• Non ci sono risultati.

Le esperienze degli intervistati La formazione scolastica

CAPITOLO 6- Lavoro e Formazione

6.2 Le esperienze degli intervistati La formazione scolastica

In Afghanistan, la maggior parte degli intervistati ha frequentato delle scuole coraniche durante l’infanzia, scuole dal carattere principalmente religioso in cui si prediligeva lo studio dei testi sacri del Corano. Per molte delle famiglie degli intervistati, a detta dei ragazzi, l’istruzione “statale” non veniva vista come un qualcosa di necessario per lo sviluppo della persona, risultava più importante studiare fin da piccoli i precetti della religione islamica e poi dedicarsi, il resto del tempo, all’aiuto dei genitori nella vita domestica e nel lavoro. Avveniva questo anche perché nella maggior parte dei villaggi di

provenienza dei ragazzi, non c’erano scuole statali, le quali si trovavano in zone più distanti e difficoltose da raggiungere a piedi. Solo due ragazzi su cinque, hanno frequentato scuole statali fino alle superiori (senza terminare gli ultimi anni): uno perché proveniente da una famiglia benestante che poteva tranquillamente permettersi di pagare le tasse imposte dall’istituto (racconta il ragazzo), l’altro perché spinto a intraprendere gli studi dai propri genitori, che per credo personale, risultavano fortemente sostenitori della formazione scolastica del figlio, seppur in difficoltà con il pagamento delle rette. Una volta in Italia, il loro primo approccio con il mondo scolastico avviene meramente per fini linguistici, per l’apprendimento della lingua italiana. Essi vengono spinti dai centri di accoglienza, soprattutto dagli SPRAR, a intraprendere percorsi di formazione linguistica di italiano L2 nei CPIA della loro zona di residenza e poi, viene consigliata la frequenza ai corsi serali per il raggiungimento della licenza media. Alcuni di loro proseguono oltre, presso corsi serali degli istituti secondari di secondo grado, ma non tutti terminano il percorso per via degli impegni lavorativi e dei turni di lavoro assegnati di sera. Uno su cinque, mosso dal forte desiderio di poter studiare all’università, cosa che aveva sempre sognato fin da bambino, consegue anche due lauree.

«Andavo a studiare fino alle 00.00 alla biblioteca Querini (Venezia)…mi vergognavo a studiare i miei libri in mezzo agli studenti universitari, del liceo, perché i miei libri parlavano di cucina, lavare i piatti, ricevimento (…)…però studiavo e mettevo un sacco di libri davanti a me e facevo finta di essere un grande studioso. Invece non sapevano dentro di me cosa c’era. Ma per la prima volta studiavo matematica, storia, scienze, alimentazione.

Ho sempre sognato di poter studiare…..quando ero piccolo sognavo di ricevere una lettera e poi scrivere la risposta e aspettare un’altra risposta ancora…sognavo di poter imparare a leggere e a scrivere.» Gholam, 30 anni

I ragazzi raccontano, come in Afghanistan, sia usanza per le famiglie mandare a scuola soprattutto il figlio maschio rispetto alla femmina (soprattutto nelle zone rurali del paese), la quale viene indirizzata il

97

più delle volte al lavoro domestico e alla preparazione di se stessa al matrimonio. Essi si pongono con atteggiamenti diversi rispetto a questo dato di fatto. Safi, per esempio “condanna” quest’usanza, ritenendola quasi retrograda ed escludente del sesso femminile alla possibilità di una formazione scolastica e dell’accesso al mondo del lavoro. Ritiene sia ingiusto questo comportamento e si dissocia, definendosi più aperto rispetto ad altri suoi connazionali. Prende le distanze dalla figura dell’“uomo padrone”, capo di una famiglia su stampo patriarcale, che si impone sulla donna. Egli al contrario si mostra aperto al confronto e ritiene corretto che entrambi i sessi abbiano le stesse opportunità nella vita. «Nelle grandi città si vedono cambiamenti per le donne, ma in campagna la gente hanno ancora testa dura. Donne non possono uscire, non possono andare a scuola…perché? Allah parla a uomini come a donne, non si fanno differenze. Gente comune ancora chiude occhi su queste cose.»

Safi, 28 anni

Altri invece, come Mati, non sembrano troppo turbati da queste differenze tra uomini e donne in Afghanistan, in campo scolastico e lavorativo. Anche se in Europa vedono che il comportamento dei ragazzi e delle ragazze rispetto all’accesso alla scuola è diverso, ritengono accettabile ciò che succede in Afghanistan, in quanto per loro è un comportamento che fa parte della tradizione del loro paese. Ciò va a rafforzare ancor di più la figura dell’uomo, del figlio maschio all’interno di una famiglia. Il fatto di prediligere il maschio anche nella scelta dell’accesso o meno alla formazione scolastica, statale o religiosa che sia, rispetto alla donna, è funzionale al fatto che sarà lui colui che si dedicherà al

sostentamento della famiglia, che andrà al lavoro ed entrerà nella società pubblica guidato anche da quei precetti ricevuti a scuola. La scuola diventa per il maschio una palestra formativa in preparazione al mondo esterno. Sarà lui il capo famiglia responsabile delle relazioni sociali con il mondo esterno e colui che gestirà il reddito familiare; perciò anche se in altri paesi è diverso, ciò non mette in dubbio quello che da sempre si è visto fare nel paese d’origine, perché si ritiene siano aspetti fondamentali della

costituzione della vita di un uomo in quanto tale nel loro paese d’origine di riferimento. Per la figura della donna lì, risulterebbe inutile, per alcuni di loro, l’accesso alla scuola, in quanto, passando la maggior parte del suo tempo tra le mura domestiche, non sarebbe funzionale alla sua routine di vita che non si “affaccia” al mondo esterno.

«Da noi è così… è normale che donne stanno a casa, loro no scuola, solo noi maschi studiamo Corano, loro abituate a stare a casa. Per loro non è problema, sempre fatto così.»

Mati, 24 anni

Il venire a contatto con comportamenti diversi in Italia, non fa vacillare quello che succede di norma in Afghanistan. L’Afghanistan resta per alcuni il “proprio mondo giusto”, un mondo in cui “si fa così”, quasi staccato dalla realtà del paese estero in cui vivono oggi. Il paese di destinazione è un “altro

98

mondo”, che non gli appartiene del tutto e per certi aspetti non modifica la propria identità, in quanto uomini adulti afgani.