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Il divieto del finanziatore di “risolvere” il contratto

Ad ulteriore protezione del consumatore la normativa prevede il divieto del finanziatore di risolvere il contratto di credito o di esercitare uno ius variandi in senso sfavorevole ex art. 118 t.u.b. in caso di inesatta valutazione del merito creditizio non imputabile al debitore.

Un cenno merita, in particolare, il divieto di risoluzione del contratto.

Il termine “risoluzione” sembra essere stato utilizzato, in particolar modo dal legislatore italiano, in senso lato e atecnico.

Invero, appare evidente come la fattispecie contemplata dalla disposizione in esame sia difficilmente riconducibile alle ipotesi di risoluzione del contratto disciplinate dal codice civile.

A ben vedere, com’è noto, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c. il diritto del creditore alla risoluzione del contratto presuppone un inadempimento di non scarsa importanza, imputabile al debitore e relativo ad obbligazioni aventi titolo in un contratto a prestazioni corrispettive. In altri termini, lo scioglimento del vincolo è subordinato ad una difetto funzionale del sinallagma contrattuale sopravvenuto, che si realizza a seguito della stipula di un contratto valido ed esente da vizi166.

Non sembra, dunque, un rimedio applicabile al caso di cui

165 Si rimanda a quanto detto nel paragrafo 5.1.2 con riferimento alla responsabilità in

esame.

166 Ex multis, A. Belfiore, voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir.,

XL, Milano, 1989, 1307 e ss.; M. Giorgianni, voce Inadempimento (dir. priv.), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 861 e ss.

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trattasi.

Una rilettura della disposizione maggiormente conforme al sistema rimediale proprio del nostro ordinamento potrebbe portare ad interpretare il concetto di “risoluzione” in termini di rimedio demolitorio del vincolo in senso lato. Più in particolare, il rimedio caducatorio più idoneo al caso di specie potrebbe considerarsi l’annullamento del contratto per dolo.

Può pervenirsi a questa conclusione analizzando il tipo di vizio configurabile e l’ambito applicativo del divieto di “risoluzione” di cui trattasi.

A ben vedere, il divieto di cui al terzo comma dell’art. 120

undecies t.u.b. è finalizzato a garantire il mantenimento del contratto

nonostante una scorretta valutazione del merito creditizio solo ove il consumatore non abbia condotto il finanziatore a concedere il credito sulla base di informazioni volutamente incomplete o non veritiere. In altri termini, la disposizione pone il divieto del finanziatore di “risolvere” il contratto nei soli casi in cui il consumatore non abbia volutamente posto in essere un comportamento idoneo a viziare il consenso del creditore che, ove avesse avuto contezza della reale situazione finanziaria della controparte, non avrebbe stipulato il contratto.

Diversamente, ove il consumatore abbia agito volutamente al fine di modificare l’esito della valutazione, fornendo al finanziatore informazioni false o incomplete, sembra proprio potersi configurare una condotta dolosa idonea a coartare il consenso della controparte.

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come consapevole intenzione di ledere interessi di altri soggetti o di effettuare un torto, nonché, nella sua accezione oggettiva, come comportamento sleale ed illecito, attuato mediante imbrogli o falsi, raggiri o artifici, al fine di trarre un profitto167.

La condotta del consumatore, alla luce di quanto appena detto, sembra quindi ben potersi considerare una condotta dolosa rilevante ai sensi dell’art. 1439 c.c.

167 Ex multis, C. A. Funaioli, voce Dolo (dir. civ.), in Enc. dir., Milano, XIII, 1964, 738 e

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CAPITOLO IV

La fase patologica del rapporto

Sommario:1. La gestione del rapporto con il consumatore in difficoltà – 2. Il ruolo del professionista – 3. Il ruolo del consumatore - 4. L’autotutela esecutiva del finanziatore - 4.1 Segue: il rapporto con il divieto del patto commissorio – 5. Il patto marciano previsto dall’art. 120 quinquiesdecies t.u.b. – 6. Le specifiche disposizioni a tutela del consumatore – 7. L’effetto estintivo del debito

1. La gestione del rapporto con il consumatore in difficoltà

Tra gli obiettivi della disciplina del credito immobiliare vi è il contrasto al sovraindebitamento dei consumatori. Se per un verso si punta a responsabilizzare la parte debitrice, fornendo tutte le informazioni necessarie per effettuare una scelta consapevole ed in linea con la propria posizione finanziaria, per altro verso si accompagna il consumatore anche durante la fase patologica del rapporto al fine di consentirgli il superamento della fase di inadempimento.

A tal fine la disciplina in esame prevede, innanzitutto, una “gradazione” dell’inadempimento, idonea a riconoscere al consumatore un periodo di tempo utile a recuperare l’esattezza dell’esecuzione del contratto168.

In primo luogo, un semplice ritardo nei pagamenti, comunque inferiore a sette rate, non è di per sé idoneo a consentire al creditore di invocare la risoluzione del contratto, ma assume rilievo al fine del decorso degli interessi moratori. Solo nel caso in cui detto ritardo si

168 F. Piraino, L’inadempimento del contratto di credito immobiliare ai consumatori cit.,

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protragga per almeno sette rate, anche non consecutive, l’art. 120

quinquiesdecies t.u.b. fa salva l’applicazione dell’art. 40 secondo

comma t.u.b., dal quale discende la possibilità per il creditore di richiedere la risoluzione del contratto. Va precisato come in tal caso il ritardo nel pagamento non si identifichi con il mancato rispetto del termine contrattuale di adempimento, bensì con il pagamento effettuato tra i trenta e i centottanta giorni dalla scadenza della rata169. Parimenti,

resta salva la possibilità di fare ricorso agli ordinari rimedi contro l’inadempimento di cui all’art. 1453 c.c.

Ove, poi si realizzi un mancato pagamento di più di 18 rate mensili, l’inadempimento sarà tale da consentire l’autotutela esecutiva del creditore, come si dirà nel prosieguo.