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Capitolo 5. Il testo del Gui de Nanteuil

5.2 Il Gui de Nanteuil: edizione e traduzione

I

Ah cel dos tens e gai che la rose est florixe E erbecte punsent, arboseus reverdixe, He i oseus çante dolce por bois e por larixe, Allor retorne Amor; chascuns en sua franchixe Chiest son droit, servent de bon are, ses fallixe, Car Amor ne rechert rens for che gentilixe. Ne se pote fier prisire chi da lui faite divixe E chi socto tel sire ne mantent drudarixe, Car de tucte vertus est amor la raïxe. En donner, en proecçe, en manter justixe Le vallecte de Nantol de çe ben é apprixe: Sacçe fo e cortois e meis n’am’ avarixe, An stoit de ssa corte e catie e ravixe. Largité fo por lui e pruecçe acchixe,

Dructure é mantenute sanç pont de gaberixe. Civaler de Deo fu à onor de Sant Glixe.

9 vertus] vertuse; 14 fo] for; 16 glixe] glexe

Al v. 5, è interessante la forma proposta da Callu-Turiaf: «Chi est son droit servant» (‘che è suo giusto servitore’) riferito a chascuns del verso precedente. La scelta è ricaduta, però, sulla sintassi proposta da Cavaliere che intende «chiest» come forma verbale. Il motivo si spiega, essenzialmente, con la maggior linearità sintattica della proposta: la lezione della Callu-Turiaf darebbe vita a un periodo nominale dipendente dal verbo est del v. 5 e da due forme («de bon are, ses fallixe») slegate dal tessuto sintattico del testo. Si potrebbe, altresì, intendere Amor come complemento di moto a luogo «retorne [a] Amor», ma al v. 6 Amor pare essere il soggetto. Sia chiest che servant non sono attestati in nessun altro luogo nel testo. Al v. 9 elimino la e finale di vertuse. La forma è stata, forse, influenzata dalla forma vertute. Al v. 10 si mantiene la forma manter, anche se non attestata nei dizionari; nell’Aquilon si trova mantera influenzato dall’italiano manterrà. La mancanza del titulus per la nasale è un elemento che spesso è assente in V, specialmente nelle parti di mano italiana (cfr. Cavaliere 1958, pp. 23-25) e potrebbe spiegare l’errore per mantener. La correzione di Cavaliere in mantener prevede la lettura di proecçe come bisillabo, dove, al v. 14, pruecçe è sicuramente trisillabo. Vero è che difficilmente la metrica del prologo può essere utilizzata come discrimine: si registrano con frequenza versi ipometri e ipermetri, dovuti sia alla stratigrafia del testo che a un’origine italiana. Al v. 11 intendo apprixe come participio passato di apprendre e non come perfetto, coerentemente con l’esempio dei verbi seguenti (cfr. sacçe fo; foe acchixe). Al v. 14 correggo l’errore paleografico for per fo, originato, probabilmente, dall’anticipazione di por. Al v. 16 fou ha la o espunta. Allo stesso verso correggo la rima di Glexe in Glixe.

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I

In quella dolce e gioiosa stagione in cui la rosa è fiorita, E l’erba spunta, l’alberello rinverdisce

E gli uccelli cantano dolcemente tra i boschi e pendii, Allora ritorna Amore; ognuno con la sua nobiltà

Ricerca la sua giustizia servendo con bei modi, senza fallo, Poiché amore non richiede niente all’infuori della nobiltà. Non si può far stimare chi da lui si allontana

E chi sotto tal sire non mantiene amicizia, Poiché di tutte le virtù Amore è la radice.

Del donare, della prodezza, del mantenere la giustizia Ha ben appreso il giovane di Nanteuil:

Saggio fu e cortese e mai amò avarizia,

Anzi [questa] fu dalla sua corta nascosta e bandita. Larghezza e prodezza furono da lui acquisite, Giustizia fu mantenuta senza alcuna mancanza. Fu cavaliere di Dio a onore della Santa Chiesa.

La forma «por bois et por larixe» è attestata, in variante grafica, in testi del XV secolo (Les faicts et conquestes d’Alexandre le Grand, 179; Roman de la Violette, 100) e, soprattutto, nella Prise de Pampelune di Niccolò da Verona, 5022. È interessante notare come larixe possa anche essere l’esito di LARIX (larice afr.) col significato di ‘larice’, mentre buis è la forma francese per bosso. Tale soluzione non è stata adottata poiché in questo caso, come avviene spesso nelle chansons de geste, si tratta con tutta probabilità di una formula ripetuta. Sulla definizione dello stato sociale di Gui, in questo caso vallecte, cfr. Azzolini 2018, pp. 52 e ssg (con riferimento particolare a p. 102), a cui rimando anche per le forme enfant, bachelers, garçon. Il prologo del Gui de Nanteuil si configura, almeno in parte, come una enfance Gui de Nanteuil (sul tema cfr. Ghidoni 2018). Alla gioventù dell’eroe si collega l’ideale di bellezza: «Pur configurandosi come caratteristica assoluta dell’eroe, il quale al di là della sua età risulta indiscutibilmente bello, la piacevolezza dell’aspetto fisico è un elemento universalmente collegato alla giovinezza» (Azzolini 2018, p. 63).

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II

Le vallet de Nantol est Gui appellés

N’est plus pros damigels trosch’à le mir salés. Le rice roi Ghenor tant l’oit noriés

Che l’oit quindiç’ans e complix e passés; Poi le fisti çivaler à una Pasqua Rosés. E por amor l’enfant il tresanti n’a adubés Che chascuns oit vile, cestaus o fermités. A Ghiont de Nantol oit chascuns jurés, Ch’ jamais dal son volor non serra desevrés, Avant loi seguira en qual parte il vores E pur mer e por ter e d’invers e d’istes. Le franche damicels di ce i oet mercés. Avant che corte fusti partie ne desevrés Cel oit joie che seroit corroçés

Se le jor miome u’ messacçe ’rivés: A Ghinor e à Gui la novell’ é contés Che Milom de Maiançe a Nantol assigés A molir volt sa mere oltra tot so’ malgrés. Quant ce entendi Gui oet le color mués «Je jure à Dio che le mund restores,

Che vençans s’en farrai à le brand lecterrés». Il dist ao roi Ganor: «Mercé e pietés

Car me lasseseç alire, le conçe moi donés. Avec moi virra i noveus adubés».

22 enfant il] enfant til; n’à adubès] nadubes; 26 loi seguira] loit seguire; 33 assiges] assigesse

Al verso 17 il manoscritto ha appellese, ma l’ultima lettera è raschiata. Al v. 23 la r di or è cancellata. Al v. 26 cancello la t di loit che rimane inspiegabile e considero la e finale di seguire come anticipazione dell’en successivo (cfr. v. 70), come già Cavaliere. Al v. 28 Cavaliere propone una forma «dice: “Ioi et mercés”», ma la correzione non è necessaria, come nota anche Callu-Turiaf. Si propone, pertanto, la lezione del manoscritto intendendo ‘di ciò ebbe gioia, riconoscenza’. Ai vv. 30-31 la metrica fa difetto e anche il significato ne risulta difficoltoso: la spiegazione offerta sembra, però, garantire la scorrevolezza semantica del passaggio. Al verso 33 si noti la forma assigésse, corretta per esigenze di rima. Al v. 34 la l di molir è sovrascritta a una r. Al v. 40 il manoscritto non è chiaro e la mano mostra esitazione nel tracciare la n e sembra unire una r e una i. La lezione a testo, tuttavia, risulta corretta e preferibile rispetto al iurra moveus di Keller. 20 25 30 35 40

II

Il valletto di Nanteuil è chiamato Gui;

Non c’era nessun giovane più prode fino al mare salato. Il potente re Ganor tanto l’ebbe allevato

Che quando ebbe compiuto e passato i quindici anni Allora lo fece cavaliere durante la Pentecoste.

E per amore del ragazzo, trecento [uomini] ha addobbato E ciascuno ebbe città, castelli o fortezze.

A Gui de Nanteuil ciascuno ha giurato Che mai dal suo volere sarà separato, [E] di seguirlo in ogni luogo che vorrà, Per mare e per terra, d’inverno e d’estate. Il nobile giovane di questo fu grato. Prima che la corte fosse divisa e sciolta Ebbe gioia, che sarebbe [poi] stato afflitto Quando il giorno stesso arrivò un messaggero: A Ganor e Gui fu raccontata la notizia

Che Milone di Maganza aveva assediato Nanteuil E voleva per moglie sua madre oltre ogni suo rifiuto. Quando Gui intese ciò, cambiò di colore.

«Giuro a Dio, che il mondo ristora, Che farò vendetta con la spada istoriata». Disse al re Ganor: «Misericordia e pietà, Lasciatemi andare, datemi il congedo. Con me verranno i nuovi cavalieri.

Il Re Ganor è protagonista della Chanson de geste d’Aye d’Avignon; nel corso delle avventure di Garner de Nanteuil, il saraceno aveva rapito Aye per confinarla nella torre d’Aufalerne. Dopo aver perso la dama, salvata proprio da Garner, il re rapirà il giovane Gui per allevarlo fino alle nozze di Milone con Aye. Cfr. §Gui marciano. Garner si riconcilierà con Milone, ma «ce fu pais sanz foi, si com n’orrez noncier | Que puis en fu ocis en traison Garnier» (Aye d’Avignon, vv. 781-782). Per la zeppa al v. 20, «complix e passès», cfr., ad esempio, Berta v. 1422 «Ben è sept ani e conpli e pasé». Spiego i vv. 29-32 con ‘Prima che la corte fosse divisa e sciolta | (Gui) fu pieno di gioia, ma poi ne sarebbe stato afflitto | quando il giorno stesso arrivò un messaggero: | A Ganor e Gui è raccontata la notizia …’. Sciolgo con ‘nuovi cavalieri’ la forma di noveus adubès che indica, probabilmente, i cavalieri addobbati di cui si parla al v. 22. Il Gui de Nanteuil presenta un vasto lessico legato alla sfera della guerra. In questo caso si osservano i primi termini utilizzati per descrivere le fortificazioni: vile, cestaus (<chateau), fermités (FIRMITAS). Sulla posizione di Nanteuil cfr. §Appendice II. Si richiama qua, solamente, la doppia soluzione per l’ubicazione di Nanteuil, nel Sud della Francia, in accordo con il Gui, e Nord della Francia, secondo l’Aye d’Avignon.

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III

Le roi Ganor parole à la cires ardie: «Vassal – dist il – mervol ai oïe, Chando velese partir da la ma druarie. Ma plu che vus, arai io cortesie:

Mantanant trametrai per tot ma baronie; Ben serons cent milie à banere e joulie Ù est le lion d’oro en fins argento brunie. Enci seront emsamble vant u’ mois e dimie, Poi trapassarons mer tretot en compagnie: Mort serra e confundus chui otre mer contralie». Le vallet cha l’entand, dossemant le mercie. Apriese refirt laus à Deu, le fi Marie,

E chant ch’ell’ estoit, long à la terre se plie, L’esperons baisia roi sovre la çalse polie. E Ganor si li dricçe con dosse e cire lie. Molt sueve le base perche l’avoit nurie E pur amor sa mere à la cere schifie: Ell’est decesept ans e passés e complie

Che le rois l’oit amee plus d’altre rem che sie. Orra approseme le tens ch’il l’ara pur amie, Con vos porres uire, ’vant la canson finie, De bactail e de stors e de grant invaie D’amors e d’amistes e de grans fellonie.

44 io] oi; 45 trametrai] lametrai; 50 chui otre] chuietre; 51 entand] entando;

Al v. 43 la e di partire è espunta, così come l’ultima e di mere al v. 49, la e di dossemante al v. 50, la i di çialse al v. 54 e la i di basie al v. 56. Al v. 44 la forma oi (=‘oggi’) potrebbe essersi originata per un’inversione delle due vocali: d’altra parte, seppur non strettamente necessaria, la ricostruzione del pronome io (forse, je per scambio e/o) crea un interessante parallelismo con il vus precedente. Si è scelto, pertanto, di modificare la forma del manoscritto, data la facile eziologia dell’errore e i vantaggi stilistici della forma con il pronome di prima persona singolare. Al v. 45, già nell’edizione Cavaliere, si corregge in trametrai: in effetti la forma di base potrebbe essere un trametrai con un tractus per la r: da qui la confusione tra l e t e la dimenticanza dello scioglimento dell’abbreviazione. Al v. 50 si corregge lo scambio e/o in chuietre ricostruendo le due forme chui otre. Al v. 57 la forma a testo mantiene la lezione del manoscritto, intendendo schifie come corruttela per eschevie. La proposta di Cavaliere prevede «ceres chi rie» conservando la s di ceres e ipotizzando una forma che differisce dal manoscritto per solo una lettera f/r. Entrambe sono attestate nell’epica coeva, basti pensare a Berta, v. 1156 «cera riant» e a Tristan de Nanteuil, v. 245 «Paris, l’eschevye» o all’Ugo Capeto, vv. 154 e 158 «cors eschevy», anche se, nelle attestazioni dei vocabolari, non lo ritrovo mai riferito al viso. In mancanza di sicurezza tra le due forme, mantengo la lezione del manoscritto marciano, così come Callu-Turiaf, segnalando l’idea di Cavaliere. Ho escluso una forma chichie «pauvre», poiché poco attestata. Sulla caduta della e prostetica cfr. lassa II. Al v. 62 divido de stors dato che la forma senza la e prostetica si ritrova nel prologo con frequenza.

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III

Il re Ganor parlò con aspetto ardito:

«Giovane - disse lui- cose incredibili ho udito, Quando volete allontanarvi dalla mia amicizia. Ma più che voi, avrò io cortesia:

Ora manderò a chiamare tutta la mia baronia; Saranno ben centomila tra cavalleria e fanteria Dove c’è il leon d’oro in fine argento brillante. Così saranno insieme per ventun mesi e mezzo, Poi attraverseranno il mare tutti insieme:

Morto e distrutto sarà chi ti si oppone al di là del mare». Il giovane, quando lo intese, di cuore lo ringraziò. Dopo rese lode a Dio, il figlio di Maria,

E quando fu (davanti al re), si distese in terra, Baciò lo sperone del re sopra la ricca gambiera. E Ganor così lo rialzò con dolce e lieto aspetto, E molto soavemente lo baciò perché l’aveva nutrito Per amore di sua madre, dal viso slanciato:

Erano trascorsi e passati diciassette anni Che il re l’ha amata più di ogni altra cosa. Ora si avvicina il tempo che l’avrà come amica,

Come voi potrete udire prima che la canzone sia finita, Di battaglie, di scontri e di grandi invasioni,

D’amori, d’amicizie e di gradi tradimenti.

La Chanson ci offre un’attenta, seppur astratta, descrizione della regalità saracena: esperons, çalse, sorveste. Il palazzo di Falerno è dotato di ogni ricchezza che ne sottolineano lo spiandor (v. 86). Al suo interno ors, argent, blois, indegen. Ma anche il palazzo di Carlo non è da meno, con tutte le pieres precioses dei baroni riuniti (cfr. 1215). Al v. 59, letteralmente: «più di ogni altra cosa che ci sia». Assieme al lessico bellico, il Gui de Nanteuil, rispondendo alla dualità tematica Amore-Guerra, propone un vasto lessico d’amore e d’amicizia. Cfr. druarie (v. 43); cortesie (v. 44). I due vv. 62-63, meglio di ogni silloge, riassumono i temi principali della Chanson, attraverso una formula ariostesca. In particolare, Zenatto illustra il filone eroico (bactail, stors, invaie) e quello legato alla relazione tra i personaggi (amors, amistés), e il tradimento di Hervi e/o Milone (fellonie). 45 50 55 60 45 50 55 60

IV

Le fort rois Ganor ne vult adtardir plus: Par tocti ses pais oit lor breu trametus. A roi, ad amirés e à cons e à dus:

Plus tost chi poit si soit ad Agramor venus Co’ llor sargens e arnois e bon civals crenus: E chi de rren faldra, le cef avra perdus E chi loi seguira, bella verra choneus. Mantanant la novell est per toct spandus Che Ganor vol passer oltra le mir fondus, Por amor de Ayens, la belle al cef crespus Cand einsi soit, de voire gram joie n’ait aus Cascuns s’aprestarent .c. ans le soit e plus Che fusti à son segnor arivés e vegnus. Avant che le mois fusti trapassés e fenus Est vegnuç aho roi ben .c. milia scus; Soct le port de Falerno poit l’om avor veus L’emforç e la poisanç de Ghenor, le membrus, Cent mil civaler ad çival ben mectus

A ccille rice sorveste d’ors e d’argent partus De blois e de indegen, de pali e de velus, De roge e de blans intalees e tessus. L’ors e le pere chi oit adoiscus, Si grans est le spiandor chi oit rendus Q’il par che tot l’ares e le mons ai ardus.

67 Plus tost] Plus tostot; 73 Ayens] Agens; 74 de] le; 77 fenus] ferus; 80 mil] mol

Al v. 67 correggo una banale diplografia in tostot. Al v. 71 la o di tocto è espunta. Al v. 73 correggo la grafia Agens, originata probabilmente dalla confusione tra g e y. Al v. 74 correggo la forma le con la preposizione de. Al v. 77, la scelta di ferus non mi pare priva di conseguenze, come sostiene invece Cavaliere: la forma ferus è presente con significato di atteindre in DMF. D’altra parte, poche sono le attestazioni in questo senso e lo scambio tra r e n si potrebbe facilmente spiegare sotto il profilo paleografico. Al v. 86 Cavaliere intende adoi’ come participio passato di aduire. Non è, nemmeno, da escludere la possibilità di leggere adois/adoi’ come ‘addosso’ (es. Attila, II, 943). In entrambi i casi, però, il verso sembra far difetto dell’articolo determinativo che introduce lo ‘scudo’. Accettabile la forma «Lors, e’ [ecco] le pere chi oit doi scus» con l’emendatio di adois in dois. Si sceglie, perché meno invasiva, di mantenere la lezione di V, intendendo adoiscus come participio passato di adosser ‘vestire’.

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IV

Il potente re Ganor non voleva più indugiare: Per tutte le sue terre furono trasmessi i suoi bandi A re, ad emiri, a conti e a duchi,

Che venissero ad Agramor più presto possibile Con i loro generali e armieri e buoni cavalieri crinuti: Chi mancherà di fare ciò, il capo avrà perduto. Chi seguirà l’ordine, nobilmente verrà riconosciuto. Allora la notizia fu sparsa da ogni parte,

Che Ganor voleva attraversare il mar profondo Per amore di Aye, la bella dalla chioma crespa.

E quando così fu fatto, di ciò che vide ebbe gran gioia. Ognuno si preparò: centomila e più erano

Che arrivarono e vennero dal loro signore. Prima che il mese fosse passato e finito Furono arrivati al re ben centomila scudi.

Sotto la porta di Falerno sarebbe stato possibile vedere La forza e la potenza di Ganor, il forte.

Centomila cavalieri e cavalli ben equipaggiati Con quella sopravveste divisa in oro e argento, Di ocra e indaco, di drappo e di velluto

Di rosso e di bianco, intagliato e tessuto. Gli ori e le pietre che aveva indossato, Così grande è lo splendore che emanava, Che pareva che tutte le terre e i cieli ardessero.

Il regno di Ganor, oltre ad essere molto ricco, presenta una nutrita schiera di personaggi legati a un ruolo politico e sociale: oltre al re Ganor, vi sono gli amirés, i cons, i dus, i sargens, gli arnois, i maestre. Al v. 74 letteralmente: ‘quando così fu [l’esercito fu riunito], del vedere non ebbe abbastanza gran gioia’. Al v. 75 leggo la forma «c ans»: a mio avviso, deve essere intesa ‘erano cent’anni che non si riunivano’. Ho anche analizzato la possibilità che il copista sia stato ingannato da una forma «.c. mils» o «.c. jors». Entrambe le forme presentano delle obiezioni possibili. Si prenda, innanzitutto, jors: la durata di ‘cento giorni’, seppur soluzione accettabile come senso, è subito smentita dal v. 76: «avant che le mois fust traspassès», quindi in meno di trenta giorni. Ammettendo, invece, mils si certificherebbe la presenza di due distici, vv. 75-76 e 77-78, che ripetono, con poche variazioni, lo stesso concetto. Mantengo la forma a testo, intendendola come si legge in traduzione. Al v. 85 è possibile anche la correzione empere, dato che la caduta di un titulus per la nasale è piuttosto frequente: tuttavia, il titolo di imperatore non è mai attribuito a Ganor, sempre a Carlo. 65 70 75 80 85 65 70 75 80 85

V

Ah gra’ mervoille stoit belle lor compagne: Ben .c. milie plus serrés socto un ensangne Ò est le lion d’or en la blance çampagne. Iluec stoit de veder e mercé e bragangne De home, de scus, de çevals, d’entresangne. Por le comande Ghenor ch’est de tot le mangne, Comand est exlit tot lor çavitangne.

Le neve adprestarent sans longe demorangne: Pai[n]s e vitaile e blee e çevals de Sardangne Condurent à lor neve facçando grande bruangne. Avans chi chinxe jor faist desevrangne,

Cargié est l’arnois e la pucta gent chagne. Formant menasserent à la gens d’Alemangne Chi lor t[r]aroit del piç e polmons e entrangne, E se lor sivoroit troschie Çarlle Magne

Cuita’ scunfir Parisi troschiemens em Bertangne.

91 veder] vender; 99 cargie est] cargiest; 103 troschiemens] troschiemense

Al v. 90 la i di çiampagne è espunta. Al v. 91 elimino la n di vender, non vista da Cavaliere, per ristabilire una forma veder coerente con il testo. Forse, il copista è stato ingannato da mercé (‘mercato, commercio’) e ha scritto un verbo semanticamente affine (vender). Al v. 96 correggo la forma pais con pains (‘pagani’) supponendo la caduta di un titulus, come avviene frequentemente nel prologo. Al v. 99 la h di chagne è scritta in interlinea superiore; aggiungo la e di est: spesso, nel testo, le lettere uguali contigue si fondono. Ciò non avviene solamente con le vocali, sostituibili con il semplice apostrofo, ma anche nel caso delle consonanti, mettendo in luce un comportamento frequente del copista. Al v. 101 osservo la caduta di un titulus per la r in traroit. Nel testo si incontrano con frequenza le forma prive di e prostetica, tratto distintivo dei testi francesi copiati da italiani. In alcuni casi, tuttavia, la scelta della forma a testo non è immediata:

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