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Versione procedurale, versione epistemica o criterio d

4.4 La divisione dei lavori: un bilancio

5.1.3 Versione procedurale, versione epistemica o criterio d

terio di decisione?

Oltre alla controversia su quale sia la pi`u appropriata formulazione del Prin- cipio di Precauzione, rilevante soprattutto in ambito legislativo e giudiziario, il dibattito teorico si `e giocato, e si articola tuttora, in riferimento al ruolo del Principio di Precauzione. Come Ahteensuu e Sandin (2012) illustrano, il Principio di Precauzione pu`o essere infatti caratterizzato in tre principali modi, non del tutto sovrapponibili e spesso alternativi:

1. come condizione procedurale, che impone specifici requisiti su come le decisioni dovrebbero essere prese;

2. come criterio di decisione, che determina e guida la scelta tra specifiche linee d’azione nei problemi di decisione in questione;

3. come regola epistemica, che prende una posizione su come le inferenze scientifiche dovrebbero procedere rispetto al rischio di errore.

La prima interpretazione del Principio di Precauzione, che ha avuto par- ticolare fortuna in letteratura negli ultimi anni `e stata sostenuta, tra gli altri,

4Capitol Hill Hearing Testimony Concerning the Cloning of Humans and Genetic Mo-

da Peterson 2006, Steele 2006, Sprenger 2012 e Steel 2015. Steel, soprattutto, esplicita il carattere procedurale del Principio di Precauzione definendo il suo “Meta Precautionary Principle” come segue:

It is not a rule that indicates which of several environmental policy options to select- for instance, whether to set the allowable level of arsenic in drinking water at 50, 10 or 5 parts per billion. Instead, it places a restriction on what sort of rules should be used for that purpose, namely decision rules that are susceptible to paralysis by scientific uncertainty should be avoided.

Se gli autori sopra citati differiscono su come sia pi`u correttamente formu- lata la condizione procedurale, tutti concordano sul ruolo di meta principio del Principio di Precauzione, che determina quali criteri di decisione sia- no accettabili piuttosto che costituire uno specifico criterio di decisione esso stesso.

I sostenitori della seconda interpretazione del Principio di Precauzione, al contrario, ritengono che la sua migliore caratterizzazione sia espressa in ter- mini di criterio di decisione per un problema di scelta. All’interno di questa area, le posizioni sono molto pi`u variegate e contrastanti. Innanzitutto, alcuni critici del Principio di Precauzione, come Jaeger, Marchant e Posner, sosten- gono che tale principio non si discosti in modo sostanziale dalla cost-benefit analysis, e quindi dal criterio di decisione della massimizzazione dell’utili`a at- tesa. Chi ha cercato invece di riabilitare il Principio di Precauzione da questa accusa ha invece mirato a definirlo come un criterio di decisione alternativo: il Maximin (Ackermann, Hansson, Gardiner) o il Minimax Regret (Chisholm e Clark (1993)). Tutte queste proposte, comunque, sono accomunate da un riferimento diretto alla Teoria della Decisione e all’identificazione di un crite- rio risolutivo per la matrice di decisione che formuli adeguatamente le istanze e le motivazioni espresse dal Principio di Precauzione.

L’ultima posizione, finora la meno esplicitamente articolata, riporta la discussione sul Principio di Precauzione nell’ambito ormai familiare degli standard dell’inferenza scientifica rispetto all’argomento del rischio indutti- vo. La richiesta di prudenza viene quindi interpretata come un’imposizione di

particolari condizioni al tipo di evidenza scientifica legittimamente utilizza- bile, e a come tali informazioni scientifiche debbano essere ricavate, valutate e comunicate. Il Principio di Precauzione, di conseguenza, verrebbe a collo- carsi e sarebbe rilevante gi`a allo stadio della prassi scientifica, e non al livello della policy making. Questa particolare e innovativa visione del Principio di Precauzione `e stata esplicitamente difesa da alcuni degli autori che lo inter- pretano anche come condizione procedurale, tra cui Steele e Steel. Possiamo dire, in questo senso, che la concezione epistemica ha avuto origine come articolazione di quella procedurale.

Data la sua enorme fortuna, diffusione e portata pratica, `e ormai im- possibile ignorare il Principio di Precauzione e, soprattutto, non indagare il suo rapporto con le altre tecniche di risk managing che vengono tutto- ra ampiamente impiegate e godono di largo credito. Questa discussione non pu`o prescindere dal dibattito in corso su quale versione del principio sia pi`u adeguata, e, soprattutto, di come debba essere meglio inteso questo ruolo. Nelle sezioni seguenti, mi interrogher`o, tra le altre, sulle seguenti questioni: il Principio di Precauzione costituisce effettivamente una procedura di gestione del rischio alternativa? Quali sono le sue differenze rispetto alla tradizionale cost-benefit analysis? In particolare, rispetto al tema qui indagato del rap- porto tra consulenza tecnica e valori, quale tipo di “divisione dei lavori” `e suggerito dal Principio di Precauzione?

Nello svolgere questa analisi, prender`o una posizione specifica rispetto alla controversia sul ruolo del Principio di Precauzione. Dapprima, nella se- zione successiva, mi concentrer`o sulle differenze tra la cost-benefit analysis, o il criterio standard della massimizzazione dell’utilit`a attesa, e il Principio di Precauzione, che interpreter`o di conseguenza come un alternativo criterio di decisione in condizioni di incertezza, il Maximin. Il mio scopo sar`a quello di illustrare come questo diverso criterio consenta alla componente valoria- le di essere meglio incorporata e rappresentata nella matrice di decisione. Nell’ultima parte di questo lavoro, tuttavia, emergeranno anche alcune rifles- sioni che possono essere meglio articolate facendo riferimento al Principio di Precauzione come regola epistemica o, pi`u in generale, procedurale.