Capitolo III “I poteri della Banca d’Italia e la ridefinizione del suo ruolo in
2.1 Il concetto di autorizzazione e la sua evoluzione
La dottrina pubblicistica italiana non prestò grande attenzione al provvedimento di autorizzazione, almeno fino a quando, nel 1894, Oreste Ranelletti non pubblicò la parte prima della “Teoria delle autorizzazioni e concessioni amministrative”. A ragion di rigore, bisogna però specificare che sino a tal momento, non si era dato il giusto rilievo non solo all’autorizzazione ma anche e soprattutto alla più generale categoria del provvedimento amministrativo. Si comprende allora la grande innovazione del pensiero di Ranelletti, il quale non solo approfondì l’analisi di due provvedimenti amministrativi ma addirittura ne elaborò una teoria generale, attraverso una ricostruzione analoga a quella che aveva trovato spazio nel diritto privato per i negozi giuridici, pur non riducendo l’atto amministrativo ad un mero contratto.
Banca d’Italia, p.62, sottolinea come l’art. 4 del tub dimostri di distinguere in modo netto tra regolamenti ed istruzioni; su posizione analoga anche B.G.MATTARELLA, Potere normativo della banca d’Italia, p.240 ove fa notare come alla luce dell’art.4 le istruzioni possano essere emanate anche al di fuori dei casi in cui siano esplicitamente previste), dubbi sono prospettati da S.CASSESE (Istituzioni di diritto amministrativo, p.328). Li classifica come atti normativi (seppur in relazione alle disposizioni di vigilanza) invece S.AMOROSINO (La regolazione pubblica delle banche, 2016, p.131), anche se (Il tempo ed i termini nelle regolazioni pubbliche delle attività finanziarie, in AA.VV., La rilevanza del tempo nel diritto bancario e finanziario, 2018, p.27 e ss.) pone in luce la dequotazione nel diritto amministrativo contemporaneo della distinzione tra atti normativi e non normativi.
426 Sul punto si consideri comunque che il nuovo MUV ha introdotto un sistema di
136 Secondo Ranelletti l’autorizzazione sarebbe legata ad un’attività giuridica di prevenzione dello Stato, tesa ad impedire che l’attività del singolo possa contrastare con le esigenze pubbliche ed il provvedimento autorizzativo determinerebbe quindi solo la rimozione di un limite all’esplicarsi dell’attività individuale. Alla base della impostazione del Ranelletti vi era quindi la constatazione della preesistenza della situazione giuridica soggettiva, declinata nelle forme del diritto soggettivo, non trovando spazio alcuno per gli effetti costitutivi connessi al provvedimento, che rappresenterebbe proprio l’elemento differenziale dalla concessione. Con l’autorizzazione non verrebbe infatti creato alcun diritto soggettivo dalla amministrazione, lo stesso infatti preesisterebbe seppur in una dimensione meramente potenziale, divenendo attuale e quindi esercitabile solo quando la pubblica amministrazione abbia accertato che siano osservate, in modo conforme all’interesse tutelato dalla legge, tutte le condizioni poste dalla legge come limiti al libero espletamento dell’attività individuale. In tale ottica benché l’attività di prevenzione e tutela, connessa all’autorizzazione, sia unilaterale come quella di concessione, essa esprimerebbe però una soggezione del privato allo Stato ancor più rilevante escludendosi qualsiasi forma di concorrenza del privato alla formazione del provvedimento, a differenza della concessione.
Mentre poi l’autorizzazione richiederebbe come presupposto solo che gli atti permessi non contrastino con le esigenze pubbliche essendo essenziale quindi la mera inidoneità a far male, nella concessione verrebbe in rilievo anche la capacità di far bene.
La dottrina pubblicistica successiva, nella eterogeneità della relative visioni, seppur fortemente influenzata dal pensiero del Ranelletti, ebbe però il merito di mettere in risalto non solo il criterio funzionale ma anche quello soggettivo. Sebbene fosse infatti confermata la tesi della preesistenza della situazione soggettiva, rispetto alla quale l’autorizzazione determinerebbe una rimozione di limite al suo esercizio, si evidenziò come nelle sole autorizzazioni in senso stretto (non quelle accordate dal parlamento al governo, essendoci l’unità della personalità dello Stato) vi fosse una duplicità sotto il profilo soggettivo427.
Altra dottrina si limitò invece a precisare l’intuizione del Ranelletti secondo cui nel caso in cui è necessaria un’autorizzazione, ci si troverebbe in una situazione di proibizione condizionata rispetto ad una certa attività. Tale dottrina ha infatti evidenziato come l’autorizzazione non si limiterebbe a derogare un divieto, trattandosi di una situazione più complessa in cui una norma più ampia attribuisce un diritto ed un’altra norma la deroga ponendo un divieto. In tale ottica l’autorizzazione rimuoverebbe il relativo divieto428.
La successiva dottrina429 cominciò poi ad evidenziare la necessità di distinguere
le autorizzazioni in senso stretto dagli atti complessi come le approvazioni ed i consensi, incrinando le potenzialità di una ricostruzione teorica generale.
Sulla base di questa prima lieve incrinatura alla tesi del Ranelletti, si aprì la strada per una rivisitazione della nozione di autorizzazione anche e soprattutto per il
427 S.ROMANO, Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, in Il Filangieri, 1898, 164 ss. 428 U.FORTI , Gli acquisti dei corpi morali e l’autorizzazione governativa, in Riv. dir. Civ., 1913. 429 U.BORSI, Le funzioni del comune italiano, in Primo trattato completo di diritto amministrativo
137 rilievo dimensionale, tanto da un punto di vista quantitativo quanto qualitativo, che l’intervento del pubblico nell’economica stava assumendo. In un contesto così mutato si aprì ben presto una nuova dimensione per l’autorizzazione, non vista più solo come confronto tra interesse pubblico e attività del privato. In tale ottica l’autorizzazione serviva infatti a conformare l’attività del privato all’interesse positivo e non meramente negativo (cioè del non contrasto tra attività privata e interesse pubblico) dello stato. L’autorizzazione aveva cioè assunto la funzione economica di governo del settore di riferimento, dunque attraverso l’autorizzazione il potere pubblico aveva la possibilità di incidere sul mercato e condizionarlo430.
Tutto ciò fu confermato e positivizzato con l’entrata in vigore della Costituzione. Le tesi relative al provvedimento autorizzativo, dovettero fare i conti con il dettato dell’art.41 ed in special modo con la previsione per cui l’attività economica può essere indirizzata e coordinata a fini sociali attraverso programmi e controlli stabiliti per legge.
La tesi ranellettiana, secondo cui l’autorizzazione miri solamente ad una funzione di tutela e prevenzione (negativa), non potendo essere utilizzata come strumento per il conseguimento di obiettivi sociali (positivi), dovette infatti fare i conti con il comma 3 dell’art. 41431. Questo non significò un completo ripudio della tesi del
Ranelletti ma solo una sua rilettura adeguatrice alla luce dei mutamenti economici e normativi. Dottrina autorevole432 infatti ritenne confermata anche dall’impianto
costituzionale la tesi del diritto soggettivo preesistente (attribuito dall’art.41 cost.) e condizionato all’autorizzazione433.
La vera crisi e messa in discussione della tesi del Raneletti si ebbe infatti solo con l’affermarsi di quelle tesi dottrinali che cominciarono a riconoscere effetti costitutivi al provvedimento autorizzativo, mettendo in crisi la differenziazione con il provvedimento concessorio e negando quindi fondatezza alla relativa impostazione. Un illustre autore riteneva addirittura inconciliabile l’affermazione della preesistenza di un diritto con la qualificazione in termini di illiceità dell’attività compiuta in assenza di autorizzazione434. La tesi del Ranelletti fu quindi
contestata nelle sue fondamenta, sulla base della concezione per cui il significato letterale di autorizzazione presuppone l’inesistenza del diritto o del potere, i quali vengono conferiti con il provvedimento.
Al di là di queste tesi più radicali, grande rilievo nel quadro di crisi della teorica dell’autorizzazione, hanno assunto le valutazione di Giannini, il quale partendo da una prospettiva di analisi complessiva dei procedimenti autorizzatori sotto l’aspetto non solo strutturale e funzionale, era giunto a ritenere che sotto il primo
430 S.CASSESE, La nuova costituzione economica, 1995, p.14 ss. 431 U.POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, 1964, p.117.
432 Sandulli infatti pur ritenendo non esaustiva la nozione di rimozione di limite, segue un iter
logico assimilabile a quello del Ranelletti, premettendo infatti la distinzione tra diritto soggettivo (situazione statica) e potestà e facoltà (situazioni dinamiche che presuppongono il diritto soggettivo), ritiene che le autorizzazioni incidano solo sulla situazione dinamica pur avendo le stesse fondamento nella situazione statica cioè nel diritto soggettivo. Le autorizzazioni non avrebbero effetti costitutivi, ma consentirebbero alla situazione dinamica contenuta in stato di latenza nel diritto soggettivo di trovare una dimensione attuale, rendendosi quindi esercitabili.
433 A.M.SANDULLI, Notazioni in tema di provvedimenti autorizzativi, in Riv. Trim. dir. Pubb., 1957,
784 e ss.
434 S.ORTOLANI, Autorizzazione e approvazione, in scritti girudici in onore di Santi Romano,
138 profilo435 questi avessero una struttura logica tripartita (potere del privato,
connotazione giuridica del potere da parte di norma, provvedimento che amministra tale connotazione giuridica)436, mentre sotto il profilo funzionale437 il
carattere definitorio fosse quello della subordinazione dell’indispensabile minimo, nella duplice dimensione del controllo o della programmazione438. L’approccio
del Giannini fu però assolutamente innovativo per completezza ed esaustività, non limitando la sua analisi a questi profili (strutturali e funzionali) considerando determinante il profilo degli effetti giuridici del provvedimento come conferma la distinzione, a lui riconducibile, tra autorizzazioni costitutive e permissive 439. Il
Giannini superò pertanto quella relazione tra connotati struttural/funzionali dell’atto e situazione giuridica soggettiva, che aveva caratterizzato le precedenti visioni dottrinarie, il che gli consentì di dar rilievo al profilo degli effetti e quindi alla dicotomia tra autorizzazioni permissive e costitutive.
Mentre infatti quelle permissive si limiterebbero a consentire una determinata attività sulla base di un diritto soggettivo preesistente, seguendo la normale logica della scissione tra titolarità e legittimazione all’esercizio del diritto440, quelle
costitutive invece sarebbero relative ad ipotesi nelle quali non preesisterebbe alcun diritto, che verrebbe attribuito dal provvedimento autorizzatorio.
Questo tipo di autorizzazioni infatti si inquadra in quelle situazioni in cui una norma generale attribuisca a taluni soggetti diritti o comunque li metta nella condizione di acquisirli compiendo determinati atti giuridici, sulla quale però incida un’altra norma, che derogando alla previsione normativa generale, disponga che relativamente ad un certo oggetto, i soggetti non possano essere titolari di quei diritti o comunque non possano acquisirli, riconoscendo solo all’atto dell’autorità il potere di attribuirli. Questo significa che secondo l’impostazione del Giannini, non è l’originaria situazione giuridica soggettiva, esclusa dalla norma derogatrice, ad essere reintegrata dall’autorizzazione, essendo creata dall’autorizzazione una nuova situazione giuridica.
Le autorizzazioni di quest’ultimo tipo, secondo Giannini, erano tipiche proprio degli ordinamenti sezionali441, cioè di quegli ordinamenti caratterizzati dalla
presenza di un potere pubblico dotato del potere di emanare disposizioni per i soggetti che lo compongono e tenuti poi a conformarsi a pena di sanzione alle stesse. Il Giannini aveva elaborato questa definizione, richiamandosi a due concetti di Santi Romano, in primis quello di ordinamento nell’accezione di organizzazione dello Stato retta da un organo riconducibile allo Stato, in secondo luogo al concetto di rapporti di supremazia speciale. Il Giannini, nell’ottica romaniana della pluralità degli ordinamenti giuridici, aveva individuato quindi tre elementi essenziali ed indefettibili ai fini della configurazione di un ordinamento in senso sezionale e cioè l’esistenza di un gruppo di figure soggettive determinabili, l’esistenza di un gruppo nonché di una normativa particolare
435 M.S.GIANNINI, Diritto Amministrativo, p.611
436 In tal modo l’A. separa la titolarità del potere dalla individuazione dei suoi limiti cioè dalla
connotazione.
437 M.S.GIANNINI, Diritto Amministrativo, p.614
438 Il profilo funzionale sembra in effetti assimilabile alle letture del Ranelletti e del Sandulli,
inscrivendosi nella tradizionale dicotomia tra limiti di carattere positivo e limiti negativi.
439 M.S.GIANNINI, Diritto Amministrativo, p.621
440 Giannini considera questa una situazione tipica dell’ipotesi in cui una norma attribuisca un
diritto ed un’altra (che impone l’autorizzazione) lo connoti cioè lo delimiti.
441 M.S.GIANNINI, Osservazioni sulla disciplina della funzione creditizia, in Scritti giuridici in onore
139 derivante dall’autorità. Questa nozione viene quindi elaborata dal Giannini per descrivere i settori in cui le attività dei privati sono sottoposte ad un controllo esercitato da soggetti pubblici che esercitano anche poteri normativi, proprio per la rilevanza pubblicista dell’attività ed il coinvolgimento di interessi pubblici. In tale ottica è facile comprendere il perché Giannini considerasse l’ordinamento creditizio come l’esempio più emblematico di ordinamento sezionale, presentando i caratteri della plurisoggettività, della organizzazione e della normazione, ed essendo posto a presidio di interessi pubblici di assoluto rilievo. Fatte queste premesse si comprende la ragione per cui, in tal contesto, l’autorizzazione assumesse per Giannini, non il semplice effetto di rimozione di limite ad una determinata attività, ma l’effetto costitutivo di una situazione giuridica soggettiva prima inesistente, consentendo l’ingresso in un settore non aperto e soggetto a poteri pubblici di direzione e controllo proprio per la rilevanza pubblicista degli interessi coinvolti dall’attività privata.
Altrettanto rilevante è poi l’intuizione di altra parte della dottrina442, la quale
partendo dalla ripudio della tesi secondo cui l’art. 41 della cost. attribuisse un diritto soggettivo443, ha riconosciuto il carattere costitutivo delle autorizzazioni
caratterizzate da discrezionalità. Questa dottrina partendo infatti dal presupposto che la libertà di iniziativa economica ha natura di diritto soggettivo ed affermando che la situazione giuridica connessa non attiene ad un bene della vita in via diretta ma solo alla pretesa di una legge conforme alla Costituzione, attribuisce solo al rapporto tra legge ed amministrazione il rilievo di diritto soggettivo. La dottrina in commento ha poi avuto il merito di sostenere il dualismo dialettico tra atti vincolanti ricognitivi ed atti discrezionali costitutivi444, i primi caratterizzati dalla
preesistenza del diritto soggettivo, i secondi invece contrassegnati dall’attribuzione ex novo di una situazione soggettiva nuova in aggiunta al patrimonio del destinatario in modo da poter svolgere legittimamente l’attività autorizzata445. Si può quindi affermare che in quest’ultimo caso l’autorizzazione
442 A.ORSI BATTAGLINI, voce Autorizzazione Amministrativa, in Dig. IV (DISC. PUBBL.), Torino,
1987, vol.II, 66 e ss.; E.CAPACCIOLI, Manuale di diritto amministrativo, 1983, Cedam, 316 e ss.
443 Sono infatti contestate da Osi Battaglini, tutte le ricostruzioni teoriche volte a comprovare la
preesistenza della situazione soggettiva e l’assenza di effetti costitutivi. La prima critica è verso lo schema che riconosce la sussistenza di un rapporto di regola/eccezione tra le norme generali privatistiche e le norme pubblicistiche che le limitano, in virtù del carattere unitario dell’ordinamento. Viene poi disinnescata anche la tesi del diritto potenziale o in attesa di espansione che può trovare rilievo solo per la situazione patrimoniale complessiva e non per le singole situazioni soggettive (che al più possono esistere o non esistere). L’A. procede poi con l’analisi della tesi del Sandulli che partendo dalla distinzione tra situazioni statiche e dinamiche riconosce alla autorizzazione l’incisione sulla sola situazione dinamica (potere/facoltà) contenuta in stato di latenza nella situazione statica (diritto soggettivo). Per l’A. non ha alcuna utilità una simile impostazione essendo limitata semplicemente a riproporre il problema di una situazione soggettiva esistente ma non esercitabile, salvo a voler riconoscere alla autorizzazione un effetto costitutivo e quindi la nascita di poteri e facoltà prima inesistenti. Infine destruttura anche la tesi che vede nell’autorizzazione una funzione di integrazione della fattispecie, l’autorizzazione infatti non integra una fattispecie già parzialmente realizzata da cui il potere deriva, ma pur a voler dar per buona questa ricostruzione in termini di atto complesso ne deriverebbe un effetto costitutivo non preesistendo alcuna situazione giuridica soggettiva all’atto.
445 Questa ricostruzione dualistica così prospettata presta però il fianco ad una serie di critiche
sulla base delle impostazioni giurisprudenziali tradizionali, considerate dall’A. ma superate come quella impostazione secondo cui mentre all’attività discrezionale si contrappone sempre un interesse legittimo, in caso di attività vincolata invece la corrispondente situazione può avere natura di diritto soggettivo o interesse legittimo a seconda che il vincolo sia posto a soddisfazione di un interesse privatistico (sula base di una norma di relazione) o pubblicistico (sulla base di una norma di azione) (cfr. Corte Cost. 16 Aprile 1998 n.127, A.P. 24 maggio 2007 n.8). Secondo Orsi
140 assuma i connotati di un atto costitutivo di nuove situazioni giuridiche soggettive dinamiche prima inesistenti. Questo significa che può anche preesistere un diritto soggettivo ma solo nella sua dimensione statica e che si limita ad essere fattore di legittimazione.
Questa dottrina pone infine in discussione il problema della discrezionalità tecnica, lasciando la soluzione sulla collocazione della tematica, nel quadro precedentemente tracciato, alla discussione dottrinale e giurisprudenziale sul tema ed in particolare al profilo della sussistenza o meno di una riserva di valutazione tecnica a favore della pubblica amministrazione. Secondo questa dottrina infatti il riconoscimento della sussistenza di tale margine avvicinerebbe quanto a sindacabilità la discrezionalità tecnica alla discrezionalità pura, mentre l’assenza del relativo margine di riserva di apprezzamento invece alla attività vincolata446.