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Il criterio di massimizzazione dell’utilit` a attesa

4.3 Alcuni problemi nella proposta di Jeffrey

4.3.2 Il criterio di massimizzazione dell’utilit` a attesa

I problemi illustrati nella sezione precedente potrebbero essere considerati superabili o, per lo meno, inessenziali rispetto alla posizione teorica espo- sta da Jeffrey. Se il tema dell’intreccio tra parere scientifico e considerazioni di valore si limitasse a una questione comunicativa, per quanto complessa e connaturata alla prassi in esame, la soluzione sembrerebbe dopotutto a portata di mano. Quello a cui una regolamentazione adeguata della scienti- fic advisory dovrebbe mirare, infatti, sarebbe una riduzione progressiva del divario comunicativo e, di conseguenza, delle derivanti incomprensioni. Una formazione corretta della cittadinanza, dei policy maker e degli stessi pannelli consultivi potrebbe, in un progetto pi`u a lungo termine, rendere i soggetti coinvolti coscienti del valore e del peso da attribuire alle informazioni scien- tifiche, eliminando quella incompatibilit`a di richieste e aspettative che `e alla base di molti dei problemi sopra esposti. Potremmo, in altre parole, lasciarci convincere dalle posizioni di Betz e ritenere le perplessit`a poste da Kitcher superabili. Sebbene un lavoro in tale direzione sarebbe ovviamente necessario e auspicabile, esso non esaurirebbe, a mio avviso, la questione della divisione delle competenze tra parere scientifico e giudizi di valore nella gestione del rischio nella scelta sociale. In particolare, ritengo che alla base della solu- zione di Jeffrey, e delle procedure di risk managing pi`u in generale, vi sia un presupposto teorico, il criterio della massimizzazione dell’utilit`a attesa (o la minimizzazione dei rischi previsti), che non pu`o essere acriticamente impiegato senza minare l’obiettivo di una distinzione legittima dei ruoli.

La proposta di Jeffrey si basa su un’apparente e perfetta simmetria tra scienziato e policy maker, riflessa nella distinzione tra probabilit`a e utilit`a. `E immediato per`o notare che, una volta che questi dati sono stati inseriti nella matrice dalla controparte appropriata, la decisione sulla strategia da adottare `

e determinata dal calcolo dell’utilit`a attesa, e, nello specifico, `e improntata al principio di massimizzazione. Se esprimere le probabilit`a `e compito dello scienziato, mentre la valutazione delle utilit`a delle conseguenze pertiene al policy maker, chi fornisce il criterio di decisione? In altre parole, chi fornisce, e dunque, qual `e la fonte della legittimit`a, del criterio di massimizzazione

dell’utilit`a attesa?

Questa domanda potrebbe apparire, se richiamiamo alla memoria l’argo- mento di Bernoulli, inopportuna e scontata. Sembrerebbe infatti un principio basilare e una caratterizzazione intuitiva della razionalit`a agire nel modo pi`u efficace possibile per il raggiungimento degli esiti pi`u desiderabili. Cosa defi- nisce un comportamento ragionevole se non tenere conto delle informazioni disponibili e, una volta che queste siano state soppesate, mettere in atto la strategia migliore per realizzare i propri obiettivi? Una giustificazione di questo principio puramente strumentale non pu`o che esaurirsi in un appello all’auto-evidenza. Nonostante questa apparente “stabilit`a” del principio di massimizzazione, una procedura di decisione che si fondi su questo criterio nasconde in realt`a un importante presupposto teorico che non `e, a mio parere, altrettanto auto-evidente e inattaccabile.

Per illustrare questo punto, `e utile tornare agli esempi di critica all’im- piego della cost-benefit analysis riportati nel Capitolo 3. In entrambi i casi, il fulcro delle obiezioni era la presenza di valori ritenuti incommensurabi- li rispetto all’interesse economico o, in termini pi`u precisi, la denuncia di un’incomparabilit`a tra le possibili conseguenze di una decisione. Questa in- tuizione, che si `e dimostrata particolarmente persistente, pu`o essere tradotta nella critica alla riduzione a un’unica misura, quella dell’utilit`a, di esiti di diversa natura e “peso”. Anche se la determinazione dell’utilit`a degli esiti si basa unicamente sull’ordine di preferenza espresso dagli agenti, la tra- duzione in termini numerici attraverso una funzione di probabilit`a ha delle conseguenze ben precise sul processo decisionale, che possono non rispettare le informazioni che saremmo autorizzati a derivare dal semplice comporta- mento di scelta degli agenti. In generale, la procedura di massimizzazione dell’utilit`a attesa si fonda sul presupposto teorico che tutte le conseguenze siano commensurabili, traducibili in una misura comune di utilit`a e egual- mente “scontabili” per la probabilit`a del loro verificarsi. `E immediato notare, infatti, come questo requisito sia tecnicamente imprescindibile per il calco- lo dell’utilit`a attesa. Questo assunto, per`o, non rappresenta a mio avviso una richiesta ragionevole e aproblematica; in particolare, esso costituisce un passo ulteriore rispetto all’elicitazione delle preferenze individuali a partire

dai comportamenti di scelta, e necessiterebbe quindi di una giustificazione convincente che viene omessa nella teoria della decisione standard.

Per illustrare come la “traduzione” delle preferenze sugli esiti in termi- ni di utilit`a e la conseguente applicazione del principio di massimizzazione possano condurre a una soluzione che non rispetta le preferenze degli agenti, pensiamo a un caso molto semplificato di scelta sociale come il seguente.

Problema di Decisione. La costruzione di una centrale nucleare ridur- rebbe notevolmente il costo dell’energia elettrica per l’intera popolazione. L’esito a =“costruzione della centrale senza effetti collaterali” `e quindi il preferito dalla maggior parte degli agenti. D’altra parte, la costruzione della centrale potrebbe condurre anche a gravi conseguenze ambientali e sanitarie, dal problema dello smaltimento delle scorie alla possibilit`a di gravi incidenti; l’esito b =“costruzione della centrale e seri effetti collaterali” `e quindi il meno desiderabile. Immaginiamo poi che gli agenti preferiscano l’esito a agli esiti c e d in cui la centrale non viene costruita e, di conseguenza, i prezzi dell’ener- gia elettrica si mantengono alti. Il teorema di rappresentazione dell’utilit`a ci consente di rappresentare legittimamente le preferenze espresse dagli agenti come segue:

Non ci sono effetti collaterali (1-p) Effetti collaterali (p)

costruire la centrale u(a) = 10 u(b) = 0

non costruire la centrale u(c) = 5 u(d) = 5

Immaginiamo ora che il pannello scientifico incaricato di condurre un’a- nalisi del rischio e fornire un parere esperto stimi la probabilit`a p che si verifichino effetti collaterali come inferiore allo 0.00001%, con un livello di confidenza superiore al 99%. Il calcolo dell’utilit`a attesa imporrebbe dun- que al policy maker di costruire la centrale in questo semplice case-study. In realt`a, a mio avviso, la soluzione implementata potrebbe non rappresentare adeguatamente le preferenze dei cittadini, nel caso in cui l’esito b venisse considerato incomparabilmente peggiore, o non confrontabile, rispetto agli altri esiti della matrice. L’esito b viene invece semplicemente “scontato” per

la sua bassa probabilit`a di occorrenza: questa, d’altra parte, `e esattamente la conseguenza dell’applicare il presupposto teorico della riduzione a un’unica unit`a di misura per poi calcolare a quale alternativa `e associata la maggio- re utilit`a attesa. Il risultato del problema di decisione, per`o, potrebbe non rappresentare pi`u, da un punto di vista intuitivo, i giudizi di valore e le con- siderazioni etiche e morali espresse dai cittadini: il compito di determinare la desiderabilit`a degli esiti in termini di utilit`a, in altre parole, non `e sufficiente a garantire che ai valori presenti nella matrice sia attribuito il peso adeguato.

Non intendo impegnarmi in questa sede nel difendere le tesi di una in- commensurabilit`a di principio tra esiti e dell’inadeguatezza teorica del calcolo dell’utilit`a prevista3. Ci`o che va evidenziato, invece, `e che, in specifici contesti

di decisione, una semplice traduzione in “utili” della desiderabilit`a delle di- verse conseguenze sembra non riflettere la valutazione psicologica degli agenti e pu`o intuitivamente condurre a una distorsione delle loro preferenze. In al- tre parole, in casi di scelta in condizioni di rischio, alcune “informazioni”, ad esempio il fatto che un esito sia considerato come particolarmente indeside- rato, non vengono rappresentate nella risultante matrice di decisione. Queste considerazioni sono dunque volte a suggerire che un criterio di decisione alter- nativo potrebbe meglio rispecchiare le motivazioni e i giudizi di valore degli agenti nel limitato e specifico contesto di scelte che comportano gravi rischi collettivi.