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Il progetto di analisi formale dei testi etnografici e le proposte di sperimentazione di nuovi modi di scrittura sarebbero inimmaginabili senza l’apporto teorico e metodologico proveniente da ambiti disci- plinari esterni all’antropologia. Pertanto, occorre almeno tentare una ricomposizione delle linee genealogiche, indicando il ruolo svolto dalle varie componenti esterne – anche quelle piú sedimentate e lon- tane nel tempo.

Il primo scenario è rappresentato dalla teoria letteraria nordame- ricana. Dalla metà degli anni Cinquanta, la critica della letteratura attraversava una fase di notevole trasformazione, dovuta in gran parte ad un rinnovato interesse per gli studi sulla retorica98. In Ana-

tomia della critica99 il canadese Northrop Frye aveva proposto un modello “archetipico” volto ad individuare le costanti strutturali di carattere mitico presenti in ciascuna fase dell’evoluzione letteraria, in ciascun genere e in ogni singola opera, e corrispondenti alle stagioni e ai quattro elementi cosmici. All’interno di questo modello Frye individuava le quattro “trame generiche” (romanzo, commedia, tra- gedia e satira), che sintetizzano tutte le possibilità della narrazione letteraria.

È notevole l’influsso – diretto o mediato da altre fonti – della teo- ria di Frye sul lavoro degli antropologi testualisti, soprattutto in rela- zione a due motivi fondamentali presenti nel suo sistema. In primo luogo, la trattazione dei quattro generi letterari fondamentali (teatro, epica, lirica, fiction) non solo dal punto di vista contenutistico e for- CRISI E CRITICA DELL’ANTROPOLOGIA 85

100«[…] l’origine delle parole “drama”, epica e lirica fa pensare che il prin- cipio fondamentale del genere letterario sia abbastanza semplice. Infatti è evi- dente che la distinzione tra i generi è basata, in letteratura, sul radicale della pre- sentazione. Le parole possono essere recitate di fronte ad uno spettatore, dette ad un ascoltatore, cantate o declamate, scritte per un lettore. […] In ogni caso pos- siamo dire che la base di una teoria critica dei generi è retorica, nel senso che il genere è determinato dal tipo di rapporto stabilito tra il poeta e il suo pubblico». (N. FRYE, Anatomia della critica, cit., p. 328).

101«La parola “retorica” ci riporta inoltre ad un’altra triade, cioè alla tradi- zionale divisione degli studi sulla parola in un trivio di grammatica, retorica, logica. Grammatica e logica sono diventate due scienze specifiche, e inoltre sono connesse, in modo molto generico, con gli aspetti rispettivamente narrativo e significante di tutte le strutture verbali. Poiché la grammatica può essere chia- mata l’arte di mettere in ordine le parole, in un certo senso – cioè in senso lette- rale – grammatica e narrazione sono la stessa cosa; e così pure, poiché la logica può essere chiamata l’arte di creare il significato, in un certo senso logica e signi- ficato sono la stessa cosa […] Grammatica è l’aspetto linguistico di una struttura verbale; logica è il “senso” cioè quel fattore che resta invariato anche in una tra- duzione. […]». (Ibid.).

male, ma anche in base al tipo di rapporto stabilito tra l’autore e il pubblico, secondo una prospettiva “contestuale” di analisi del testo100. Inoltre, decisiva è la riflessione sul significato e sulla fun- zione della retorica. Frye, infatti, rielaborò la distinzione tra l’uso del linguaggio al servizio della descrizione accurata della realtà (“esposi- zione” scientifica) e l’uso autoreferenziale rivolto alla forma e all’e- sperienza stesse del linguaggio (letteratura). Proprio l’ambivalente concezione tradizionale della retorica rende instabile questa distin- zione fino a farla svanire. Infatti, nella misura in cui si è occupata della forma dell’espressione – lo “studio dell’arte dell’ornamento” – la retorica si è orientata alla contemplazione della bellezza e dell’ele- ganza e, quindi, è stata ricondotta alla letteratura. Tuttavia, intesa come arte della persuasione (“la manipolazione dell’emozione”), la retorica ha chiari risvolti nella sfera dell’interesse e dell’azione. Frye provava a riavvicinare i due domini separati della retorica, convinto che molte caratteristiche formali della letteratura, quali la rima, l’al- litterazione, il metro, l’uso di exempla, fossero anche veri e propri schemi retorici101.

Una tale prospettiva, se perseguita fino in fondo, finiva per met- tere in pericolo la distinzione tra esposizione (scientifica) – fondata su logica e grammatica – e retorica della letteratura. I “discorsi di

102«Possiamo dunque adottare sperimentalmente il seguente postulato: se l’unione diretta di grammatica e logica è caratteristica delle strutture verbali al di fuori del campo letterario, si può definire la letteratura come l’organizzazione retorica di grammatica e logica. Schemi retorici sono anche quasi tutti gli ele- menti caratteristici della forma letteraria, come la rima, l’allitterazione, il metro, l’equilibrio delle antitesi, l’uso delle semplificazioni». (Ivi, p. 326).

103Ivi, p. 445. E, ancora: «Nella cultura occidentale il posto d’onore è stato dato per tradizione alla ragione discorsiva. In religione, a nessun componimento poetico all’infuori della Scrittura viene riconosciuta l’autorità attribuita alle asser- zioni del teologo; in filosofia la ragione è il sommo sacerdote della realtà (a meno che per qualche particolare motivo non si attribuisca un’importanza particolare alle arti, come in Schelling); nella scienza lo stesso diagramma gerarchico è ancora piú chiaro. Ne segue che le arti sono sempre state considerate come forme di “raccordo”, con la funzione di stabilire un legame tra la ragione e ciò che è “al di sotto” di essa nel diagramma adottato, come per esempio le emozioni o i sensi. Perciò non sorprende di trovare una funzione di “raccordo” nelle strutture ver- bali che mira a suscitare l’emozione o a esercitare una qualche forma di persua- sione cinetica. Per secoli tale funzione è stata riconosciuta, perché si concilia col tradizionale subordinamento della retorica alla dialettica». (Ibid.)

verità e conoscenza” presentano anch’essi dispositivi retorici che mirano a persuadere l’intelletto102. L’unione di grammatica e logica non esclude la retorica, poiché le ambiguità connotative non potranno mai essere pienamente escluse dal discorso, dal momento che « nulla di ciò che consta di parole [può] trascendere la natura e i limiti delle parole, e che la natura e le condizioni della ratio, se la ratio è verbale, debbano essere contenute nell’oratio»103.

Kenneth Burke aveva elaborato in quegli anni un modello altret- tanto ambizioso, volto a indagare il funzionamento del linguaggio nei discorsi non solo letterari, ma anche scientifici e, al tempo stesso, a definire un “metalinguaggio critico”. Egli realizzò uno schema di analisi della rete di “motivi” isolabili in ogni testo e funzionanti come “azioni simboliche”. Sul versante della teoria letteraria, poi, tentò di chiarire in che modo i sistemi interpretativi fossero in grado di ana- lizzare i motivi che determinano le azioni simboliche. Burke ricon- dusse l’articolazione della rete di “motivi” a una “pentade” di ele- menti (l’azione, la scena, l’agente, l’agency e lo scopo) di natura strutturale. All’interno di questa specie di “struttura profonda”, i quattro tropi fondamentali del linguaggio (metafora, metonimia, sineddoche, ironia) opererebbero per la scoperta e l’articolazione CRISI E CRITICA DELL’ANTROPOLOGIA 87

104La prima formulazione di queste tesi si trova in: K. BURKE, A Rhetoric of

Motives, New York, Prentice-Hall 1965. Per l’opera di K. Burke e sulla nozione

di azione simbolica si veda infra, p. 142 e).

105Burke definisce la forma come una “funzione” dell’autore per realizzare un determinato effetto sul lettore «the creation of an appetite in the mind of the audi- tor, and the adequate satisfying of that appetite». (K. BURKE, Counter-Statement, Chicago University Press, Chicago 1957, p. 124). Infatti, se, come Burke sosteneva, «the form in literature is an arousing and fulfillment of desires», allora è ipotizza- bile l’esistenza di rapporti di reciproca interdipendenza tra autore e pubblico.

106Cfr. C. GEERTZ, «Generi confusi», cit, p. 35. Si ricordi anche il tributo a K. Burke riservato da Geertz nella Prefazione a Opere e vite: «Infine, al posto di una dedica, che sarebbe presuntuosa, vorrei semplicemente menzionare il nome del- l’uomo, mai citato all’interno del testo, che non ha avuto alcuna relazione diretta né con me né con il testo stesso, ma la cui opera è stata quasi costantemente la mia principale fonte di ispirazione: Kenneth Burke». (C. GEERTZ, Opere e vite.

L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1990, p. 8).

107In piú di un’occasione Geertz riconosce il ruolo decisivo dell’opera di Kenneth Burke, accanto a quella di Wittgenstein: «Burke is important to me. […] I guess the main thing is the notion of symbolic action-the notion that

della “verità”. Il linguaggio, dunque, non riflette la realtà, bensì la costruisce in modo figurale104.

Grazie all’interesse prioritario per le dimensioni retoriche della letteratura e per lo sviluppo metaforico del linguaggio in generale, Burke riuscì ad estendere il suo modello verso un piú ampio ambito interdisciplinare di critica delle forme discorsive, muovendo dall’a- nalisi dei rapporti tra le strutture del linguaggio e le strutture del potere. Pertanto, la sua “teoria della forma” contribuì a spostare l’obiettivo dell’analisi letteraria dalla coerenza interna del testo verso i contesti sociali, storici, culturali e ideologici, e verso le mol- teplici risposte dei lettori. Quest’ultimo aspetto del lavoro di Burke influenzerà notevolmente le posizioni di Scrivere le culture in merito alle questioni dei generi, dell’autorità e del rapporto tra autore e pubblico105. D’altra parte, anche Geertz, in «Generi confusi», rico- nosce l’importanza del metodo di analisi “drammaturgico” di A Rethoric of Motives per la diffusione dell’analogia teatrale nella teo- ria sociologica e nell’antropologia simbolica106. Fondamentale per Geertz sarà la nozione di “azione simbolica”, in base alla quale è possibile concepire la scrittura stessa come una forma di azione, e l’azione come forma di scrittura o di «comportamento simbo- lico»107.

writing is a form of action and that action is a form of writing or a form of symbolic behavior; [...] Burke healed the division between what goes on in the “real” world (activity) and what goes on in the “unreal” world (that is, writing about it) without fusing them. [...] Two people have been really liberating in my mind for what I was doing; one is Wittgenstein and the other is Burke». (C. GEERTZ-G.A. OLSON, «The Social Scientist As Author: Clifford Geertz on Ethnography and Social Construction. Interview with Clifford Geertz», in JAC, 11, 2, 1991, pp. 245-268).

108R.H BROWN(a cura di), Writing the Social Text. Poetics and Politics in

Social Science Discourse, Aldine de Gruyter, New York 1992. Il volume raccoglie

le relazioni presentate al simposio su “Writing the Social Text” svoltosi nel 1990 all’università del Maryland.

109«This turn toward rhetoric has intensified critical attention to the lan- guage and logic of the human sciences. For example, there have been attempts at “decentering” and “defamiliarizing” scholarly texts and a greater practice of what Ricoeur called the “hermeneutics of suspicion.” Structuralists and formalists have called attention to the tropological character of language, and to the influence of discursive and even prediscursive linguistic forms on both thought and expres-

Sebbene N. Frye e K. Burke siano due tra le piú importanti fonti dirette del dibattito, il contesto da cui nasce la “svolta retorica” non si limita né a questi due nomi né alla sola teoria letteraria. Occorre notare che la lunga storia del termine rende estremamente complessa la riscoperta della retorica. Pertanto, l’interesse per le pratiche dis- corsive delle scienze umane si afferma all’interno di prospettive dif- ferenti, e può significare sia la piú tradizionale analisi dello stile, dei tropi usati nell’argomentazione, delle pretese di autorità, sia un approccio interpretativo al linguaggio e al testo piú elaborato, come nello strutturalismo, nell’ermeneutica e nella decostruzione. In un altro senso ancora, può condurre alla ridefinizione di una sociologia della conoscenza che studi la costruzione sociale e linguistica delle “verità”. Ciascuna di queste concezioni può essere produttiva. Ben- ché espressa da molte “voci” e secondo diversi significati, la svolta verso una nuova retorica per le scienze umane e sociali implica in generale un comune interesse per i testi e le relazioni contestuali, per i problemi della produzione testuale, a partire da una nuova consa- pevolezza della parzialità delle verità.

Nel primo capitolo di Writing the Social Text108, Richard Harvey Brown ha mostrato che gli studi di matrice strutturalista e formalista sul carattere tropologico del linguaggio hanno contribuito all’emer- gere di una nuova visione delle discipline come “edifici” retorici109. CRISI E CRITICA DELL’ANTROPOLOGIA 89

sion. Following Foucault, other scholars have sought to reveal institutionally imposed constraints on rhetorical choices, constraints that are themselves made up of discursive practices». (Ivi, p. IX).

L’antico dibattito sui rapporti tra filosofia e retorica è stato riformu- lato allo scopo di superare la limitazione della retorica aristotelica alle sfere della politica e del diritto. La controversia attraversa tutta la cul- tura occidentale e si riallaccia alla polemica antisofistica della tradi- zione filosofica platonica e aristotelica, al tentativo di assicurare un fondamento di certezza assoluto alla conoscenza, eliminando la reto- rica dal campo della verità e contrastando la prospettiva dei Sofisti riguardo al problema della conoscenza umana e la loro riflessione sul ruolo della poetica e della politica.

L’opera di Chaim Perelman è essenziale al riguardo, soprattutto per l’elaborazione del concetto di “uditorio universale”, che consente di sottoporre ad analisi retorica ogni tipo di discorso, anche quello della scienza nel suo carattere persuasivo. Ciò non significa ridurre la scienza ad oratoria, bensì riconoscere che la pratica scientifica, pro- prio come l’oratoria, è un’opera di inventio. La distinzione tra “fatti” e “fictions” diventa fluida, sempre piú sfumata, fino a dileguarsi. Una delle prime e piú considerevoli conseguenze di tale posizione è la sfida lanciata al privilegio intellettuale e all’autorità della scienza, dato il carattere linguistico storicamente contingente e parziale di ogni pretesa scientifica.

La riscoperta della retorica è qualcosa di piú della tradizionale analisi testuale. L’analisi retorica, infatti, può fornire gli strumenti metodologici e la prospettiva critica per riflettere sui processi di testualizzazione delle identità e delle relazioni sociali, gettando inol- tre nuova luce sui contesti storici, sociali e politici di produzione, dif- fusione e riproduzione dei discorsi e dei testi. Come ha notato Terry Eagleton, la nuova retorica non deve essere considerata né una forma di “umanesimo” interessato in modo quasi intuitivo all’esperienza linguistica delle persone, né un’espressione del “formalismo” preoc- cupato semplicemente dall’analisi dei dispositivi linguistici. Piutto- sto, la riscoperta della retorica considera i meccanismi linguistici in termini di concreta performance, e concepisce la scrittura e il discorso non semplicemente come oggetti testuali da contemplare estetica- mente o da decostruire senza fine, bensì come forme dell’azione

110T. EAGLETON, Introduzione alla teoria letteraria, a cura di Francesco Dra- gosei, Editori Riuniti, Roma 1998.

111M. FOUCAULT, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1998, p. 328. Foucault descrive le conseguenze della dispersione del linguaggio nei vari domini del sapere: «[…] per i filologi, le parole sono come altrettanti oggetti costituiti e sigil- lati dalla storia; per coloro che intendono formalizzare, il linguaggio deve lasciar cadere il proprio contenuto concreto e non far piú apparire che le forme univer- salmente valide del discorso; se si vuole interpretare, le parole diventano invece un testo da fratturare, di modo che sia possibile veder emergere in piena luce l’al- tro senso che esse nascondono; da ultimo accade al linguaggio di sorgere di per sé in un atto di scrivere che non designa alcunché di diverso da sé». (Ibid.). La fonte letteraria di questo fenomeno è «il tentativo di Mallarmé di rinchiudere ogni possibile discorso nel fragile spessore della parola, nella tenue e materiale linea nera tracciata dall’inchiostro sulla carta». (Ivi, p. 329). Le domande sul lin- guaggio («[…] cos’è il linguaggio? Cos’è un segno? […] quale rapporto esiste fra linguaggio ed essere? […]» (ivi, p. 330), e quelle su «come circoscriverlo per farlo apparire in sé e nella sua pienezza», secondo Foucault «sono state rese possibili dal fatto che agli inizi del XIX secolo, una volta staccatasi dalla rappresentazione la legge del discorso, l’essere del linguaggio si trovò come frammentato» (ibid.), e fu con la poesia di Mallarmé che «il pensiero venne riportato, e violentemente, verso il linguaggio stesso, verso il suo essere unico e arduo». (Ibid.).

inseparabili dalle piú ampie relazioni sociali tra scrittori e lettori, tra oratori e pubblico, e in gran parte inintelligibili al di fuori degli scopi sociali e delle condizioni nelle quali sono radicati110.