La critica decostruzionista è un’altra componente essenziale del testualismo etnografico, in quanto contribuisce a spostare la discus- sione sulla natura dell’oggetto antropologico dal campo delle dispute epistemologiche relative al dualismo soggetto/oggetto verso l’analisi della costruzione dell’oggetto come effetto della scrittura. Il legame indiscutibile della svolta “letteraria” con il revival della retorica pro- mosso negli anni Settanta ci conduce a una fase un po’ piú avanzata riconducibile alla massiccia diffusione degli orientamenti poststrut- turalisti negli Stati Uniti111.
Forse il primo a diagnosticare una crisi della rappresentazione come rinuncia al referente linguistico è stato Foucault, che ha analiz- zato gli esiti filosofi della crisi nel pensiero di Nietzsche e quelli let- CRISI E CRITICA DELL’ANTROPOLOGIA 91
112R. MACSEY-E. DONATO (a cura di), La controversia sullo strutturalismo, Napoli, Liguori 1975.
113Si veda J. CULLER, Sulla decostruzione, Bompiani, Milano 1988; M. FERRA- RIS, La svolta testuale. Il decostruzionismo in Derrida, Lyotard, gli “Yale Critics”, Unicopli, Milano 1984.
terari nella poesia di Mallarmé. Ne Le parole e le cose, Foucault ha discusso l’origine e gli esiti di tale processo, mostrando come «La soglia dal classicismo alla modernità (ma poco importano le parole in quanto tali: diciamo dalla nostra preistoria a ciò che ancora ci è con- temporaneo) venne definitivamente varcata allorché le parole cessa- rono d’intrecciarsi alle rappresentazioni e di quadrettare spontanea- mente la conoscenza delle cose. Agli inizi del XIX secolo, ritrovarono il loro antico, enigmatico spessore; ma non fu per reinserirsi nella curva del mondo che le accoglieva nel Rinascimento, né per mesco- larsi alle cose in un sistema circolare di segni. Staccato dalla rappre- sentazione, il linguaggio esiste ormai solo in forma dispersa, e questo fino ai nostri giorni».
Proprio il 1966 - anno di prima pubblicazione de Le parole e le cose - è un’altra data simbolica, almeno nella cultura e nell’accade- mia americana. Quell’anno a Baltimora, presso la John Hopkins University, si svolse un convegno su “I linguaggi della critica e le scienze dell’uomo”, che segnò l’inizio di una svolta epocale112. Nelle sessioni del convegno, e dopo la pubblicazione degli atti, molti autori ascritti al campo strutturalista espressero l’esigenza di prendere le distanze da quel sistema di pensiero, per poi seguire altre direzioni partendo da quel campo. Inoltre, nella serie di semi- nari permanenti alla Johns Hopkins University – che seguirono nei due anni successivi al convegno – non solo si definirono nuove pro- spettive per una riflessione tra i vari campi disciplinari contigui al cui interno lo strutturalismo aveva prosperato, ma si realizzò anche un lavoro critico sui linguaggi stessi che fino a quel momento ave- vano usato il concetto di struttura113.
Lo strutturalismo aveva spostato l’interesse dal significato di un testo al meccanismo che lo sottende, sfidando la tradizione umani- stica ed i suoi principali presupposti circa l’esistenza di un mondo reale fuori dal testo, raffigurabile e descrivibile con esattezza e preci-
114J. DERRIDA, «Struttura, segno e gioco nel discorso delle scienze umane», in R. MACSEY-E. DONATO (a cura di), La controversia sullo strutturalismo, cit., pp. 353-387.
115Si veda la nota di apertura al volume in cui sono raccolti gli atti del con- vegno di Baltimora: R. MACSEY, «Leoni e scacchi: note di apertura», in R. MAC- SEY-E. DONATO(a cura di), La controversia sullo strutturalismo, cit., pp. 13-41.
116«Il risultato è stato che molti degli sviluppi piú interessanti e innovativi del pensiero moderno, sono stati recepiti, in America, non dai filosofi [...] ma dai cri- tici letterari e sono entrati a far parte della vita intellettuale americana attraverso studi condotti da questi ultimi”. J. CULLER, Sulla decostruzione, cit., p. 2.
sione attraverso il linguaggio, nonché comprensibile in forme slegate dal linguaggio attraverso la razionalità della nostra mente. Da qui muove il poststrutturalismo, ma per portare alle estreme conse- guenze un assalto al cuore stesso dell’impianto strutturalista, al suo centro metafisico, ovvero la struttura. Il privilegio accordato alla dif- ferenza segnala l’impossibilità, programmaticamente dichiarata, o soltanto intravista, di continuare a far lavorare il pensiero con i con- cetti tradizionali.
La “storia della metafisica occidentale” ricostruita da Jacques Derrida114, è decisiva per lo sviluppo delle prospettive poststruttura- liste. L’annuncio derridiano della perdita di un centro metafisico libera uno spazio per il fluttuare molteplice dell’interpretazione, dove l’interprete è costretto a confrontarsi con le dimensioni allego- riche e parodiche del linguaggio stesso115.
Se, come ha ravvisato Jonathan Culler, l’enorme interesse degli studi letterari statunitensi nei confronti del pensiero di Derrida può essere letto come una reazione all’impronta largamente analitica del pensiero filosofico americano, nel quale filosofi come Hegel, Husserl e Heidegger occupano un posto marginale, allora l’importazione e la massiccia diffusione di una nuova corrente di pensiero sarebbero espressione del tentativo di colmare un vuoto. Per provare a muo- versi al di là del positivismo imperante della filosofia analitica gli studi letterari avrebbero consapevolmente assunto un ruolo di con- testazione e di discussione metodologica ricercando sempre nuovi «domini intellettualmente eccitanti»116.
Nei dipartimenti di letteratura americani la decostruzione diventa ben presto lo strumento per una nuova teoria della critica CRISI E CRITICA DELL’ANTROPOLOGIA 93
117Cfr. M. FERRARIS, La svolta testuale, cit.
118G.E. MARCUS, «Rhetoric and the Ethnographic Genre in Anthropological Research», in Current Anthropology, 21, 4, 1980, pp. 507-510.
119Ivi, p. 507.
letteraria. Il piú importante centro è Yale, dove operano tra gli altri Geoffrey H. Hartman, J. Hillis Miller e Paul de Man, e dove si rea- lizza una rilettura dell’opera di Derrida in termini non proprio ortodossi117. L’influenza della decostruzione sugli studi culturali dipende da questa prima diffusione letteraria, adattata in termini sociologici. La valorizzazione della lettura nella costruzione degli oggetti culturali permette di mettere in discussione l’autorità che detiene il monopolio della produzione culturale, opponendo ad essa il ruolo attivo del lettore.
Nel campo dell’antropologia, l’eco dell’ondata poststrutturalista non solo si riverbera nell’attenzione all’etnografia come specifica forma di scrittura e nella conseguente sfiducia nei tradizionali mezzi di rappresentazione della realtà, ma è anche una spinta verso il riconoscimento e l’analisi delle specificità del genere “etnografia” entro il regime letterario canonico, un riconoscimento accompa- gnato dal consapevole impegno per un riesame critico della tradi- zione.
George E. Marcus è stato il primo ad indicare esplicitamente l’etnografia come genere letterario, nel saggio «Rhetoric and the Ethnographic Genre in Anthropological Research»118 pubblicato nel 1980. In quello stesso anno Marcus aveva svolto un corso alla Rice University su “I classici nell’etnografia”, e quell’esperienza era stata l’occasione per riflettere sulla particolare natura letteraria della scrittura etnografica, attraverso l’approfondimento critico delle questioni dei classici e dei canoni, sul versante della scrittura quanto su quello della lettura119.
Riconosciuta l’illusorietà e l’irrealizzabilità di qualsiasi tenta- tivo di eliminare dalla scrittura scientifica le dimensioni puramente espressive e persuasive, Marcus assume come principio guida la massima di Northrop Frye secondo cui nella critica della lettera- tura in senso ampio «l’unica strada che unisce la grammatica alla
120«Qualsiasi uso funzionale delle parole sarà sempre coinvolto in tutti i problemi tecnici delle parole, problemi retorici compresi». (N. FRYE, Anatomia
della critica, cit., pp. 447-448).
121«[…] anthropologists as writers of ethnographies have always been aware that what is learned in fieldwork finds primary expression within the bounds of a genre with certain kinds of constraints and rules of construction. As readers of ethnographies, they have developed a body of theoretical and topical issues on the basis of the implicit, but primary, evaluation of ethnographic texts». (G.E. MARCUS, «Rhetoric and the Ethnographic Genre», cit., pp. 507-508).
122«The point is that the awareness of the independent importance of eth- nographic writing as a genre with its own evolution has been largely tacit, masked by discussions cast in the categories of a positivist tradition for which anthropology’s semiliterary presentation of its data and findings is unique, if not peculiar». (Ibid.).
123Bisogna notare che viene lasciato nell’ombra il processo storico di for- mazione del canone, nonostante lo sforzo di descriverne lo statuto ed il funzio- namento. Su questo punto Robert Thornton ha dimostrato una maggiore atten- zione, con la sua analisi della vasta “letteratura” sull’Africa tra la metà del XIX
logica passa per il territorio intermedio della retorica»120. L’obiet- tivo è l’individuazione delle caratteristiche retoriche, formali e sti- listiche, che consentano di distinguere l’etnografia da altri generi, operando anche – “dalla parte dei lettori” – come principi di let- tura e di giudizio121. In seguito al consolidarsi di un canone, infatti, i lettori sono in grado di riconoscere le caratteristiche funzionanti in un testo come indizi per l’inclusione o l’esclusione nel genere122.
Vi sarebbe, dunque, una singolare corrispondenza tra la speci- fica pratica di costruzione – che porta l’autore a conformare il testo al genere – e il processo di lettura, a sua volta condizionato da una sorta di pre-giudizio classificatorio messo in atto dal let- tore. In tal senso, l’analisi di Marcus riduce il funzionamento del canone alla compattezza e alla perfetta circolarità dei rapporti autore-genere-lettori: l’autorità dell’autore sarebbe nient’altro che il riflesso dell’autorità di un canone. Ma tale presunta circolarità non fornisce risposte commisurate ai problemi da cui Marcus ha avviato la sua analisi, vale a dire le difficoltà dei lettori di etnogra- fie (spesso futuri scrittori) nei confronti dei classici. Piuttosto, Marcus cerca soluzioni diverse percorrendo un sentiero alterna- tivo: la rilettura critica dei classici e la scoperta di alcuni concreti esempi d’innovazione testuale, che introducono nel territorio della sperimentazione123.
secolo e gli anni Venti del Novecento. Tale corpus attesterebbe il progressivo emergere del canone etnografico da un ambito letterario che offriva risposte a una serie di interessi e di bisogni della società europea dell’epoca. Il grande successo, la diffusione e la circolazione dei libri di etnografia, si verificano all’interno di un sistema produttivo che, entro i limiti delle possibilità dell’e- poca, rappresentava comunque un modo di produzione e di accumulazione intellettuale il cui significato è comprensibile non solo in termini di gusti e mode del pubblico, ma anche in rapporto al particolare processo di struttura- zione istituzionale della disciplina nei due decenni del Novecento. Cfr. R. THORNTORN, «Narrative Ethnography in Africa, 1850-1920: The Creation and Capture of an Appropriate Domain for Anthropology», in Man (New Series), 18, 3, 1983, pp. 502-520.
124G.E. MARCUS-D. CUSHMAN, «Ethnographies as Texts», in Annual Review
of Anthropology, 11, 1982, pp. 25-69.
125H. WHITE, Retorica e storia, 2 voll., Guida, Napoli 1978.
126Hayden White negli anni Settanta fu una delle figure piú importanti del dipartimento di History of Consciousness all’Università della California (Santa Cruz). Per i riferimenti bibliografici alle principali opere di H. White si veda
infra, p. 143 f).
Le difficoltà emerse nell’individuazione dei criteri di validità delle descrizioni etnografiche potevano essere chiarite analizzando non tanto i contenuti dei testi, quanto la loro forma, «Ethnographies as Texts»124, scritto da George E. Marcus insieme con Dick Cushman e pubblicato nel 1982, sviluppa il discorso avviato due anni prima in «Rhetoric and the Ethnographic Genre in Anthropological Research». Il nuovo approccio avrebbe permesso di estrarre la dimensione retorica dei testi per uno scopo critico mirando a com- prendere i modi testuali di persuasione e di comunicazione efficace dei significati, in tal modo cercando di capire come le etnografie rag- giungono l’effetto di una conoscenza specifica degli “altri”.
8. Il linguaggio figurale delle scienze umane e sociali: il modello di