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Lo scioglimento del matrimonio

CAPITOLO IV: LA LIBERTA’ RELIGIOSA

2. Il diritto di famiglia

2.1. Il matrimonio islamico

2.1.5. Lo scioglimento del matrimonio

Nel diritto islamico il matrimonio musulmano può essere sciolto per varie cause che possono essere così suddivise:

a) cause naturali;

73 G. Caputo, Gli effetti del contratto matrimoniale: i rapporti fra i coniugi, in Introduzione al diritto islamico, Giappichelli, 1990.

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b) cause dipendenti dalla volontà del solo marito o di ambedue i coniugi;

c) cause legali.

a) Causa di scioglimento del matrimonio musulmano è la morte effettiva o presunta. La donna libera dopo la morte del marito deve osservare un periodo di ritiro di vedovanza, che ha lo scopo di impedire la turbatio sanguinis, e cioè il rischio di dubbi sulla paternità del figlio nato durante tale periodo. Per quanto riguarda il dono nuziale si deve guardare alla consumazione del matrimonio: se essa è avvenuta, la vedova ha diritto all’intero dono nuziale stabilito dal contratto di matrimonio; se invece, la consumazione non è avvenuta, la vedova ha diritto solo alla metà del dono nuziale stabilito dal contratto.

b) Le cause volontarie possono essere unilaterali o bilaterali: b1) Cause unilaterali: nel diritto è musulmano è ammesso lo scioglimento del vincolo matrimoniale da parte del marito, cioè il ripudio. Dato che il matrimonio ha carattere di contratto consensuale, è stato osservato che l’ammettere la risoluzione unilaterale rappresenta un’imperfezione della costruzione giuridica; non sarebbe quindi esatto qualificare il ripudio come l’atto opposto al matrimonio, poiché mentre quest’ultimo è bilaterale, il primo è unilaterale.

Nel diritto musulmano esistono varie forme di ripudio.

La prima forma di ripudio si può qualificare come il ripudio semplice (talaq), per distinguerlo da un’altra forma di ripudio del quale parleremo inseguito, il cosiddetto triplice ripudio.

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In applicazione dei principi generali riguardanti la capacità giuridica, per poter essere valido il ripudio deve provenire da un uomo che ha la qualità di musulmano; non occorre invece lo stato di libertà, dato che anche lo schiavo può ripudiare. Il ripudio può essere fatto solo dall’uomo, tuttavia è incapace: il pazzo, chi non ha raggiunto la pubertà e non ha l’attitudine ad amministrare bene il proprio patrimonio. Sono considerati capaci invece l’insolvente e il prodigo poiché la loro capacità d’agire è parziale.

I giuristi musulmani considerano come oggetto del ripudio il vincolo matrimoniale, pertanto perché vi sia ripudio occorre evidentemente che esista un valido vincolo matrimoniale. Per la manifestazione di volontà non è richiesta una forma solenne, così come per la validità dell’atto è sufficiente che da essa si desuma l’intenzione del dichiarante.

Per quanto riguarda gli effetti del ripudio si deve guardare alla consumazione del matrimonio: se essa non è avvenuta, il ripudio è irrevocabile e il vincolo matrimoniale è immediatamente sciolto; nel caso contrario i coniugi devono separarsi, ma il vincolo matrimoniale perdura. Durante il periodo di separazione, il ripudio è revocabile senza bisogno di forme speciali, trascorso tale periodo senza la revoca del ripudio, esso diventa irrevocabile e il vincolo si scioglie.

Un’altra forma di ripudio è il triplice ripudio, nella quale la formula talaq è ripetuta tre volte, anche consecutive, con l’effetto di sciogliere immediatamente il vincolo matrimoniale; effetto ulteriore è di essere ostacolo alla stipulazione di un nuovo matrimonio fra le stesse persone, se prima la donna in tal modo ripudiata non ha contratto e consumato un altro matrimonio con

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una persona diversa da colui che ha pronunciato contro di lei il triplice ripudio.

Un’altra particolare forma di ripudio, di origine preislamica e la cui efficacia viene sensibilmente ristretta nell’Islam, è quella detta zihar.

Nel diritto preislamico la pronuncia, da parte de marito, di una formula con la quale egli dichiarava di voler considerare la moglie come la <<schiena>> di una donna che gli era proibito sposare aveva efficacia di ripudio irrevocabile.

Nel diritto musulmano si è conservata questa forma speciale di ripudio, ma se ne è diminuita l’efficacia; essa è stata infatti considerata come revocabile; inoltre, si è imposta, in caso di revoca, un’espiazione a carico del marito che ha pronunciato tale formula. Dal momento della pronuncia di questa, i coniugi sono tenuti a separarsi, ma il vincolo matrimoniale si considera ancora esistente. Su richiesta della moglie, il giudice assegna al marito un termine entro il quale egli possa, volendo, revocare il ripudio. Trascorso tale periodo senza che il ripudio sia stato revocato, il giudice dichiara sciolto il matrimonio, e la moglie ripudiata è tenuta ad osservare il periodo di ritiro legale.

Sempre di origine preislamica è il giuramento fatto dal marito di astenersi da ogni rapporto coniugale con la moglie, il quale produce come effetto necessario il ripudio; si tratta, dunque, di un modo di scioglimento unilaterale del vincolo matrimoniale. La costruzione malikita dell’istituto può essere così riassunta: se il giuramento è fatto senza determinazione del tempo per il quale esso deve valere, trascorsi quattro mesi dal giorno in cui esso fu pronunciato, la moglie può chiedere al giudice di fissare al marito un termine entro il quale vengano reintegrati i rapporti

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coniugali ovvero venga dato ripudio. Se si verifica la prima ipotesi, il marito è tenuto ad un’espiazione per violazione del giuramento fatto; se invece il marito non reintegra i rapporti coniugali con la moglie entro il termine fissato dal giudice e nemmeno da ripudio, questo è dato, per conto di lui, dal giudice. Sia che il ripudio venga dato dal marito o dal giudice, esso è sempre revocabile, fino a che non è terminato il periodo di ritiro legale della donna.

L’ultima forma di ripudio è costituita da uno speciale giuramento, la cui procedura è stabilita nel Corano. Il principale effetto di tale giuramento, che ha per oggetto l’affermazione, da parte del marito, dell’infedeltà della moglie, è il disconoscimento della paternità del figlio.

Ulteriori effetti di tale giuramento sono quello di costituire un ostacolo perpetuo a contrarre un nuovo vincolo matrimoniale fra le stesse parti.

b2) Cause bilaterali: il matrimonio può sciogliersi anche per mutuo consenso e in proposito si devono distinguere due forme: la prima consiste nel pagamento che la moglie fa al marito di un corrispettivo per essere liberata dal vincolo matrimoniale, mentre la seconda è quella che può considerarsi un vero e proprio divorzio, dove non c’è nessun pagamento di alcuna somma da parte della donna.

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c) Cause legali: nel diritto musulmano esistono inoltre alcune cause legali di scioglimento del matrimonio una delle quali è l’apostasia.74

2.2. L’EDUCAZIONE DEI FIGLI

La filiazione è la relazione di sangue che lega tra loro le persone che discendono l’una dall’altra in linea maschile o femminile. La filiazione legittima può essere stabilita in vari modi: attraverso un valido matrimonio; sulla base della testimonianza di due uomini o di un uomo e due donne; per la rivendicazione di un padrone nel caso di una schiava; per via giudiziaria, quando più di una persona rivendica la paternità di un bambino ecc. ecc. Testimoniare la consumazione del matrimonio è molto importante ai fini dell’attribuzione di paternità. Quest’ultima è legalmente presunta quando la moglie è condotta nel domicilio coniugale e i coniugi, idonei ad avere rapporti sessuali, vi restano isolati; o quando la moglie ha trascorso più di un anno nel domicilio coniugale, a condizione che entrambi i coniugi siano puberi.

Secondo una massima giuridica “il figlio appartiene al letto”, vale a dire un figlio nato dopo il termine minimo di gestazione, cioè sei mesi (o 180 giorni) dall’effettiva o presunta consumazione del matrimonio, è legalmente attribuito al marito. Anche se una donna contrae un altro matrimonio nell’intervallo tra il concepimento e la nascita, un figlio nato dopo sei mesi o 180 giorni dal primo matrimonio continua ad essere attribuito al

74 F. Castro, Lo statuto personale: persone, famiglia e successioni, in Il

modello islamico, Giappichelli (collana Sistemi giuridici comparati),

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precedente marito, mentre un figlio nato sei mesi dopo il secondo matrimonio è attribuito al nuovo marito75.

Il padre ha nei confronti del figlio una potestà, che è l’analogo della patria potestà dei diritti occidentali; in sua mancanza essa appartiene al curatore matrimoniale, che secondo alcuni può essere anche la madre; infine per legge, è tutore il giudice musulmano della residenza del minore. Al figlio è riconosciuta un’autonoma soggettività giuridica nei confronti del padre, ma questi sebbene non abbia su di lui un potere pieno di dominazione ha un potere assai largo e penetrante. Il potere del padre si esercita sia sulla persona che sui beni del figlio.

Per quanto riguarda i poteri del padre sulla persona del figlio i più importanti tra questi sono quelli che si riferiscono al diritto del padre a dirigerne l’educazione e a ricorrere anche all’uso di mezzi di correzione, a condizione di non mettere in atto delle vere e proprie sevizie, ma soltanto delle violenze leggere.

Un altro significativo potere del padre è il diritto di esercitare nei confronti del figlio la coazione matrimoniale stipulando, finché è impubere, un matrimonio per conto suo.

Per quanto riguarda i poteri del padre sui beni del figlio, il padre non ha un potere di dominio diretto, ma esercita semplicemente una tutela nei suoi confronti, infatti il potere del padre è assai più intenso rispetto a quello del tutore, perché mentre il tutore non può alienare i beni immobili dell’incapace senza l’autorizzazione del giudice, il padre può alienarli liberamente, salvo l’obbligo generico di rendiconto.

75 A. Cilardo, Diritto di famiglia islamico, in Due sistemi a confronto la

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Altri doveri che spettano al padre si concretizzano in sostanza nell’obbligo del mantenimento del figlio.

Il padre deve riservare eguale trattamento a tutti i figli maschi e femmine, ma il suo dovere di mantenimento ha una durata diversa per i primi e per le seconde: mentre per i maschi l’obbligo di mantenimento dura fino alla pubertà, per le femmine dura fino alla consumazione del matrimonio.

Le obbligazioni, così come i diritti, della madre hanno un carattere puramente sussidiario e si ricollegano normalmente alla funzione fisiologica della donna nei confronti dei figli, pertanto si delinea anche in questo ambito la disparità tra uomo e donna nella gestione della famiglia, dato che la donna rappresenta solo uno strumento per la procreazione.

I diritti fondamentali della madre sono due: a) il diritto di custodia dei figli;

b) il diritto all’allattamento dei figli.

a) Il diritto di custodia è quel diritto che esprime la naturale vocazione della madre a portare in grembo, tenere tra le sue braccia, proteggere i figli. In principio sembrerebbe che questo diritto non dovesse acquistare consistenza autonoma se non al momento della dissoluzione del matrimonio, in quanto prima della dissoluzione la donna coabita con il marito e questo diritto si confonde con il diritto-dovere di coabitazione.

Il diritto di custodia può essere devoluto ad altre persone per effetto del decesso o di rinuncia della madre o di decadenza, in generale la devoluzione si preferisce verso una donna parente in linea materna. Per divenire titolare del diritto di custodia non è sufficiente avere un titolo preferenziale nell’ordine di

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successione fissato dalla legge, ma occorre anche avere alcuni requisiti sostanziali come la sanità mentale, l’assenza di malattie contagiose, una buona condotta morale, una casa confortevole. Il diritto di custodia si esercita nei confronti dei figli maschi fino al raggiungimento della pubertà, mentre nei confronti delle figlie femmine fino alla consumazione del matrimonio.

b) Il diritto all’allattamento dei figli è nello stesso tempo un diritto ma anche un dovere, infatti il Corano al versetto 233 della

sura II dice: “Le madri allatteranno i loro figli per due anni

completi”.

Se la madre non può ottemperare a questo diritto-dovere perché è malata, essa è comunque tenuta a fornire al bambino una nutrice. Se essa è tenuta all’allattamento e non ricorre ad una nutrice non può esigere un corrispettivo dal marito: ma se essa non è tenuta all’allattamento può chiedere al marito un corrispettivo sulla base della considerazione che gli fa risparmiare le spese di una nutrice.

Per quanto riguarda invece il dovere di mantenimento della madre nei confronti del figlio dobbiamo rilevare che tale dovere nasce solo quando il figlio non ha i mezzi di fortuna e il padre non è nelle condizioni di potervi ottemperare.

Il figlio deve obbedienza ai genitori, senza fare una distinzione tra il padre che è in una condizione di supremazia e la madre che è, all’interno della famiglia, in una condizione di sottomissione.

La shari’a annovera la ribellione ai genitori tra i sette peccati maggiori: vi è solo un caso nel quale il figlio può disobbedire ai

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genitori ed è quando questi ordinano un comportamento che sia contrario alla morale.

Vi sono alcuni comportamenti tipici che il figlio deve tenere i quali, pur nel loro carattere accessorio e del tutto secondario, esprimono in maniera significativa l’atteggiamento di reverenza che il figlio deve avere verso i genitori: egli non può entrare dopo una certa ora nella stanza del padre senza il suo permesso, deve lasciare il locale pubblico in cui si trova se vi entra il padre. Questa obbligazione generica di rispetto si traduce poi sul terreno più propriamente giuridico in un’obbligazione specifica di solidarietà: l’obbligazione degli alimenti.

Il figlio pubere o impubere se è benestante ha il dovere di assicurare il mantenimento ai genitori se questi possono provare, attraverso due testimoni, di essere indigenti ed inabili al lavoro; tuttavia se il figlio dimostra di essere a sua volta indigente potrà sottrarsi a tale obbligo76.

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