Capitolo 3: Il mercato aurifero
3. Il mercato aurifero fra Cina e Africa
Facendo nuovamente riferimento alla Tabella n°1 e concentrando adesso l’attenzione esclusivamente su Cina ed Africa, è possibile notare alcuni importanti passaggi che hanno caratterizzato l’evoluzione della produzione aurifera di tali due Paesi.
Un rilevante e fondamentale cambiamento si è verificato a cavallo fra il 2006 ed il 2007, quando la produzione aurifera cinese ha per la prima volta superato quella sudafricana, consentendo alla Cina di guadagnarsi il primato di produttore mondiale d’oro.
Sino al 2006, da oltre un secolo, tale primato era rimasto invariabilmente nelle mani del Sudafrica. Tuttavia una serie di incontrollabili fattori, fra i quali la situazione economica e finanziaria del Paese e le prime avvisaglie della crisi finanziaria mondiale che fra 2008 e 2009 portò ad un incremento vertiginoso del prezzo delle commodities, hanno impedito lo sviluppo dell’industria aurifera nazionale e delle tecniche di esplorazione in profondità delle riserve aurifere.
Conseguentemente, ciò ha causato una progressiva diminuzione della capacità produttiva del Paese. Invero, fra 2000 e 2010, il Sudafrica ha ridotto di oltre il 50% la propria produzione d'oro e, da primo grande produttore mondiale quale era, è passato a ricoprire una mera quinta
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Figura n.15: La produzione aurifera annuale del Sudafrica fra 1995 e 2015 (Indonesia Mining at Tipping Point?
South Africa Gold Production Collapses, 2016)
Per contro, a partire dal 2006 la Cina ha iniziato un’irrefrenabile scalata verso le prime posizioni della classifica.
Difatti, se fra gli anni 2000 e 2006 Pechino vacillava fra la terza e la quarta posizione, a partire dal 2007 essa è balzata al comando della classifica e da quel momento non ha più ceduto il primato a nessuno. Nel 2011 la potenza asiatica è giunta a produrre annualmente 360.957t d’oro, ovvero più del 12% del totale della produzione aurifera mondiale (ibid.).
Nel 2015, per il nono anno consecutivo, la Cina si è riconfermata primo produttore di oro al mondo, con una produzione annua di 490 tonnellate. Non solo, essa ha anche ribadito la propria posizione di maggior consumatore mondiale d’oro, con una domanda di 867 tonnellate, esclusi gli acquisti della banca centrale2 (“Top 10” dei paesi produttori di oro (2015), 2016).
Seppur la Cina difenda bene il proprio primato di produttore e consumatore mondiale, di fronte a paesi come Sudafrica, Russia ed Australia, essa presenta ancora forti carenze in termini di disponibilità di risorse aurifere sul territorio nazionale (Zhang e Feng 2011, pp. 65-66).
2 Questi dati ci vengono forniti dal rapporto pubblicato da USGS (United States Geological Survey) nel Gennaio del
2015 in Mineral Commodity Summaries 2015 (U.S. Geological Survey, 2015, pp.66-67; “Top 10” dei paesi
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Invero, nonostante il Sudafrica abbia visto svanire il proprio primato di produttore aurifero, esso continua ad esercitare una potente influenza sulla Cina in quanto paese ove è collocato il
maggior numero di riserve auree disponibili a livello mondiale.
Figura n.16: La Cina come primo partner commerciale del Sudafrica (Five reasons why zar fall is good for the
economy)
Nel 2010 l’area sudafricana concentrava ben 6.000t d’oro nei propri depositi minerari, un quantitativo pari al 12.77% delle riserve aurifere complessivamente esistenti sul globo terrestre, seguita solo da Australia (12.34%), Russia (10.64%) ed Indonesia e America (6.39%) (Sun e Sun 2014, p.4).
Tuttavia, come qualsiasi risorsa preziosa che si rispetti, l’oro africano non è illimitato e non è rinnovabile. Esso ha necessitato di migliaia di anni per originarsi, ma sono bastati pochi decenni per ridurne massivamente le quantità.
Difatti, recentemente i sottosuoli del Continente Nero hanno cominciato a pagare le dure conseguenze di un eccessivo sfruttamento cinese, durato troppo a lungo nel tempo.
Come suggerisce Mastrogiacomo (2015):
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Inoltre, il meccanismo di scambio economico sino-africano al quale si è accennato nei due precedenti capitoli ha dato vita ad un rapporto caratterizzato da una sorta di interdipendenza fra la potente economia cinese e quelle più deboli e fragili dei Paesi africani.
Questa interdipendenza ha creato un vero e proprio “effetto domino”: il crollo che lo scorso 2015 ha interessato le Borse Asiatiche ha conseguentemente provocato gravi ripercussioni su tutte le economie africane legate alla potenza cinese.
Il Paese rimasto maggiormente coinvolto in quest’ “effetto domino” è indubbiamente il Sudafrica, la cui economia è ritenuta oggi la più forte di tutto il Continente Nero. Quando
Pechino è stata avvolta dalla sua bolla produttiva e finanziaria, l’economia sudafricana ha visto il proprio PIL crollare drasticamente. In questi anni la Cina ha rallentato la propria produzione industriale e ridotto la domanda; di riflesso, i titoli delle grandi compagnie minerarie ne hanno risentito fortemente ed i prezzi delle materie prime sono precipitati.
In un contesto in cui il mercato aurifero versa già in condizioni critiche per via delle riserve che vanno lentamente esaurendosi, l’attività estrattiva ha subito così una battuta d’arresto notevole e molte multinazionali hanno venduto quote di altre consociate, localizzate in varie zone del mondo, al fine di concentrare le risorse in territori ancora ricchi di riserve.
La crisi dell’economia cinese ha avuto ripercussioni sui consumi interni del Paese e la
svalutazione della moneta sudafricana (rand) ha prodotto effetti negativi sul potere d’acquisto dei salari (Mastrogiacomo, 2015).
Se Pechino possiede un'influenza tale da consentirle, indirettamente, di imporre la propria autorità e volontà su un paese «occidentalizzato», democratico e liberale come il Sudafrica, risulta difficile immaginare di cosa la potenza asiatica sia capace in altri Paesi africani ove l'assetto istituzionale è molto più fragile e l'identità politica risulta ancora indefinita (Gardelli 2009, p.177).
Nel quadro generale delle relazioni economiche che legano Cina ed Africa, è evidente dunque come il mercato e l’industria dell’oro muovano oggi sul filo di un equilibrio precario.
Ciononostante, Pechino non rinuncia ad imporre la propria egemonia su quel che resta del minerale prezioso in Africa.
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