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DIPENDENTI: LA VALUTAZIONE E L’AUTOVALUTAZIONE

2.1 BENESSERE O MALESSERE, QUESTO E’ IL PROBLEMA!

2.1.3 Soluzioni possibil

Il primo soggetto interessato a soluzioni volte a favorire salute e benessere organizzativo è lo Stato: per mezzo dell’azione normativa (L. 300/1970 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”; D.Lgs. 626/1994 “Attuazione delle direttive europee […] riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”; L. 123/2007 “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”) la collettività si preoccupa di tutelare i diritti inalienabili di vita e libertà e conseguentemente di prevenire stati di

permanente, trattamenti medici o psichiatrici, assistenza e previdenza). L’interesse pubblico si combina a quello delle aziende private, interessate a mantenere o migliorare lo stato di salute dei propri lavoratori funzionalmente a obiettivi di performance economica e produttiva.

Su questa lunghezza d'onda si posizionano anche le aziende e le amministrazioni pubbliche, che ormai si trovano a dover fare i conti con bilanci sempre in rosso, per cercare di risanare situazioni disastrose o al limite. Dunque il benessere organizzativo, contribuendo al benessere generale della persona, diventa un must contemplato anche nel settore pubblico: il Ministro della Funzione Pubblica nella direttiva del 24 marzo 2004 circa le “Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle Pubbliche Amministrazioni” riconosce l’importanza di un “[…] clima organizzativo che stimoli la creatività e

l’apprendimento, l’ergonomia – oltre che la sicurezza – degli ambienti di lavoro delle Amministrazioni Pubbliche”. La finalità della direttiva sta

pertanto nel favorire e sostenere la creazione di condizioni che possano incidere sul miglioramento della cultura organizzativa; riveste carattere di estremo interesse il percorso indicato, ossia quello di valutare al fine del suo miglioramento il benessere all’interno dell’organizzazione, attraverso la rilevazione delle opinioni dei dipendenti sulla qualità della vita e delle relazioni all’interno dei luoghi di lavoro, per comprendere e gestire in modo costruttivo le risposte emotive al lavoro (Cherniss, 1983).

Al punto 4 la direttiva si sofferma su due punti cruciali: l’insoddisfazione per gli strumenti tradizionali dei gestione del personale e, stante un sistema ad alta intensità di lavoro intellettuale, l’inadeguatezza dell’utilizzo del solo sistema gerarchico.

Trasversale a tutta la direttiva la rilevanza attribuita al ruolo svolto dalle associazioni sindacali.

2.2 LA VALUTAZIONE

La valutazione è parte integrante della vita, un’azione che si svolge più volte durante l’arco della giornata e della vita, privata e sociale; nel corso della nostra vita siamo valutati fin dalla nascita (De Ambrogio, 2004). La parola “valutare” etimologicamente riporta alla necessità di “dare valore” alle cose e alle esperienze, ai servizi e alle politiche, ai beni e alle persone; riporta anche alla necessità di operare delle scelte, non solo tra ciò che è più o meno buono ma soprattutto fra ciò che è più o meno utile e vantaggioso (che vale), maggiormente rispondente alle necessità di ciascuno, sia di chi domanda sia di chi offre.

Quale che sia il livello che si sta valutando, la valutazione si articola in tre fasi distinte: ex ante, in itinere ed ex post (Leone, Prezza, 1999). Focalizzando l’attenzione sulla terza fase si possono individuare altrettanti momenti distinti: una valutazione di esito (output), una di risultato (outcome) e una di impatto. La prima risponde alla domanda se l’intervento o la politica sono state realizzati, la seconda se sono stati fatti bene o male (sulla base di un criterio predefinito, ad esempio di economicità), la terza se l’intervento o la politica sono stati utili ai destinatari, alla popolazione, alla politica…

Altri due concetti si devono sottolineare soprattutto quando si tratta di valutare nel sociale, ossia la valutazione di processo e quella di qualità (Foglietta, 2000).

Parlare di processo e di qualità serve a ridefinire l’oggetto dell’intervento in ambito sociale, in quanto richiama una dimensione allargata anche ai destinatari delle politiche e degli interventi, troppo spesso estranei dall’esercizio di una cittadinanza attiva (De Ambrogio, 2003).

Valutare il processo significa affrontare l’analisi delle relazioni fra i soggetti coinvolti nel progetto e la gestione dei ruoli, il modo in cui i destinatari sono raggiunti, le procedure di partecipazione adottate, i fattori di successo e gli ostacoli incontrati nella realizzazione del progetto.

Valutare la qualità significa rendere rilevante il punto di vista dell’utente, anche e soprattutto in relazione al processo suddetto e soprattutto in riferimento agli elementi che possono impedirne la partecipazione (De Ambrogio, 2004).

Ne è nata pertanto nell’ambito proprio delle scienze sociali, a partire dalla fine dagli anni ‘70 in Europa, una filosofia che si può chiamare di customer satisfaction, andata via via sviluppandosi anche in Italia, soprattutto a seguito dei processi di esternalizzazione dei servizi (sanitari e sociali) e dell’esigenza di acquisire strumenti per valutare e scegliere i progetti e gli enti gestori, in un neonato ambito di “quasi mercato”. In un panorama in cui le risorse, soprattutto nell’ente pubblico, scarseggiano ormai da decenni, investire in valutazione diventa l’antidoto alla perdita di motivazione degli operatori, al depotenziamento dei servizi, allo svuotamento di senso delle politiche.

La legislazione in merito (dal D.Lgs. 502/92 “Riordino della disciplina

in materia sanitaria” che adotta in via ordinaria il metodo della verifica

e revisione della qualità e quantità delle prestazioni alla L. 285/97 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia

e l’adolescenza” che impone la valutazione di efficacia degli interventi

rispetto agli obiettivi, dal “Piano sanitario nazionale 1998-2000” che rende sistematico l’orientamento del SSN alla valutazione alla L. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di

interventi e servizi sociali” che sancisce l’irrinunciabilità della verifica

dei risultati in termini di qualità e efficacia delle prestazioni) si muove in maniera sempre più certa nella direzione di una valutazione come mezzo finalizzato alla progettazione di politiche e servizi che coinvolgano gli interlocutori in un processo discorsivo e ricorsivo, favorendo la partecipazione non solo alla fase di pianificazione, ma anche di lettura e valutazione e pertanto di riprogettazione: valutare le politiche sociali significa mettere a confronto la domanda sociale documentata di un territorio e i risultati ottenuti dal sistema integrato di servizi e interventi offerti.

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