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CAPITOLO 5- Origini e tradizioni connesse

5.2 Il matrimonio

I cinque ragazzi intervistati, partono dall’Afghanistan da celibi (in quanto aventi un’età precoce per il matrimonio-adolescenti o ancora più piccoli). Vivono il passaggio verso la maturità durante il viaggio migratorio o durante la permanenza in Italia. Per alcuni di loro, le famiglie si aspettano che una volta stabiliti nel paese di destinazione venga il momento di compiere il passo del matrimonio. In particolare hanno il desiderio che il figlio si sposi con una ragazza afghana, per onorare le proprie origini nazionali e culturali. Per alcuni ragazzi le spinte della famiglia al matrimonio sono costanti, proprio in questo

periodo della vita, in cui hanno un lavoro e una casa, in quanto questo passo sancirebbe il passaggio ufficiale verso il raggiungimento dell’età adulta.

Secondo una ricerca dell’UNICEF (luglio 2018) condotta eseguendo delle interviste a gruppi di famiglie afghane, la gestione della vita sentimentale dei figli sarebbe organizzata dai genitori, come anche per la maggior parte dei casi la scelta dei partner matrimoniali è in capo al padre dei futuri sposi. Sembrerebbe che tra gli intervistati di questa ricerca, circa nel 78% delle famiglie sono i padri a prendere le decisioni sulle nozze dei figli rispetto a quando e con chi sposarsi, mentre nel 55,7% dei casi, nonostante i padri individuino un’ipotesi di scelta del partner dichiarano di consultare i figli prima di decidere

definitivamente.

Il matrimonio resta un passaggio cruciale per la definizione dell’identità adulta di un ragazzo afghano e tendenzialmente le famiglie hanno voce in capitolo rispetto a questo tema. Questo aspetto viene

condiviso per la maggior parte dei casi dalle famiglie dei cinque ragazzi, le quali sperano in un evento del genere per il completamento dell’essere uomini dei loro figli. Per le famiglie degli intervistati, il

matrimonio costituisce un passaggio obbligato per l’avvenuta maturazione del figlio, va a ripristinare il legame tra il ragazzo migrante e il suo paese d’origine, rafforza di conseguenza il suo rapporto con la famiglia rimasta in Afghanistan. Di fronte a ciò, però, i ragazzi si pongono con atteggiamenti diversi. A differenza di Safi, di cui ho parlato sopra, gli altri quattro ragazzi, rispetto all’argomento matrimonio non si trovano d’accordo con i “consigli” provenienti dalle famiglie d’origine. Benché le loro famiglie esprimano apertamente il desiderio che i loro figli si sposino, essi si dissociano da questo punto di vista in quanto affermano o di essere ancora giovani per affrontare questo passo o risultano proprio disinteressati all’idea. Molto probabilmente, per alcuni di loro, se avessero vissuto ancora in Afghanistan, le spinte dei genitori al matrimonio avrebbero fatto sì che si sposassero con una ragazza afghana da loro individuata, assecondando la volontà dei genitori, ma ora, proprio per il fatto di trovarsi all’estero si sentono più liberi di decidere e di prendere le distanze rispetto a queste tradizioni a tratti impositive e tradizionaliste. Per alcuni di loro infatti, la scelta di sposarsi o meno e con chi eventualmente farlo, risulta ora, nel paese di destinazione, una scelta personale, che non implica il consenso o meno della famiglia d’origine. Per via della distanza da casa, si sentono nella posizione di poter decidere più in autonomia rispetto a decisioni così personali e intime.

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Tre di loro raccontano di avere o di aver avuto relazioni amorose in Italia con ragazze non afghane (in particolare italiane e colombiane), rispetto a questa loro scelta non si sentono di disonorare un precetto tramandato dalla propria famiglia, ma semplicemente vivendo in un altro paese, al di fuori

dall’Afghanistan, si “adeguano” allo stile di vita\usanze che hanno trovato qui.

«…c’è adesso sono in Italia, qua si fa diverso che da noi…io sono qua, faccio come qua. In Afghanistan non c’è come che qua prima di matrimonio (relazione sentimentale prima del matrimonio), si fa tutto ufficiale.»

Mati, 24 anni

«…vivo in Italia da un po’, ho acquisito un’altra mentalità, nuove conoscenze, nuove amicizie.» Gholam, 30 anni

Per loro, il fatto di vivere fuori dal paese natio, gli permette di abbracciare un nuovo modo di vedere le cose rispetto a prima o rispetto a quello dei propri genitori. L’essere distanti dalla propria casa gli

permette di affermare maggiormente la propria autonomia e indipendenza rispetto anche alle scelte di vita da compiere. Nel loro caso si sentono nella più totale tranquillità di prendere decisioni anche contrarie rispetto al punto di vista delle loro famiglie o della loro tradizione più stretta.

Secondo il punto di vista dei ragazzi, il matrimonio viene visto da loro come una faccenda ancora lontana dai loro immaginari comuni oltre che una scelta personale, se non fosse per le spinte genitoriali neanche ci penserebbero. Essi non credono sia necessario sposarsi in questo periodo della vita in cui si sentono giovani, essi non pensano ci sia bisogno di sposarsi per definirsi adulti. Rispetto a questo, però, alcuni riescono ad imporre questa loro idea alla famiglia, altri invece, come Safi, seppur in parte contrari si sentono in dovere di accettare le “imposizioni” famigliari riguardo il tema matrimonio.

Rispetto al rapporto col sesso femminile, Aurangzeb, per esempio, racconta la sua esperienza con alcune ragazze italiane in rapporto a quelle che ha conosciuto in Afghanistan: «qui ragazze italiane no hanno paura di niente, parlano sempre, dicono cosa fare, rompono scatole (motivo per cui si è lasciato con

l’ultima ragazza), in Afghanistan invece le ragazze stanno zitte, perché hanno paura.» Con queste parole

Aurangzeb, nonostante sia aperto alle relazioni sentimentali anche con ragazze non afghane e prima del matrimonio, lascia trasparire un certo senso di fastidio nel modo di comportarsi di certe ragazze qui in Italia, che a lui pare quasi strano e inaccettabile. Provenendo da una famiglia fortemente pashtun, trova molto “strano” il comportamento di qualche ragazza che ha incontrato qui in Italia, il loro essere sfacciate e irrispettose va quasi a minare il suo essere uomo. È come se mettessero in pericolo il suo potere e il suo modo di essere e di porsi abituale di fronte al sesso opposto. Il suo essere e sentirsi maschio, con un senso di identità pashtun molto radicata in sé (lo dice e lo fa trasparire), si scontra con i comportamenti che trova in certe persone (soprattutto donne) qui in Italia, considerandoli quasi disonorevoli verso la sua

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persona e verso il suo essere prima di tutto uomo. Nonostante compia scelte personali intraprendenti e in autonomia rispetto alla sua famiglia d’origine e in linea con il paese di dimora attuale, rimangono ancora radicati in lui modi di vedere e di pensare legati a tradizioni familiari afghane prettamente conservatrici e di predominio del sesso maschile rispetto a quello femminile. Questo suo “dualismo”, influenzato da un lato da tradizioni familiari e dall’altro da usanze della comunità di destinazione, si riscontrano anche nelle caratteristiche identitarie degli altri intervistati, i quali spesso si trovano a dover prendere decisioni con due “parametri” di riferimento spesso completamente differenti.