Capitolo 4. La scommessa su Marx: Augusto Del Noce e Lucien Goldmann
4.9. Il marxismo di Goldmann: scommessa e “fede”
Il carattere per il quale il marxismo può presentarsi a Goldmann come una “fede” è il tratto teoreticamente più significativo nella “discussione” tra Del Noce e Goldmann, intendendo naturalmente per “discussione” la giustapposizione fra le tesi del primo e del secondo, nonché le obiezioni che Del Noce muove allo stesso Goldmann. Il problema “marxismo e fede” insieme a quello “marxismo come scommessa”, al quale arriveremo subito, si configura dunque come definizione del pensiero goldmanniano nel suo complesso e come la conclusione della nostra intera ricerca.
Goldmann persegue la via di un marxismo post-scientista, ossia di una posizione teoretica secondo la quale il futuro dell’uomo, non potendo più fondarsi sulle leggi economiche previste da Marx, e poi sviluppate dai marxisti successivi, non può che assumere il volto di una “scommessa” abbastanza simile a quella di Pascal68. Con un argomento che Goldmann non adduce esplicitamente ma che si può ricavare dal suo presupposto, egli deve affrontare una specie di crisi del “realismo”, ossia di un necessario presupposto realistico della filosofia. Rifiutare il marxismo ordinario significa per lui non potersi più servire di una realtà oggettiva estranea alla storia. Di qui l’urgenza di dare consistenza alla storia stessa mediante una scommessa sul suo significato e sulla sua consistenza. È bene distinguere, come fa Goldmann, il pari dello scienziato dal pari del marxista. La scommessa del marxista si differenzia da quella dello scienziato per due aspetti:
a) «il suo carattere non puramente teorico ma nello stesso tempo teorico e pratico»69. Questo perché l’ambito scientifico sembra incentrato primariamente solo sulla teoria, poiché l’ambito pratico è correlato a quello teorico solo in maniera mediata. L’elemento pratico per la scienza può riguardare cioè l’applicazione tecnica delle conoscenze raggiunte mediante la teoresi, tuttavia la scienza non ha l’obiettivo primario di applicare tali conoscenze, bensì di conoscere quanto più precisamente possibile le leggi che regolano il funzionamento della realtà.
68 Non ci risulta che sia stato messo nel dovuto risalto il fatto che l’idea di un marxismo critico
poggiante sulla scommessa compaia, impersonato nella figura di un giovane professore marxista, nel film del noto regista ERIC ROHMER, La mia notte con Maud del 1969.
69 L.G
b) il suo carattere finalistico. La scommessa marxista ha cioè in sé un telos, ossia la creazione di una nuova totalità, che manca alla scommessa scientifica. Il metodo scientifico, infatti, consolidato fin dall’invenzione della scienza moderna, implica la «rigorosa separazione dei giudizi di fatto e dei giudizi di valore». Ciò comporta, appunto «l’esclusione di ogni finalità»70.
Non è il caso di ricordare che, da questo punto di vista, la posizione difesa da Goldmann è affine a quella a cui era dovuto ricorrere anche Pascal. Nel suo caso l’aspetto “realistico” era rappresentato dal realismo della metafisica classica. Ma la differenza tra “realtà materiale”, cioè economico-sociale di Goldmann, da una parte, e “realtà teologica”, cioè oggettività di Dio, dall’altra, ha ben poca importanza. Entrambe le concezioni infatti rivelano un forte impegno ontologico.
La scomparsa di questo presupposto “ontologico” conduce – e Del Noce direbbe per “stretta obbligazione razionale” – ad affidare il significato della vita per Pascal e dell’esistenza storico-sociale per Goldmann a una “scommessa”. Tale scommessa avrà naturalmente un fine diverso: la salvezza o se si vuole la redenzione ultraterrena per Pascal, la redenzione o se si vuole la salvezza infra-storica per Goldmann. L’agire, ciò che Marx definiva esplicitamente prassi, comprende in sé ogni possibilità di salvezza. E poiché, da buon marxista, seppur marxista eretico, Goldmann ripropone l’identità di teoria e prassi, la scommessa non sarà unicamente teorica ma riguarderà gli ambiti tanto della teoria (che spesso Goldmann definisce semplicemente “conoscenza”, “aspetto conoscitivo”) quanto della prassi. Il marxismo infatti – con le parole stesse di Goldmann – contiene in sé «la comprensione della realtà sociale, il valore che la giudica e l’azione che la trasforma»71. Per questo la scommessa apparirà come il preambolo necessario della fede72. Nato da una scommessa, il marxismo goldmanniano dovrà apparire necessariamente come una “fede”.
Se osserviamo le cose dal punto di vista di Del Noce, la vicenda filosofica “Goldmann” rafforza puntigliosamente la diagnosi appunto delnociana sullo sviluppo
70 Cfr. ibidem. 71
Ivi, p. 131.
72
Goldmann precisa che questo termine non va inteso in rapporto alla religione tradizionale, e che il suo tentativo non è affatto quello di voler rendere compatibile il marxismo con il cristianesimo, ossia di contaminare il marxismo stesso con elementi cristiani. Com’è ovvio questi argomenti, che Del Noce coglie con grande rigore, distanziano l’intento di Goldmann da quello dei cattolici comunisti, che volevano appunto inserire la dimensione politico-sociale di Marx nell’orizzonte cristiano, che volevano – l’espressione non è nostra ma di Benedetto Croce – “battezzare” Marx.
dell’ateismo. Ancora una volta ne emerge l’attualità di Pascal e con essa la rilevanza storico-filosofica di Goldmann. Come abbiamo visto, Del Noce distingue il materialismo settecentesco dall’ateismo marxiano; ma proprio per questo Del Noce rimprovera a Marx di essersi fermato sul piano della postulazione. L’ateismo marxiano è per Del Noce un ateismo postulatorio perché è una “negazione senza prove del soprannaturale”, proprio come reciprocamente c’era stato un teismo postulatorio (Rousseau-Kant) secondo il quale la postulazione era necessaria in quanto per poter parlare dell’esistenza di Dio altro non si poteva fare che un atto di postulazione, appunto fissare un postulato.
Una ulteriore conferma di ciò può essere rintracciata nella vexata quaestio dell’agostinismo di Marx e nel nostro caso anche di Goldmann. Se osserviamo l’uso del termine “agostinismo” nell’intera opera di Del Noce, possiamo rilevare che con questa parola il filosofo torinese intende di volta in volta tre concetti diversi: A) l’agostinismo come dimensione religiosa che privilegia drammaticamente la Grazia – e in questo senso egli parla per esempio dell’agostinismo di Port-Royal; B) l’agostinismo come elemento escatologico, che contrappone la civitas Dei alla città terrena e vede nella prima il punto terminale della storia; C) l’agostinismo come presenza costante di Dio all’uomo e quindi come “ontologismo”.
L’agostinismo di Marx, di cui parlano sia Goldmann sia Del Noce, è l’agostinismo nel secondo senso, l’agostinismo come filosofia della storia e come escatologia. Ne discende che la conclusione della storia – Marx direbbe la fine della storia – può essere soltanto oggetto di fede73.
Comunque sia, proprio perché deriva da una scommessa, la visione goldmanniano-marxiana non può essere scissa dal problema di Dio. Insomma, la tematica religiosa non può in alcun modo essere elusa. E poiché la società
73 Per non dare adito a dubbi bisogna precisare con rigore la posizione di Del Noce circa
l’escatologia marxiana. Del Noce non la mette mai in discussione, e la vede come l’aspetto “religioso” del marxismo. Il problema sta nella discendenza dell’escatologia marxiana dall’escatologia agostiniana. Che si tratti di concezioni affini ma per un altro aspetto assolutamente opposte è cosa altrettanto ovvia: l’escatologia marxiana è intra-storica cioè non trascende mai il piano della storia, mentre l’escatologia agostiniana è il punto terminale della vicenda mondana, la fine del mondo che non appartiene più all’ambito della storia, ma si riversa in Dio. Sembra qui emergere una contraddizione: per un verso Del Noce parla di un agostinismo marxiano e per l’altro verso nega che l’escatologia immanente sia la conseguenza necessaria dell’antica escatologia cristiana (e quindi anche agostiniana). In questo caso non si potrebbe parlare di agostinismo di Marx. La contraddittorietà si può forse spiegare con il fatto che, facendo salvo tutto quanto affermato in precedenza, Del Noce intendesse rispondere, anche esasperando le proprie tesi, a quanto aveva sostenuto K.LÖWITH in Significato e fine della storia. Cfr. E.RANDONE, L’“incontro di Löwith e Del Noce, cit.
contemporanea, quella che Del Noce chiama spregiativamente società opulenta e che anche Goldmann aborriva, non soltanto nega la dimensione religiosa, ma nega la legittimità della stessa domanda religiosa – Dio non fa problema, come si sente dire da numerose filosofie – occorrerà riproporre la domanda. Heidegger aveva aperto Essere e tempo dichiarando che il problema dell’essere non aveva trovato risposta convincente. La metafisica heideggeriana, in seguito, si era qualificata come filosofia dell’“oblio dell’essere”. Si trattava ancora una volta per Heidegger di riscoprire e riproporre la domanda sull’essere. Analogamente per Del Noce si tratta di riscoprire e riproporre la domanda su Dio. Per questo, non per la soluzione ma per l’interrogazione che stimola, Lucien Goldmann si staglia nell’orizzonte contemporaneo con tutta la sua incisività.
Possono questa nitidezza concettuale e questa “onestà” filosofica di Goldmann rappresentare un’alternativa religiosa alle indicazioni dateci da Del Noce? Questi propone la “tradizione creatrice” del cristianesimo; quegli la “totalità”. Ma la totalità prediletta da Goldmann è davvero diversa da quella la cui perdita aveva alimentato l’angoscia e la disperazione del giovane Lukács74 e alla cui riconquista aveva mirato Storia e coscienza di classe? Mentre Lukács intendeva la coscienza di classe soprattutto come “coscienza”, e quindi come primato del pensiero, e perciò vedeva idealisticamente nel pensiero l’identità di essere e pensiero stesso, Goldmann intendeva l’identità tra pensiero ed essere come esito finale del marxismo: più semplicemente proseguiva il processo di pensiero che aveva condotto Lukács dalla Metafisica della tragedia a Storia e coscienza di classe, cioè dalla tragedia al superamento della tragedia. In altre parole quello che per Lukács era il punto d’arrivo rappresentava per Goldmann il riferimento “escatologico”. In questo modo Goldmann accettava in qualche modo la conclusione di Lukács, ossia uno storicismo che doveva trovare in Marx la sua espressione più genuina. Tuttavia sappiamo che Storia e coscienza di classe era stata condannata, appunto, perché colpevole di “idealismo”, ossia per aver messo fra parentesi il “materialismo marxiano”. Per un’esigenza di rigore concettuale, dunque, Goldmann non poteva accettare pedissequamente le conclusioni del suo maestro, ma doveva, come si è accennato sopra, proiettarle nel futuro e intenderle come compito, come dovere morale.
74 Di cui sono testimonianza gli scritti del filosofo ungherese sino a Storia e coscienza di classe, e
soprattutto La metafisica della Tragedia. L’opera di Lukács gode di scarsa considerazione nella letteratura filosofica odierna. Tuttavia, su Storia e coscienza di classe conserva tutta la sua attualità lo studio di T.PERLINI, Utopia e prospettiva in Lukács, Dedalo, Bari, 1968.