). I due terzi dell’incremento sono derivati dall’espansione dei consumi nelle economie emergenti, di cui circa la metà dovuta alla Cina; la domanda dei paesi avanzati, anch’essa superiore alle attese, rimane inferiore del 6,5 per cento rispetto al 2007.

BANCA D’ITALIA Relazione Annuale 2010 33

Figura 3.3 Prezzi delle materie prime non energetiche e del petrolio (1)

(dati mensili; indici e dollari al barile)

2011 2010

2009 2008

2007 2006

50 2005 100 150 200 250 300 350

20 40 60 80 100 120 140

Totale Agricoli non alimentari Metalli Alimentari Petrolio

Fonte: FMI.

(1) Per le materie prime non energetiche, indici: gennaio 2005=100. Per il petrolio, prezzo medio in dollari al barile delle tre principali qualità (Brent, Dubai e WTI; scala di destra).

L’offerta di petrolio ha solo in parte assecondato la maggiore domanda. Da un lato, la produzione dei paesi non OPEC è cresciuta del 2,1 per cento, il tasso più ele-vato dal 2002, contribuendo in tal modo a coprire il 40 per cento dell’aumento della domanda. Dall’altro, il cartello dell’OPEC ha preferito attuare una cauta espansione dell’offerta, nel timore di una più esile ripresa dei consumi. Le scorte di greggio del settore privato nei paesi dell’OCSE, relativamente abbondanti nella prima metà del 2010, alla fine dell’anno erano scese poco sotto la media del periodo 2005-09.

Tavola 3.1 Domanda di petrolio

VOCI Milioni di barili al giorno Variazioni percentuali 2007 2008 2009 2010 2007 2008 2009 2010

Mondo 86,7 86,1 85,0 87,9 1,9 -0,7 -1,3 3,4

OCSE 49,3 47,6 45,5 46,1 -0,6 -3,4 -4,4 1,3

di cui: Nord America (1) 25,5 24,2 23,3 23,9 0,4 -5,1 -3,7 2,6

non OCSE 37,3 38,6 39,6 41,8 4,8 3,5 2,6 5,6

Cina 7,6 7,7 8,4 9,4 5,6 1,3 9,1 11,9

Altri paesi emergenti asiatici 9,5 9,6 10,1 10,4 5,6 1,1 5,2 3,0

Fonte: IEA, Oil Market Report.

(1) Stati Uniti, Canada e Messico.

Nei primi quattro mesi del 2011 le quotazioni del petrolio sono salite da 90 fino a 120 dollari al barile (media delle tre principali qualità), risentendo dell’interruzione della produzione in Libia e del rischio di un’estensione dei sommovimenti politici al Medio Oriente e al Golfo Persico. Malgrado l’annunciata disponibilità di altri paesi membri dell’OPEC a impiegare parte dei margini di capacità produttiva inutilizzata

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(pari a circa il 5 per cento della domanda mondiale) per compensare i mancati flussi dalla Libia (1,8 per cento della domanda mondiale), la produzione complessiva del cartello è diminuita del 4,9 per cento, risentendo della scarsa sostituibilità del greggio libico per gli impianti di raffinazione in alcuni paesi del Sud dell’Europa. Nelle prime tre settimane di maggio, in un contesto di accresciuta volatilità, il prezzo del greggio ha subito una parziale correzione scendendo a 109 dollari al barile.

Figura 3.4 OPEC: politiche di offerta (1)

(dati mensili; milioni di barili al giorno)

2010

offerta effettiva obiettivo di produzione capacità inutilizzata (2) Fonte: IEA, Oil Market Report.

(1) Esclusi l’Iraq, per cui non è definito alcun obiettivo di produzione e, dal settembre 2008, l’Indonesia. Dal dicembre 2007, include anche Angola e Ecuador. – (2) Scala di destra; dal marzo 2011, esclude la Libia.

Il rialzo dei corsi delle materie prime alimentari nel corso del secondo semestre del 2010 è stato particolarmente marcato per grano (92 per cento), mais e zucchero (60 per cento). Un’inattesa contrazione dell’offerta, innescata da eventi climatici avversi, si è sovrapposta a spinte di natura più permanente, riconducibili all’espansione strutturale del fabbisogno alimentare dei paesi emergenti.

Dal 2000 al 2010 i prezzi delle materie prime alimentari sono quasi raddoppiati, invertendo la tendenza flettente osservata nei decenni precedenti. Da un lato, la trasformazione delle abitudini alimentari nelle economie emergenti dell’Asia verso regimi a più alto contenuto proteico ha incre-mentato in maniera permanente la domanda di prodotti agricoli, sia quelli direttamente destinati al consumo umano sia quelli utilizzati nell’allevamento animale (cereali e oli vegetali). Dall’altro, la produzione di biocarburanti, fortemente sussidiata negli Stati Uniti, ha sottratto una quota crescente di prodotti agricoli al consumo alimentare (nel 2010 un settimo del raccolto globale di mais è stato destinato alla produzione di etanolo) e reso più sensibili i prezzi agricoli ai rincari del greggio. A tale riguardo, nell’ultimo triennio, l’Unione europea ha iniziato a rivedere le proprie politiche in campo agro-energetico, riducendo gli incentivi alla produzione di biocarburanti. In prospettiva, l’aumento dei prezzi alimentari dovrebbe stimolare la risposta dell’offerta mondiale, equilibrando il mercato.

Tuttavia, nel breve periodo, l’aumento della produzione determinerà solo una parziale ricostituzione delle scorte alimentari, ridotte ai minimi storici nel caso del mais. Fino ai primi anni dello scorso decennio il prevalere di basse quotazioni internazionali si è accompagnato a minori investimenti nel settore agricolo e a un rallentamento della produttività, comportando un ritardo nell’adeguamento dell’offerta in molti paesi emergenti da cui ora proviene la forte espansione del fabbisogno.

Nel 2010 in risposta all’evoluzione negativa dei raccolti di grano e di altri ce-reali, i governi dei principali paesi produttori (Russia e Ucraina) hanno ristretto le esportazioni di tali prodotti, al fine di limitarne il rincaro sul mercato domestico.

BANCA D’ITALIA Relazione Annuale 2010 35 Queste misure, simili a quelle adottate nel triennio precedente da India ed Egitto in risposta all’incremento del prezzo del riso, ne riducono la disponibilità sui mercati internazionali, accentuano la variabilità dei corsi e innescano fenomeni di accapar-ramento nei paesi importatori. Nei primi mesi del 2011 un ulteriore impulso al rialzo dei corsi degli alimentari sarebbe derivato dagli ingenti acquisti precauzionali di cereali provenienti, anche in connessione con le tensioni geopolitiche, dall’area mediorientale. Un passo importante per contenere il ricorso a simili misure distorsi-ve potrebbe scaturire da una normativa multilaterale più stringente, sottoposta alla sorveglianza dell’OMC.

Gli squilibri nelle bilance dei pagamenti

Nel 2010 il disavanzo di parte corrente degli Stati Uniti è tornato ad ampliarsi, al 3,2 per cento del PIL dal 2,7 nel 2009 (tav. 3.2), pur rimanendo inferiore ai livelli registrati prima della crisi. L’aumento riflette la dinamica del deficit commerciale (da 507 a 647 miliardi di dollari), ampliatosi soprattutto per effetto del deterioramento delle ragioni di scambio dovuto all’accresciuto costo delle importazioni energetiche;

sono invece migliorati l’attivo della bilancia dei servizi e quello dei redditi netti da capitale.

Il disavanzo commerciale degli Stati Uniti è aumentato nei confronti di tutti i principali partner;

quello verso i paesi esportatori di petrolio è salito a 175 miliardi di dollari, quasi 60 in più rispetto al 2009, mentre il deficit nei confronti della Cina è ritornato intorno ai 270 miliardi, un livello analogo al 2008.

Il finanziamento del disavanzo americano è proceduto agevolmente, beneficiando della progressiva normalizzazione delle condizioni finanziarie globali. Gli afflussi netti di capitali da parte di non residenti sono risaliti a 1.245 miliardi di dollari (da 306 nel 2009), pur rimanendo inferiori a quelli registrati nel triennio fino al 2007. Quelli ri-conducibili ad autorità ufficiali estere sono scesi a 298 miliardi, da un valore medio di 492 miliardi nel quadriennio precedente (tav. 3.3).

Gli investimenti diretti dall’estero sono tornati ad affluire più abbondanti, (194 miliardi di dollari). L’aumento di quelli di portafoglio, a 804 miliardi da 486 nel 2009, è ascrivibile soprattutto ai forti afflussi nel comparto dei titoli di debito (per lo più ob-bligazioni pubbliche e di agenzie federali), che hanno raggiunto i 690 miliardi (da 325 nel 2009). Gli investimenti azionari hanno invece segnato una diminuzione, ascrivibile al debole andamento della prima metà dell’anno, rispetto agli ingenti volumi del 2009 (a 114 miliardi, da 161). Il comparto degli “altri investimenti”, che include i movi-menti bancari, ha registrato afflussi per 246 miliardi (da disinvestimovi-menti netti per 315 miliardi nell’anno precedente).

Nel corso del 2010 gli investitori privati internazionali hanno modificato la composizione delle attività finanziarie statunitensi detenute in portafoglio. Da un lato, le acquisizioni nette di titoli di debito a breve termine, ridimensionatesi notevolmente nella seconda metà del 2009 dopo il repentino aumento all’apice della crisi, si sono stabilizzate sui 45 miliardi di dollari. Dall’altro, sono aumentati gli investimenti in titoli a lungo termine, sia in obbligazioni pubbliche sia in titoli emessi da agenzie federali (per 541 e 156 miliardi, rispettivamente).

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Tavola 3.2 Bilance dei pagamenti correnti e flussi di riserve valutarie

PAESI E AREE

Saldi correnti (1) Riserve

2008 2009 2010 2008 2009 2010

in miliardi

Stati Uniti -668,9 -4,7 -378,4 -2,7 -470,2 -3,2 7,1 53,1 1,7

Area dell’euro -201,4 -0,1 -65,8 -0,1 -76,9 -0,1 3,4 64,1 17,5

Giappone 157,1 3,2 141,7 2,8 194,7 3,6 56,6 12,9 39,3

Regno Unito -43,4 -1,6 -37,1 -1,7 -56,1 -2,5 -4,6 11,4 12,6

Canada 8,0 0,4 -38,4 -2,8 -48,5 -3,1 2,8 10,5 2,8

America latina -31,2 -0,7 -25,0 -0,6 -56,9 -1,2 52,6 50,5 84,3

Asia 513,5 5,9 437,7 4,9 435,5 4,0 412,0 747,4 653,7

Paesi di recente industrializzazione

dell’Asia 87,7 5,0 128,9 8,0 133,0 7,1 1,5 212,2 106,1

Corea del Sud 3,2 0,3 32,8 3,9 28,2 2,8 -61,0 68,8 21,6

Hong Kong 29,5 13,7 18,0 8,6 14,8 6,6 29,8 73,3 12,9

Singapore 27,5 14,5 35,2 19,2 49,4 22,2 11,2 13,6 37,9

Taiwan 27,5 6,9 42,9 11,4 40,6 9,4 21,4 56,5 33,8

ASEAN-4 44,5 3,8 73,7 6,4 48,7 3,4 11,2 50,7 87,4

Filippine 3,6 2,2 9,4 5,8 8,5 4,5 3,0 5,6 16,6

Indonesia 0,1 0,0 10,6 2,0 5,7 0,8 -5,4 14,0 29,3

Malaysia 38,6 17,4 31,9 16,5 28,2 11,9 -9,9 4,3 9,4

Thailandia 2,2 0,8 21,9 8,3 14,8 4,6 23,4 26,8 32,0

India -31,1 -2,5 -26,0 -2,0 -51,6 -3,4 -19,6 17,8 10,1

Cina 412,4 9,1 261,1 5,2 305,4 5,2 419,0 466,8 450,0

Europa centrale

e orientale -151,3 -7,9 -44,3 -2,8 -76,0 -4,3 -3,4 38,8 21,5

Paesi esportatori

di petrolio 588,5 10,7 207,4 4,6 319,5 8,6 99,1 -21,5 107,2

OPEC (2) 421,5 18,3 115,5 5,8 200,8 10,2 155,9 -28,8 55,6

Algeria 34,5 20,2 0,4 0,3 15,1 9,4 32,9 5,8 13,6

Angola 7,2 8,6 -7,5 -10,0 -1,5 -1,8 6,7 -4,2 6,0

Arabia Saudita 132,5 27,8 22,8 6,1 38,8 8,7 136,8 -32,6 35,0

Ecuador 1,2 2,2 -0,4 -0,7 -2,6 -4,4 0,9 -0,9 -1,4

Norvegia 79,9 17,9 49,6 13,1 53,3 12,9 -9,9 -2,1 4,0

Russia 103,5 6,2 48,6 4,0 71,1 4,9 -55,0 4,9 26,9

Fonte: FMI e statistiche nazionali.

(1) A causa di errori, omissioni e asimmetrie nelle statistiche internazionali, il saldo mondiale della bilancia dei pagamenti correnti, anzi-ché essere nullo, è divenuto positivo (secondo stime dell’FMI è stato pari a 232,4 miliardi di dollari nel 2008, a 225,5 miliardi nel 2009 e a 282,6 miliardi nel 2010). – (2) L’aggregato OPEC non include l’Iraq; i flussi di riserve valutarie escludono l’Iran.

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Tavola 3.3 Bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti: afflussi netti di capitali di non residenti (1)

(miliardi di dollari)

VOCI 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Totale (2) 1.247,3 2.065,2 2.107,5 454,7 305,7 1.244,8

Per tipo di flusso

Investimenti diretti 112,6 243,2 271,2 328,3 134,7 194,5

Investimenti di portafoglio 875,1 1099,2 989,5 236,3 485,5 804,0

di cui: azioni 89,3 145,5 275,6 126,4 160,5 114,1

titoli di debito 785,8 953,7 713,9 110,0 325,0 689,8

Altri investimenti 259,7 722,8 846,8 -110,0 -314,5 246,4

Per tipo di investitore estero

Afflussi di capitali da investitori privati 988,079 1.577,23 1.626,612 -96,048 -144,294 946,789 Afflussi di capitali da autorità ufficiali

estere 259,268 487,939 480,949 550,77 450,03 298,042

Per memoria:

Saldo del conto delle partite correnti -747,6 -802,6 -718,1 -668,9 -378,4 -470,2

Saldo del conto capitale 13,1 -1,8 0,4 6,0 -0,1 -0,2

Saldo del conto finanziario (3) 700,7 809,1 638,0 577,9 216,1 235,3

Investimenti diretti 76,4 -1,8 -142,8 -22,8 -134,0 -151,2

Investimenti di portafoglio 623,9 734,0 623,0 434,2 277,3 636,8

Altri investimenti -13,6 44,8 151,7 204,2 74,2 -263,7

Transazioni in strumenti derivati (4) …. 29,7 6,2 -32,9 50,8 15,1

Variazione delle riserve 14,1 2,4 -0,1 -4,8 -52,3 -1,8

Errori e omissioni 33,8 -4,7 79,6 85,0 162,5 235,1

Fonte: Bureau of Economic Analysis.

(1) Al netto dei disinvestimenti. – (2) Esclude gli afflussi netti derivanti da transazioni in strumenti derivati, a causa dell'indisponibilità di tale dato. – (3) Afflussi netti da parte di non residenti meno deflussi netti da residenti. – (4) Per il 2010, primi tre trimestri.

L’incidenza sul prodotto della posizione debitoria netta degli Stati Uniti dovrebbe essere rimasta pressoché immutata rispetto al valore osservato alla fine del 2009 (20,8 per cento del PIL): gli effetti derivanti dalla variazione del controvalore in dollari delle attività e passività finanziarie sull’estero dovrebbero essere rimasti favorevoli (grazie al deprezzamento del dollaro e alla ripresa dei corsi azionari), compensando almeno in parte il deterioramento dovuto al disavanzo di parte corrente.

Dopo il crollo nel 2009 l’attivo di parte corrente dei principali paesi esportatori di petrolio è raddoppiato a 319,5 miliardi di dollari nel 2010, sospinto dal forte rincaro del greggio, pur mantenendosi ancora inferiore al picco del 2008 (588,5 miliardi).

L’ampliarsi dell’avanzo è stato particolarmente accentuato nei paesi dell’OPEC (dal 5,8 al 10,2 per cento del PIL) e più contenuto in Russia (dal 4 al 4,9 per cento). Tra il 2003 e il 2007, un periodo di forte aumento dei corsi del greggio, l’intensità con cui tali paesi avevano utilizzato i maggiori introiti petroliferi per innalzare la spesa in beni di consumo e investimento (respending) era risultata superiore all’unità (tav. 3.4). Sulla base delle prime indicazioni, essa sarebbe rimasta elevata anche nella più recente fase di rialzo.

Nel complesso delle economie asiatiche in situazione di eccedenza strutturale, l’avanzo di parte corrente è salito a 683 miliardi di dollari (4,7 per cento del PIL),

ri-BANCA D’ITALIA Relazione Annuale

38 2010

flettendo il marcato aumento del surplus del Giappone (3,6 per cento), mentre quelli dei paesi di recente industrializzazione e della Cina sono rimasti stabili. L’avanzo cor-rente cinese (5,2 per cento del PIL, dal 6 nel 2009) è stato frenato dal calo di quello commerciale, su cui ha pesato il rincaro delle materie prime importate.

Tavola 3.4 Indicatori di “respending” per i principali paesi esportatori di petrolio

(rapporto tra la variazione delle importazioni totali di beni e la variazione delle esportazioni di petrolio)

1980-1981 2003-2007 2009-2010

Algeria 5,16 0,36 0,05

Arabia Saudita 0,45 0,39 0,53

Emirati Arabi Uniti -0,90 1,93 0,92

Iran -11,40 0,50 0,42

Kuwait 0,00 0,23 -0,27

Libia -0,63 0,21 ….

Messico 1,47 4,56 5,67

Nigeria -0,46 0,26 0,75

Norvegia 3,57 1,64 1,11

Qatar 0,59 0,56 0,16

Russia …. 1,23 1,12

Venezuela 1,56 0,85 0,02

Media -0,05 1,06 0,95

Fonte: elaborazioni su dati FMI.

L’accumulazione di riserve valutarie da parte delle economie emergenti e in via di sviluppo è proseguita a ritmi sostenuti nel 2010; nel complesso, le consistenze sono salite di 880 miliardi di dollari, contro un aumento di 500 miliardi nel 2009. Il proces-so si è intensificato nella seconda parte dell’anno e sarebbe proseguito anche nei primi mesi del 2011.

Fra le economie con ampi attivi di parte corrente, lo scorso dicembre lo stock di riserve valutarie ha superato i 2.850 miliardi di dollari in Cina, circa 450 miliardi in più rispetto alla fine del 2009 (al lordo degli effetti di valutazione); l’accumulazione è proseguita anche nei primi mesi del 2011, por-tando le consistenze a 3.040 miliardi lo scorso marzo. Fra gli altri paesi emergenti asiatici, l’aumento delle riserve è stato più marcato in Thailandia e Indonesia. Tra i paesi esportatori di petrolio, che hanno ripreso ad accumulare riserve per complessivi 107 miliardi portandone lo stock a 1.050 miliardi in di-cembre, spiccano il Messico (21 miliardi) e la Russia (27). In Brasile, dove le partite correnti registrano un disavanzo strutturale, l’accumulazione di riserve nel 2010 e nei primi mesi del 2011 (47 miliardi) riflette l’azione di contrasto delle autorità per contenere le pressioni al rialzo del tasso di cambio dovute agli ingenti afflussi di capitale dall’estero.

BANCA D’ITALIA Relazione Annuale 2010 39

4. IL G20 E LA COOPERAZIONE ECONOMICA

INtERNAZIONALE

Il Gruppo dei Venti (G20) rappresenta il principale consesso intergovernativo e strumento informale per la cooperazione economica internazionale. L’agenda di lavoro del Gruppo è assai vasta e copre aree in cui le competenze del settore ufficiale erano in precedenza disperse e non coordinate. Non essendo un’istituzione finanziaria interna-zionale, il G20 manca della legittimità che deriva da appositi meccanismi di rappresen-tanza e di governo; esso è tuttavia divenuto il luogo primario di sintesi e indirizzo di al-cuni organismi chiave, principalmente del Financial Stability Board (FSB) e del Fondo monetario internazionale (FMI). In particolare, su impulso del G20, nel 2010 è stata approvata la riforma delle quote e dell’assetto di governo dell’FMI, avviata a Pittsburgh nell’aprile del 2009; sono stati rivisti gli strumenti di assistenza finanziaria dello stesso FMI; sono state aumentate le risorse destinate all’aiuto dei paesi poveri da parte delle banche multilaterali di sviluppo. Il G20 ha inoltre approvato la riforma regolamentare nota come Basilea 3 e ha contribuito all’avvio di una serie di iniziative in campo finan-ziario. Nel novembre del 2010, il vertice dei Capi di Stato e di governo svoltosi a Seul

Il Gruppo dei Venti (G20) rappresenta il principale consesso intergovernativo e strumento informale per la cooperazione economica internazionale. L’agenda di lavoro del Gruppo è assai vasta e copre aree in cui le competenze del settore ufficiale erano in precedenza disperse e non coordinate. Non essendo un’istituzione finanziaria interna-zionale, il G20 manca della legittimità che deriva da appositi meccanismi di rappresen-tanza e di governo; esso è tuttavia divenuto il luogo primario di sintesi e indirizzo di al-cuni organismi chiave, principalmente del Financial Stability Board (FSB) e del Fondo monetario internazionale (FMI). In particolare, su impulso del G20, nel 2010 è stata approvata la riforma delle quote e dell’assetto di governo dell’FMI, avviata a Pittsburgh nell’aprile del 2009; sono stati rivisti gli strumenti di assistenza finanziaria dello stesso FMI; sono state aumentate le risorse destinate all’aiuto dei paesi poveri da parte delle banche multilaterali di sviluppo. Il G20 ha inoltre approvato la riforma regolamentare nota come Basilea 3 e ha contribuito all’avvio di una serie di iniziative in campo finan-ziario. Nel novembre del 2010, il vertice dei Capi di Stato e di governo svoltosi a Seul