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Il matrimonio islamo-cristiano

CAPITOLO IV: LA LIBERTA’ RELIGIOSA

2. Il diritto di famiglia

2.4. Il matrimonio islamo-cristiano

Il caso dei matrimoni dispari tra un cattolico ed un musulmano è stato analizzato in modo approfondito e dettagliato dal Pontificio Consiglio Pastorale per i migranti e gli itineranti nella Istruzione Erga migrantes caritas Christi, dove con puntualità vengono analizzate le problematiche connesse al fenomeno migratorio dei musulmani.

Non si può non notare, infatti, come taluni opinioni “dispari” siano soggette ad una intrinseca fragilità derivante dai delicati problemi concernenti l’esercizio adulto e responsabile, della propria fede e dell’educazione religiosa dei figli, nonché, spesso, dalla differente visione del ruolo della donna.

Alla base di tali “criticità” vi è quasi sempre una diversa concezione dell’istituto matrimoniale, dei diritti e doveri reciproci dei coniugi, della patria potestà e degli aspetti patrimoniali ed ereditari, cui vanno ad aggiungersi le interferenze dell’ambiente familiare d’origine.

Alla luce della normativa del diritto islamico, che abbiamo precedentemente delineato, e del diritto canonico sul matrimonio, emergono tra loro evidenti differenze essenziali. La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, nelle “Indicazioni”: I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia (29 aprile 2005), nel porre in evidenza le principali differenze, dà alcune direttive e rileva che il diritto islamico vede il matrimonio come un contratto che rende leciti i rapporti sessuali tra gli sposi. Esso è un contratto bilaterale privato, per la cui validità non è necessaria una celebrazione pubblica, anche se

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anche nei paesi islamici il matrimonio ha un significato religioso, in quanto è voluto da Dio.

Altre differenze le ritroviamo, come abbiamo già visto in modo più dettagliato, nell’ambito della famiglia, in quanto il matrimonio islamico costituisce una famiglia di tipo patriarcale, nell’ambito delle cause di scioglimento, ammettendo tra esse il ripudio, e infine consente la poligamia, che invece il diritto canonico proibisce.

In diritto islamico vi è inoltre la proibizione per una donna musulmana di contrarre matrimonio con un non musulmano. Tale unione è severamente vietata dalla legge coranica, in forza dell’impedimento della “differenza di religione”, secondo il quale il maschio musulmano può sposare una donna appartenente ad una delle religioni rivelate, mentre una donna non può sposare un “politeista” o un miscredente. Negli ordinamenti giuridici dei Paesi islamici l’autorizzazione civile alla celebrazione di tali matrimoni è condizionata alla emissione della professione di fede islamica da parte del contraente non musulmano.

Uno dei problemi che solitamente si verifica in Italia è quello che si verifica quando un cittadino italiano non musulmano vuole sposare una musulmana mediante matrimonio canonico a cui conseguono anche effetti civili e il Consolato del Paese islamico non trasmette i documenti all’ufficiale dello stato civile, se prima non risulti che il contraente cattolico abbia emesso tale professione di fede. Non di rado, in tale situazione e con il solo intento di aggirare l’ostacolo, accade che la parte cattolica pronunci e sottoscriva l’emissione di professione di fede

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islamica, anche se tale pratica è considerata come un vero atto di apostasia dalla fede cattolica.

Posti tali rilievi si rileva che il Pontificio Consiglio dichiara:

In caso poi di richiesta di matrimonio di una donna cattolica con un musulmano, per il frutto anche di amare esperienze, si dovrà fare una preparazione particolarmente accurata e approfondita durante la quale i fidanzati saranno condotti a conoscere e “assumere” con consapevolezza le profonde diversità culturali e religiose da affrontare, sia tra di loro, sia in rapporto alle famiglie e all’ambiente di origine della parte musulmana, a cui eventualmente si farà ritorno dopo una permanenza all’estero.

Ed ancora la Conferenza Episcopale Italiana ritiene:

L’esperienza maturata negli anni recenti induce in linea generale a sconsigliare o comunque a non incoraggiare questi matrimoni, secondo una linea di pensiero condivisa anche dai musulmani. La fragilità intrinseca di tali unioni, i delicati problemi concernenti l’esercizio adulto e responsabile della propria fede cattolica da parte del coniuge battezzato e l’educazione religiosa dei figli, nonché la diversa concezione dell’istituto matrimoniale, dei diritti e doveri reciproci dei coniugi, della patria potestà ecc. ecc.…costituiscono elementi che non possono essere sottovalutati né tantomeno ignorati, dal momento che potrebbero suscitare gravi crisi nella coppia, sino a condurla a fratture irreparabili, ciò perché esso tocca non soltanto l’ambito della fede ma anche aspetti molto pratici. L’esperienza mostra come sia rilevante, per esempio, la scelta del luogo di residenza della futura coppia e la fondata previsione di restarvi per il futuro: lo stabilirsi in Italia, o comunque in Occidente, offre al vincolo matrimoniale ( e alla parte cattolica) maggiori garanzie, che invece nella maggior parte dei casi vengono

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Qualora, al termine del percorso di preparazione e di valutazione dei nubendi questi non abbiano raggiunto una sufficiente consapevolezza circa il matrimonio cristiano, e vengano a mancare le basi per concedere loro una dispensa dall’impedimento disparitas cultus, si dovrà orientarli verso un ulteriore periodo di riflessione.

In conclusione, prima di acconsentire alla celebrazione di un matrimonio “dispari”si dovrà fare in modo che i nubendi comprendano pienamente che i caratteri del matrimonio( unità e indissolubilità del vincolo), così come le sue finalità (il bene dei coniugi e la generazione ed educazione della prole) non sono rimessi alla loro libera disponibilità, ma che l’esclusione di uno di essi, da parte di uno dei due coniugi, rende il matrimonio invalido78.

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