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Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione

Il problema dell’invecchiamento della popolazione (少子高齢化 Shōshi kōreika) è un fenomeno ormai diffuso in moltissimi paesi e gli studi hanno dimostrato che circa l’11% dell’intera popolazione mondiale ha più di 60 anni, con un’alta probabilità di diventare il 22% entro il 2050 (Kanasi et al., 2016). Questo andamento, che caratterizza la maggior parte dei paesi sviluppati, è dovuto sia ad un allungamento della speranza di vita rispetto ai decenni passati, possibile non solo grazie agli enormi progressi compiuti dalla medicina ma anche grazie al miglioramento delle condizioni igieniche e delle abitudini alimentari, sia ad un notevole calo della natalità, dovuto alla scelta di molte persone di avere meno figli o non averne affatto, per ragioni di insicurezza economica o di realizzazione professionale. La questione dell’invecchiamento demografico ha importanti implicazioni sia a livello economico che politico, che sono state evidenziate per anni dagli studiosi e che oggigiorno non possono assolutamente essere ignorate dai governi (Chen et al., 2016). In particolare, il Giappone, che gode di una delle più alte aspettative di vita rispetto a tutti gli altri paesi, ha sperimentato, soprattutto negli ultimi anni, un notevole calo nel numero di nascite e un aumento degli anziani ultraottantenni, diventando così uno dei paesi più “vecchi” del mondo, con una percentuale di anziani oltre i 65 anni del 28,4% nel 2018 (The Japan Times, 2019).

Figura 2.1 Il cambiamento demografico in Giappone (numero di abitanti per fascia d’età)

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Il risultato di questo andamento è visibile in Figura 2.1, che mostra come la struttura della società giapponese, dal punto di vista delle fasce d’età che la compongono, sia radicalmente cambiata rispetto al secolo scorso: mentre 30 anni fa la quantità di giovani (pari al 26% della popolazione totale) era nettamente superiore a quella degli anziani al di sopra dei 65 anni (12%), a distanza di 20 anni la situazione si è quasi invertita, registrando una percentuale di giovani pari al 18% e di anziani del 23%. Si prevede che la disparità tra il numero di giovani e di anziani sia destinata ad accentuarsi ulteriormente nei prossimi 30 anni e come possiamo vedere dalla Figura 2.1, la rappresentazione grafica della popolazione giapponese avrà molto probabilmente una forma opposta rispetto a quella iniziale, con la sommità notevolmente più larga della base (con un numero di persone oltre i 65 anni di età di gran lunga superiore rispetto al numero di bambini). Secondo l’Istituto di Ricerca Nazionale sulla Popolazione e la Previdenza Sociale (国立社会保障・人口問題研究所 Kokuritsu shakai

hoshō Jinkō mondai kenkyūjo) infatti, gli anziani in Giappone costituiranno circa il 30% della

popolazione nel 2025 e addirittura il 35,3% nel 2040 (The Japan Times, 2019).

Come per gli altri paesi, anche per il Giappone le cause principali di questo radicale cambiamento demografico sono due: 1) la diminuzione del tasso di mortalità grazie ad un prolungamento della durata di vita e 2) una drastica riduzione del tasso di natalità.

Per quanto riguarda la prima causa, il Giappone è uno dei paesi più longevi al mondo, con un’aspettativa media di vita di ben 84 anni circa (81 anni per gli uomini e 87 anni per le donne) (Task Force Health Care, 2019). Uno dei fattori che determinano tale longevità è da imputare soprattutto al loro stile di vita: un’alimentazione equilibrata, basata su un consumo frequente ma in piccole porzioni di pesce, alghe e verdure, unitamente ad un’attività fisica giornaliera, dal momento che la maggior parte dei giapponesi si sposta principalmente a piedi e tramite mezzi pubblici, non essendo l’utilizzo dell’auto così frequente come negli altri paesi. Questo fa sì che vi sia una minor incidenza di problematiche come patologie respiratorie croniche, diabete ecc. e, grazie anche ad un’eccellente qualità dei servizi sanitari, permette ai giapponesi di godere di un ottimo stato di salute. Nel 2015 in Giappone, le persone al di sopra dei 65 anni erano circa 33,87 milioni su un totale di 129,09 milioni di abitanti, residenti stranieri inclusi e, secondo recenti previsioni, il numero di anziani è destinato ad aumentare fino a raggiungere un picco nel 2040 di 39,35 milioni su un totale di 110,92 milioni di abitanti, cioè circa una persona su tre con più di 65 anni (National Institute of Population and Social Security Research, 2017).

Per quanto riguarda la questione della riduzione della natalità, i dati evidenziano una contrazione del numero di nascite annuali da 2,09 milioni nel 1973 a 1,01 milioni nel 2015 e si prevede inoltre una diminuzione della quota di individui al di sotto dei 15 anni dal 12,5% nel 2015 (circa 15,95 milioni)

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al 10,2% dell’intera popolazione entro il 2065 (contando circa 8,98 milioni di individui) (National Institute of Population and Social Security Research, 2017).

Diverse ragioni possono spiegare la riduzione del tasso di natalità che caratterizza il Giappone negli ultimi anni: l’aumento dei lavori precari con conseguenti stipendi ridotti, l’innalzamento dell’età del matrimonio, il calo del numero dei matrimoni e, soprattutto, la difficoltà da parte dei genitori di conciliare gli impegni familiari con la propria attività lavorativa. È ragionevole pensare che un aumento del precariato e delle persone che svolgono lavori a tempo determinato, per esempio quelli che in giapponese vengono chiamati フ リ ー タ ー furītā (cioè coloro che si mantengono esclusivamente tramite lavori part-time), comporti non solo una tendenza a sposarsi in un’età più tarda o di non sposarsi affatto, ma anche la decisione di non avere figli date le incerte condizioni economiche.

Il problema della gestione degli impegni lavorativi con le responsabilità familiari, riguarda principalmente le donne, a causa della discriminazione sessuale ancora presente in Giappone: nella società giapponese infatti, rimane purtroppo ancora radicata la concezione tradizionalista secondo cui le donne, una volta diventate madri, devono rinunciare al lavoro per occuparsi dei figli e della casa a tempo pieno, mentre deve essere il marito l’unica fonte di guadagno all’interno della famiglia (il cosiddetto modello del “breadwinner”). Negli ultimi anni fortunatamente, sempre più donne si stanno ribellando a questa mentalità maschilista scegliendo, contro le consuetudini sociali, di non avere figli per dedicarsi alla carriera e realizzare i propri obiettivi professionali, a fronte anche di un aumento delle donne nel mercato del lavoro. Nonostante i recenti sforzi da parte del governo giapponese volti a realizzare una serie di politiche a sostegno delle famiglie e a supporto della genitorialità, oggi il Giappone rimane uno dei paesi con il più basso tasso di fecondità totale al mondo (circa 1,4 figli per donna in un anno) (OECD Data. 2018. Fertility rates).

In conclusione, possiamo affermare che il fenomeno dell’aging population costituisca un serio problema per l’economia del paese principalmente per due motivi: da una parte, per l’incremento della spesa sociale a beneficio degli anziani, soprattutto per quanto riguarda il sistema sanitario, pensionistico e i programmi di long-term care, dall’altra per il fatto che questo incremento dei costi ricade sulla popolazione attiva che, a causa della diminuzione del tasso di natalità, risulta essere in continua diminuzione rispetto agli anni passati.

Tutto ciò si inserisce in un momento di crescita economica molto lenta per il Giappone che, pur rimanendo la terza potenza economica mondiale, registra una crescita percentuale del PIL relativamente bassa rispetto agli altri paesi industrializzati. Già a partire dagli anni 90’ il Giappone, dopo anni di crescita economica, aveva iniziato a sperimentare un periodo di stagnazione, entrando in quello che viene chiamato dagli studiosi “decennio perduto”. Nel 2013 poi, il primo ministro Abe

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Shinzō, nel tentativo di risollevare il paese da questo periodo di crisi, lanciò un nuovo piano di politica economica chiamato Abenomics, che aveva come obiettivo quello di dare nuovo stimolo all’economia. Nonostante i risultati ottenuti nel breve periodo, il Giappone è ancora oggi lontano dal completo raggiungimento degli obiettivi previsti dal programma, come il tasso di inflazione fissato al 2%. Secondo i dati del World Economic Outlook (World Economic Outlook Update, 2019), negli ultimi anni il Giappone ha avuto una variazione percentuale del PIL dello 0,6% (2016), 1,9% (2017) e 0,8% (2018), una delle più basse non solo rispetto alle prime due potenze economiche (Cina e Stati Uniti), ma anche rispetto a molti dei paesi europei. Dobbiamo tenere presente inoltre una delle questioni più importanti relative alla situazione economica giapponese, vale a dire l’enorme volume di debito pubblico: il governo giapponese ha iniziato ad accumulare una quota sempre più grande di debito sin dal 1990, fino ad arrivare ad una quota del 234% del reddito nazionale nel 2017, il più alto tra i paesi dell’OCSE (OECD Data. 2018. General government debt).

Data tale situazione economica quindi, possiamo capire come il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione costituisca un ulteriore freno all’espansione economica giapponese e siano quindi necessarie una serie di riforme strutturali all’interno del sistema welfare, volte a rendere la spesa pubblica maggiormente efficace e sostenibile.