CAPITOLO 6- Lavoro e Formazione
6.1 Questioni generali
In questo capitolo si tratterà dei temi che riguardano l’istruzione e il lavoro, in particolare si
analizzeranno le esperienze riportate dai cinque ragazzi intervistati, in riferimento al paese d’origine e a quello di destinazione. Inizierò con una panoramica generale rispetto alla situazione in Afghanistan e in Europa, con riferimento all’Italia. Poi analizzerò nello specifico i vissuti dei ragazzi intervistati in merito alle esperienze lavorative e alla loro formazione scolastica e professionale in Afghanistan e in Italia. Secondo un rapporto Amnesty del 2012, ottenere un’istruzione in Afghanistan per i bambini e i ragazzi è una sfida. Quasi la metà di tutti i bambini in età scolare non frequenta la scuola. Le strutture scolastiche sono inadeguate, per di più non sono molto diffuse e si trovano in luoghi non facilmente raggiungibili da tutti. L’assenza di mezzi di trasporto per raggiungere la scuola, magari a 10 chilometri di distanza dalla propria casa, l’autostrada trafficata come unico mezzo di collegamento tra la scuola e la propria
abitazione, precludono la possibilità all’accesso all’istruzione a molti bambini. I tassi di abbandono e assenteismo rimangono molto alti, soprattutto per le ragazze. Secondo la ricerca condotta da Amnesty, le “scuole informali” non governative, per lo più di tipo religioso, che nascono e vengono gestite dalla gente comune, risulterebbero l’unica soluzione per molti bambini afgani.
Sebbene la Costituzione afgana affermi l’importanza del diritto all’istruzione e preveda servizi scolastici statali gratuiti, vengono imposte delle tasse, le quali secondo Oxfam, sono il risultato di finanziamenti statali insufficienti. Per molte famiglie le tasse scolastiche possono rappresentare un ostacolo
all’istruzione dei loro figli; vista la povertà diffusa e la difficoltà di molte famiglie nell’ottenimento di beni primari per il proprio sostentamento, non sorprende che molti bambini e ragazzi vengano mandati a trovare un lavoro per contribuire al reddito familiare.
Riguardo il mondo del lavoro, invece, secondo il rapporto Amnesty del 2012, l’Afghanistan si trova in una situazione molto difficile; per gli uomini e i ragazzi risulta molto difficoltoso trovare lavoro, un impiego tra i più diffusi è quello del facchino nei mercati di paese. Trasportando prodotti e merci secondo necessità, riuscirebbero a guadagnare in media 20 o 30 afgani per carico, ossia da 0,40 a 0,65 dollari per carico. In un giorno arriverebbero a guadagnare un massimo di 2,50 dollari. Un altro settore che dà lavoro è quello dei progetti per la realizzazione di infrastrutture nelle città, gestiti spesso da organizzazioni internazionali non governative. Si tratta per lo più di lavoretti temporanei che non assicurano una continuità ai lavoratori che si rendono disponibili a ciò. Per le famiglie la mancanza di un lavoro o comunque di un’occupazione “sicura” risulta una preoccupazione giornaliera e persistente. Senza un
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reddito regolare e sufficiente non possono ottenere abbastanza cibo da mangiare e non possono ottenere le cure in caso di malattie o condizioni gravi di salute. Per la figura dell’uomo, non riuscire a provvedere a se stessi e alla propria famiglia, può far scaturire sentimenti di insicurezza, frustrazione e dubbi sulla propria autostima (inoltre possono contribuire alla violenza intrafamiliare verso il sesso opposto) (Rapporto Amnesty, 2012).
Non sorprende il fatto che molte famiglie decidano di investire in un viaggio migratorio per i figli maschi maggiori verso l’Europa, così da dare loro possibilità lavorative e di vita migliori, che assicurino la sopravvivenza oltre che di se stesso, anche della stessa famiglia d’origine grazie alle rimesse poi inviate. Questi figli, primomigranti e primogeniti maschi, una volta nel paese europeo di destinazione, una volta resa regolare la loro posizione giuridica in quanto migranti forzati, possono finalmente entrare nel mondo del lavoro e con i “frutti” di questo, contribuire ad aiutare la propria famiglia in Afghanistan. Essi però, entrati nel mondo del lavoro si scontrano spesso con una realtà a volte escludente e discriminatoria, che guarda al massimo profitto (sfruttando) e al minor impiego di costi (bassi salari). In tutta Europa, infatti, i lavoratori immigrati costituiscono un gruppo sociale vulnerabile, in quanto per le imprese, rappresentano una forza lavoro conveniente, altamente flessibile che può essere facilmente sfruttata, senza porsi troppe domande sulle disuguaglianze che vivono e subiscono ogni giorno (Perocco, 2011). È noto che essi siano occupati nei lavori meno qualificati, la prassi più diffusa è quella di inquadrare i soggetti immigrati al livello minimo di qualifica, così da assegnare loro una retribuzione media molto bassa rispetto a quella degli autoctoni (ibidem). Oltre a ciò vivono una forte discontinuità dei percorsi lavorativi, precarietà contrattuale (contratti di lavoro a chiamata, a progetto, a intermittenza, stagionali) e irregolarità nel rapporto di lavoro (turni di lavoro non in regola-economia sommersa); sembra che occupino le mansioni più faticose (pressoché lavori manuali) e precarie, insalubri, nocive e rischiose, con più alti livelli di infortunio e malattia rispetto agli autoctoni (ibidem). L’edilizia, come anche il settore industriale, in Italia (nord), sono i comparti a più alta presenza di lavoratori immigrati (ibidem).
Per quanto riguarda invece, il percorso scolastico dei migranti, specie per il caso dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia, inizialmente vengono il più delle volte indirizzati dai centri di prima e seconda accoglienza, verso CPIA territoriali (corsi provinciali per l’istruzione degli adulti) per l’apprendimento dell’italiano L2. Questo primo passaggio è volto a dar loro l’opportunità di acquisire maggior padronanza della lingua del paese di destinazione, per permettere una progressiva integrazione nella rete sociale e nel mondo del lavoro. Alcuni di loro, mossi dal desiderio di concludere gli studi, magari interrotti nel paese d’origine, o per consolidare la loro preparazione scolastica da implementare in campo lavorativo, continuano il percorso scolastico presso corsi serali degli istituti di istruzione secondaria (di primo e secondo grado), alcuni (pochi) proseguono con gli studi universitari. Il più delle volte comunque, la frequenza a percorsi scolastici, corsi di lingua, recupero anni, è volta all’ottenimento di un lavoro o a migliorare le proprie competenze in merito a un settore specifico. In pochi casi vengono intrapresi
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percorsi scolastici per il solo fine di arricchire il proprio bagaglio culturale, spesso lo studio è volto all’ottenimento di un lavoro o di un livello di lingua tale che permetta l’ottenimento di una mansione di grado superiore.