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Il compito valutativo dell’assistente sociale

DIPENDENTI: LA VALUTAZIONE E L’AUTOVALUTAZIONE

2.1 BENESSERE O MALESSERE, QUESTO E’ IL PROBLEMA!

2.2.2 Il compito valutativo dell’assistente sociale

La complessità dell’attuale situazione socio-economica e politica italiana, influenza necessariamente le politiche di welfare: minori risorse, maggiore aspettativa di vita, nuove povertà richiedono un diverso approccio al cittadino utente, una riduzione della distanza e investimenti sulle risorse del territorio, fonte e oggetto delle strategie di benessere dell’ente pubblico.

I mutamenti legislativi in ambito nazionale (D.Lgs. 502/92, D.Lgs. 286/99, L. 328/00) e europeo (Reg. CE n. 1260/99) hanno legittimato l’affermazione dei concetti di valutazione e qualità nell’ambito della programmazione e della realizzazione di molte attività in ambito pubblico in generale e nel settore dei servizi in particolare (Visentini, Bertoldi, 2009).

Se il concetto di valutazione (che misura i risultati di esito) nasce in ambito pubblico, quello di qualità (volta a monitorare processi e prodotto) proviene dal mondo dell’impresa privata e viene trasferito, non senza qualche difficoltà nell’ambito dei servizi al cittadino: la qualità è

un concetto che attiene ai processi interni all’organizzazione, si persegue attraverso azioni di empowerment degli operatori e implementazione delle procedure burocratiche.

Nel trasferimento di procedure e finalità dal privato al pubblico, è opportuno applicare dei correttivi ridefinendo i criteri di efficienza e efficacia in modo che sia rilevante il lavoro sociale e relazionale piuttosto che indicatori economici; elaborare strumenti ad hoc per rilevare la soddisfazione degli utenti; definire sistemi di valutazione della qualità agili, di facile utilizzo, per superare la resistenza di dirigenti e professionisti ad attivare processi di autovalutazione e attribuendo ai professionisti appunto un ruolo centrale nel processo di valutazione della qualità.

Al fine di superare le ataviche resistenze dei professionisti, in primis l’assistente sociale, a applicare metodi di valutazione (percepiti come metodi di controllo e potenzialmente sanzionatori) diversi da quello auto centrato, non è sufficiente l’affermazione etico-valoriale che può essere contenuta all’interno dei codici deontologici e diffusa nell’ambito della formazione delle risorse umane: è necessario individuare percorsi di incentivazione e valorizzazione della partecipazione degli operatori stessi (anche attraverso l’istituzione di nuclei di valutazione nella pubblica amministrazione) e contare sul fatto che i manager pubblici sono direttamente responsabili della qualità dei servizi erogati dalla propria struttura e dei risultati raggiunti.

Parallelamente ad una richiesta di servizi maggiormente complessa da parte dell’utenza, gli erogatori, sia pubblici che privati, hanno fatto fatica a coordinare l’offerta, immettendo sul mercato grazie anche a finanziamenti comunitari progetti spacciati per servizi. Mancando di una approfondita lettura e valutazione dei bisogni e di una programmazione, si è finito per creare nuovi bisogni, poi frustrati. Accanto alla crisi di consenso della rappresentanza politica, dovuta anche ad una cronica mancanza di risorse, si è venuto a creare un calo di fiducia nelle organizzazioni preposte (Visentini, Bertoldi, ibidem).

Valutare consente di aumentare le conoscenze di base (di un fenomeno, di una popolazione, degli strumenti di azione…), orienta il progetto perché costituisce un bagaglio di corrispondenze fra l’agito e l’outcome patrimonio di tutti gli stakeholder, consente la rendicontazione e quindi la giustificazione di come è stato speso il denaro pubblico, permette di aggiustare il tiro in corsa ricalibrandolo all’obiettivo, aumenta la visibilità del lavoro dell’assistente sociale perché produce dati e validazione dei percorsi.

Nonostante questa consapevolezza la resistenza alla valutazione da parte dei Servizi è molto alta, in parte dovuta alla sensazione di non riuscire a oggettivare il lavoro, in parte al timore che dalla valutazione derivi un controllo del proprio lavoro, in parte ancora dalla scarsità di linguaggi comuni capaci di definire chiaramente oggetti come obiettivi, metodi, risultati attesi e poi generalizzare la pratica: l’efficacia pertanto rimane un concetto la cui definizione prima e valutazione poi restano avvolti in imprecisione e ambiguità.

All’interno del campo di analisi a seconda degli obiettivi, il focus della valutazione può essere posto:

• Sul caso rivolto al singolo

• Sui servizi rivolti a gruppi di utenti

• Sulle politiche in favore di fasce di popolazione o specifici settori di interesse collettivo.

Gli interventi sui casi si valutano per migliorare le prestazioni, indagando la qualità, l’efficacia e l’efficienza delle risposte fornite al singolo a fronte di esigenze individuali al fine di fornire l’azione migliore.

I servizi si valutano per conoscere le capacità di risposta ai bisogni individuati o espressi dal gruppo di destinatari.

Le politiche si valutano, ancora una volta, per conoscere il livello di risposta in termini di qualità, efficacia ed efficienza rispetto alle richieste di benessere psico-sociale di una comunità ampia.

I tre livelli di valutazione corrispondono a tre livelli caratteristici di intervento delle politiche sociali, che sono evolute da una centratura sul caso, di tipo riparativa, a una via via più ampia, con caratteri sempre più marcati di prevenzione e realizzazione di un più alto livello di salute per ampie fasce della popolazione (Campanini, 2006).

Gran parte della letteratura e della teoria a cui il sociale fa riferimento è ancora oggi largamente influenzata dagli studiosi anglosassoni e

scandinavi, ma un panorama di ricerca italiana si sta costruendo grazie a voci autorevoli di realtà come la Fondazione Zancan, la Scuola Superiore S. Anna, l’Istituto di Ricerca Sociale e l’AIV (Associazione Italiana di Valutazione).

Annamaria Campanini (ibidem) evidenzia un parallelismo fra evoluzione del modello di welfare italiano e metodologie valutative: da una di tipo positivistico negli anni ‘60 (in cui si inizia a parlare di efficacia e efficienza), a un interesse di tipo accademico negli anni ‘70, ad un modello top-down imperniato al controllo della spesa (con la crisi del settore pubblico e le aziendalizzazioni) degli anni ’80, agli anni ‘90 in cui la crisi del welfare istituzionale si è ormai consolidata e si evidenzia l’esigenza di mettere al centro delle politiche (anche valutative) l’utente, secondo logiche di empowerment.

Principi, metodi e tecniche della valutazione in campo sociale richiamano dimensioni ideali di ogni valutazione che si amplificano quando si tratta di indagare un ambito ad alto potenziale relazionale ed emotivo.

De Ambrogio (2003) ne individua 4.

Il principio di autovalutazione sottolinea la differenza tra valutazione e verifica o controllo: si tratta di una funzione riflessiva, in quanto chi la mette in atto è coinvolto nello stesso processo che analizza. È importante pertanto che tenga presente anche le conseguenze del far parte del quadro che sta osservando, di cui è elemento esso stesso. Valutatore e valutato non sono due soggetti nettamente distinti.

Il principio dei diversi livelli di valutazione nelle politiche sociali sottolinea la contemporanea azione di diversi livelli istituzionali (utenti, operatori, servizi, enti locali, regione…) nella valutazione e pertanto l’opportunità di fondere e ricomprendere i diversi prodotti in uno compartecipato.

Il principio di non autoreferenzialità sottolinea la necessità che la valutazione si fondi su dati che giungono da fonti differenziate, per tendere al massimo possibile di oggettività e anche di rappresentatività. Il principio di confrontabilità impone che le valutazioni siano condotte secondo metodi validati o omogenei che consentano di compararle nel tempo con serie successive, al fine di influire sulle decisioni in merito a variazioni di progetti, budget, rendicontazione. Non si tratta qui di stilare una classifica di buoni o cattivi interventi, ma di favorire la formazione di buone prassi che stimolino una crescita delle politiche in senso di efficacia, efficienza e qualità.

Una variabile significativa del processo d’aiuto verso l’utente è la soggettività dell’operatore e l’uso che questi fa degli strumenti e dei metodi di lavoro. Non solo, è fondamentale che possano essere svelati i modelli teorici (talvolta impliciti) a cui si ispira l’operatore e i pre- giudizi che da questi derivano, come strutture di pensiero che guidano l’azione e quindi la valutazione.

Per questo è importante che si alimenti nel Servizio Sociale la cultura della valutazione attivata non solo dall’esterno, ma anche e soprattutto

La legislazione non è sempre chiara rispetto agli obiettivi della valutazione: che si tratti di un’operazione di accountability o di learning, occorre non smarrirne il senso affinché non diventi un’operazione fine a se stessa, slegata dai suoi scopi di promozione del benessere dei destinatari/clienti ultimi della valutazione (gli operatori da una parte e i cittadini dall’altra).

Le forme della partecipazione sono varie e nel progettare quella più efficace allo scopo occorre tener presente una regola trasversale a tutte, il rapporto fra oggettività e soggettività nella valutazione (Alfoldi, 1999): il valutatore ha il compito di raccogliere tutti i pensieri funzionali alla sua mission, per declinarli in un parere che sia utile al committente, consentendogli di operazionalizzarlo. Ossia trasformare quanto più possibile un’opinione (o meglio la somma di più opinioni) soggettiva in un dato oggettivo.

Onde evitare che questa affermazione di fondo rimanga un principio occorre definire la metodologia di questa “valutazione partecipata”, dove valutazione e partecipazione sintetizzano concetti densi di significato le cui dimensioni rischiano di rimanere nebulose soprattutto se abusate nell’utilizzo, come una tendenza di moda; occorre pertanto anche che a tale asserzione consegua anche un potere decisorio realmente conferito agli attori che intendiamo coinvolgere, nel senso di una valutazione che sta in un’ottica progettuale strategica.

Per definire la valutazione così allargata occorre intanto allontanarsi dal concetto di partecipazione così come promosso dai movimenti post- sessantottini: non si tratta di un’affermazione a base ideologica, ma di

una scelta funzionale al conseguimento di una maggior efficacia dell’intervento nell’interesse di quanti più soggetti possibile.

È opportuno non dimenticar

’68: innumerevoli riunioni allargate a quanti più soggetti, che spesso si concludevano rinviando la decisione a una riunione successiva, o arene caotiche dominate da un leader capace di far prevalere il suo pensi manipolare le decisioni.

che consentano la partecipazione di tutti in un processo decisorio democratico, che preveda così l’apporto di tutti.

Considerare tutti i partecipanti risorsa preziosa signific

attori competenti, sia in tema di valutazione che nella successiva fase della decisione/progettazione.

intervento

una scelta funzionale al conseguimento di una maggior efficacia dell’intervento nell’interesse di quanti più soggetti possibile.

È opportuno non dimenticare comunque l’esperienza dei collettivi del ’68: innumerevoli riunioni allargate a quanti più soggetti, che spesso si concludevano rinviando la decisione a una riunione successiva, o arene caotiche dominate da un leader capace di far prevalere il suo pensi manipolare le decisioni. I gruppi devono essere di dimensioni limitate che consentano la partecipazione di tutti in un processo decisorio democratico, che preveda così l’apporto di tutti.

Considerare tutti i partecipanti risorsa preziosa significa rendere tutti attori competenti, sia in tema di valutazione che nella successiva fase della decisione/progettazione.

progettazione

valutazione intervento

una scelta funzionale al conseguimento di una maggior efficacia dell’intervento nell’interesse di quanti più soggetti possibile.

e comunque l’esperienza dei collettivi del ’68: innumerevoli riunioni allargate a quanti più soggetti, che spesso si concludevano rinviando la decisione a una riunione successiva, o arene caotiche dominate da un leader capace di far prevalere il suo pensiero e gruppi devono essere di dimensioni limitate che consentano la partecipazione di tutti in un processo decisorio

a rendere tutti attori competenti, sia in tema di valutazione che nella successiva fase

2.3 L’AUTOVALUTAZIONE

L’autovalutazione (s.f. 1 PSICOL Valutazione di se stesso, dei propri comportamenti, del proprio operato; 2 PEDAG Sistema di valutazione delle proprie capacità con l’impiego di test attitudinali e prove articolate3) è un processo che in Italia a partire dall’ultimo decennio del ‘900 è stato applicato particolarmente all’ambito della pedagogia istituzionale, al fine di migliorare i contesti e gli interventi attraverso percorsi di ricerca-azione (action research4 o action ricerche5) procedendo a una ridefinizione delle strutture (fisiche e di pensiero) e dei processi (didattico-formativi) in linea con le richieste di un particolare ambito sociale.

Una diffusa applicazione di questo concetto è praticata in Italia dal test INVALSI, introdotto con la L. 176/2007: si tratta di una prova scritta che pur utilizzando la valutazione degli apprendimenti degli studenti, ha quale oggetto di studio la qualità dell’insegnamento e come scopo il suo miglioramento.

Una ulteriore applicazione del concetto di autovalutazione si ha in campo medico: svariati manuali si occupano di diabete6 o ipertensione7 e dell’incremento della qualità della vita attraverso la limitata auto- gestione di misurazioni e terapia.

3 Gabrielli, 2011 4 Lewin, 1980 5 Barbier, 2007 6 Bisacchi et al, 1991 7 Bozza et al, 1988

Un terzo campo di applicazione, in linea con l’oggetto che stiamo trattando, lo si ritrova nell’ambito della pubblica Amministrazione: alla pagina web di “Pubblica amministrazione di qualità” del Ministero della Funzione pubblica. Nell’inciso si trova la definizione di autovalutazione “[…] un’analisi esauriente, sistematica e periodica delle attività e dei risultati di un’organizzazione con riferimento a un modello di Total Quality Management”.

Vi si afferma la necessità di procedere all’interno delle organizzazioni all’adozione di misure funzionali al miglioramento delle prestazioni e delle procedure, ma anche del clima aziendale, alla luce di ottiche quali quella del benchmarking (nel senso di confronto di prassi e standard) e di Customer Satisfaction Management (la gestione della customer satisfaction = capacità delle pubbliche amministrazioni di realizzare un sistema di gestione degli interventi con l’obiettivo della soddisfazione nel tempo dei clienti/utenti/cittadini e degli stakeholder in generale); l’obiettivo finale della CSM è quello del miglioramento dei servizi. Un ulteriore strumento finalizzato al miglioramento è la valutazione delle performance: il concetto di performance nella Pubblica Amministrazione è stato introdotto dal D.Lgs. 150/2009 (attuativo della L. 15/2009) che indica quali sono le fasi e i meccanismi da mettere in atto per misurare, gestire e valutare la performance di un’amministrazione pubblica.

Nel caso dell’autovalutazione nella P.A. si intende delineare un processo ascendente che coinvolgendo i singoli soggetti si estende a tutti i livelli,

fino ai vertici e all’organizzazione nel suo complesso: diventa parte di un ampio processo di apprendimento organizzativo.

Le organizzazioni che applicano una valutazione dei processi decisionali, delle prestazioni, del clima e delle relazioni interne e adottano strumenti per individuare le priorità su cui intervenire, agiscono al fine di migliorare la pratica quotidiana e con essa i propri “prodotti”, i rapporti interni e con l’esterno.

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