L’impatto della crisi economica sul mercato del lavoro è stato molto forte, sia in Italia che nel resto dei Paesi europei. Per l’Italia la crisi ha messo in evidenza i nodi di fondo del mercato del lavoro, dalle forti disparità territoriali alle difficoltà di inserimento dei giovani; dalla sua segmentazione tra italiani e stranieri, all’elevato numero di persone che rinunciano alla ricerca di un’occupazione per il prevalere dell’effetto scoraggiamento, anche se gli ultimi dati mettono in evidenza una ripresa dei tassi di attività anche come conseguenza del maggior numero di persone che si sono messe alla ricerca di lavoro per esigenze strettamente economiche.
La combinazione tra un sistema di governance europeo debole e la crescita del livello di indebitamento pubblico dei singoli Stati ha posto evidenti limiti alle possibilità di intervento dei governi per rilanciare i sistemi economici nazionali, imponendo politiche di controllo della spesa pubblica che hanno delimitato i margini di intervento delle politiche nazionali, con un impatto non indifferente sul mercato del lavoro e sui sistemi di welfare245.
Già alla fine del 2008 la caduta del Pil ha caratterizzato tutte le principali economie dei Paesi industrializzati, dagli Stati Uniti, al Giappone, già in crisi da alcuni anni,
243 Reyneri E., op. cit., Vol. II, 2011, p. 85.
244 OECD, Growing Unequal? Income Distribution and Poverty in Oecd Countries, Parigi, 2008. Consultabile all’indirizzo: http://www.oecd.org/els/soc/41527936.pdf
passando per l’Italia e il resto dei Paesi europei con l’eccezione della Germania, senza considerare la crisi che ha coinvolto Grecia, Spagna e Portogallo. Di segno diverso è il quadro di alcune economie emergenti quali la Cina, l’India e il Brasile che nello stesso periodo di crisi economica hanno continuato a crescere seppur a ritmo più rallentato. La crisi economica ha intaccato innanzitutto la crescita dell’occupazione, che si è interrotta a partire dal 2008 quando ha raggiunto 226,5 milioni di unità nell’Unione Europea. Nel bilancio del 2009-2010, l’occupazione dell’insieme dei Paesi dell’Ue si è ridotta di 5,2 milioni di unità, di cui circa 4 milioni nel solo 2009.
In Italia, il tasso di occupazione, attestandosi nel 2007 al 59,7% è passato al 56,9% del 2011, allontanandosi ulteriormente dai mai raggiunti obiettivi di Lisbona, così come formulati all’interno della Strategia Europea per l’occupazione che auspicava per l’Europa, entro il 2010, il raggiungimento di un tasso di occupazione pari al 70% per il totale e di 60% per le donne (valore che attualmente in Italia risulta essere del 46%)246.
La crisi, è stata particolarmente forte, in aree depresse come il Mezzogiorno, dove sussisteva una tendenza occupazionale negativa già dalla seconda metà del decennio. La crisi economica degli ultimi tre anni, ha contribuito ad ampliare il gap esistente tra il Centro-Nord e il Sud, in virtù della caduta più intensa dell’occupazione meridionale. Il peggioramento sul versante occupazionale ha ulteriormente marginalizzato giovani e giovani adulti senza protezione, donne in diverse fasce di età, sempre più esposti al rischio di scivolare nel sommerso. Per altro verso, dal 2008 al 2010, il numero dei disoccupati è cresciuto nell’Ue da 16,6 milioni di unità a 22,9 milioni. Un aumento sostanziale della disoccupazione si è avuto nel 2009, ed ha riguardato soprattutto la Spagna, dove si è concentrato un quinto dei disoccupati dell’Unione Europea. Il Paese iberico, come si vedrà nel capitolo5, ha in larga parte risentito della forte perdita nel settore delle costruzioni, caratterizzato da un alto assorbimento di manodopera e da una massiccia presenza di lavoratori con contratti temporanei.
Nel contesto di crisi occupazionale la perdita e la mancanza del lavoro ha riguardato un bacino di persone più ampio rispetto al più recente passato, con tempi di permanenza dilatati e fenomeni di scoraggiamento ed espulsione dal mercato. Ancora una volta, la caduta dell’occupazione è stata particolarmente significativa tra i giovani, risultando circa cinque volte più elevata di quella complessiva. Segnali di disagio sono provenuti
246 Si veda a questo proposito anche Veneto Lavoro, 2009: Anno della crisi. Il lavoro tra contrazione
dai giovani esclusi dal circuito formazione-lavoro, ossia la quota dei Neet, che è ancora in aumento ed è decisamente più elevata in Italia che negli altri Paesi europei (22,1% e 15,3% rispettivamente). Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) ha raggiunto in Italia nel 2011, il 29,1%, che rappresenta uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d’Europa.
Si è così modificata la struttura del mercato del lavoro; quindi, si è ampliata l’area della «sofferenza» composta dai disoccupati in cerca di lavoro, dagli inattivi «senza impiego», dagli occupati in cassa integrazione, dai lavoratori atipici/precari e dai part-time involontari: si stima che l’aggregato nel suo insieme contasse nel 2010 8-8.5 milioni di persone247. Inoltre, come fanno notare De Filippo e Morlicchio, il periodo di recessione ha contribuito ad ampliare le aree della povertà ed, i cosiddetti “nuovi poveri”, attualmente appartengono anche, fra gli stranieri ad esempio, a categorie sociali che fino a poco tempo fa si ritenevano al riparo dal rischio di caduta in condizioni di estremo disagio e si consideravano impegnati in un progetto di inserimento sociale e miglioramento del tenore di vita248.
Nonostante il diffuso ricorso alla cassa integrazione guadagni, la perdita di manodopera industriale (-404 mila unità nel 2009-2010) ha assunto dimensioni di estrema gravità nel Mezzogiorno. Con un ritmo di discesa doppio in confronto a quello del Centro-Nord (rispettivamente 13,8% e 6,9%), si è, infatti, ulteriormente ridotto il già esiguo tasso di industrializzazione delle regioni meridionali249. Al calo della trasformazione industriale si è accompagnata la flessione del terziario, specie nel commercio, alberghi e ristorazione, e nella pubblica amministrazione, istruzione e sanità.
Si può senza dubbio affermare che nonostante gli indubbi progressi nelle dinamiche occupazionali, soprattutto nei Paesi europei dove i tassi di occupazione erano più bassi, anche a causa della crisi economica esplosa dalla metà del 2008, poche sono le nazioni che hanno raggiunto gli obiettivi che ci si prefissava in base alla Strategia di Lisbona. La Commissione Europea, quindi nel 2010 ha definito una nuova strategia per il 2020, fissando un solo obiettivo quantitativo per l’occupazione, ossia un tasso del 75% per la
247 Ires, Un mercato del lavoro sempre più atipico: scenario della crisi, n.8, 2011.
248De Filippo E., Morlicchio E., L’impatto della crisi sui lavoratori stranieri: migrazioni di ritorno in
Campania, in «La Rivista delle Politiche Sociali», n. 4, 2010, pp. 329-347
popolazione tra i 20 e i 64 anni, e identificando altri obiettivi strumentali per la crescita dell’occupazione, come l’aumento dei livelli di istruzione, investimento in ricerca e riduzione delle aree della povertà.
La sfida della nuova Strategia Europa 2020 è, dunque, la lotta alla disoccupazione strutturale attraverso una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva che permetta di accrescere la competitività sulla scena globale attraverso la capacità delle politiche degli Stati membri di concentrare gli sforzi sulla costruzione di un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione. Il nodo critico legato alla debolezza della crescita post- crisi, non consiste solo nella scarsità degli investimenti, ma anche nel modello produttivo e di specializzazione poco innovativo che attiva una domanda di basso profilo.
Se si auspica ad uno sviluppo coerente e duraturo nel tempo, «il legame tra crescita e occupazione dipende fortemente, nell’economia della conoscenza, dal livello e dalla qualità delle politiche e degli investimenti in istruzione, ricerca e innovazione. Le politiche di istruzione rimangono, dunque, alla base di qualsiasi politica di crescita economica, e l’incremento dell’occupazione appare sempre più legato all’innalzamento delle competenze della forza lavoro, con particolare attenzione alle esigenze insite nella domanda di lavoro»250. Tali indirizzi sono particolarmente significativi per l’Italia dove, a una scarsità relativa dei livelli alti d’istruzione, fanno riscontro anche bassi rendimenti nel mercato del lavoro. Questa situazione genera un circolo vizioso: bassi rendimenti scoraggiano gli investimenti in istruzione e disincentivano le persone ad ampliare il proprio bagaglio di conoscenze e competenze. La ridotta capacità di innovazione dell’economia italiana necessita di interventi coordinati non solo sul sistema d’istruzione-formazione, che puntino alla qualità e valorizzazione del capitale umano, ma anche e soprattutto sul sistema produttivo, attraverso politiche infrastrutturali e industriali, tesi anche a favorire investimenti in ricerca e innovazione.
250 Isfol, op. cit., 2012b, p.3.
Capitolo 4
Le dinamiche del mercato del lavoro in Campania tra
disoccupazione e lavoro a termine. Il ruolo delle politiche del
lavoro
Premessa
L’Italia è, tra i Paesi europei, quello in cui le differenze territoriali risultano più marcate e persistenti nel tempo. Riprendendo, infatti, Malanima e Daniele, «ciò che sembra caratterizzare il caso italiano, divenendo un esempio europeo peculiare, non è tanto l'ampiezza degli squilibri, quanto la loro persistenza nel tempo»251. Sin dalla metà del 1800 il Mezzogiorno si è contraddistinto come la zona maggiormente depressa d’Italia, dal punto di vista industriale, economico e produttivo. Le divergenze tra Mezzogiorno e Centro-Nord si sono ridotte quando, tra gli anni ‘60 e ‘70, grazie al forte intervento dello Stato nell’economia, l’Italia ha compiuto il processo di catching-up nei confronti delle economie più avanzate, dando inizio ad una fase di convergenza tra le due aree del Paese. Con la crisi petrolifera, e fino ai tempi attuali, la crescita dell’economia italiana, tuttavia, è rallentata e i divari si sono estesi maggiormente.
La Campania rappresenta la regione che, sia per estensione, che per densità di popolazione, contribuisce significativamente alle dinamiche occupazionali del Mezzogiorno252. In Campania, i dati statistici offrono un quadro relativo all’occupazione che restituisce l’immagine di un’economia caratterizzata da tassi di disoccupazione molto elevati, da una ridotta partecipazione delle donne al mercato del lavoro, da condizioni di precarietà e instabilità che contraddistinguono i rapporti di lavoro, dalla diffusione delle più disparate forme di lavoro irregolare fino al lavoro criminale. In quest’area si assiste ad «uno stato di emergenza sociale permanente, che purtroppo non tende a scemare, come mostrano i dati relativi alla ripresa in grande scala
251Daniele V., Malanima P., Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004), in
«Rivista di Politica economica», III-IV, 2007, p. 10.
252 Con 6.074.882 abitanti nel 2011, pur non essendo la regione più estesa d’Italia, la Campania è quella con la maggiore densità popolativa (446,85 ab/km2).
dell’emigrazione verso il centro-Nord, alla preoccupante sequenza di incidenti sul lavoro, alla caduta dei livelli salariali ed alla diffusione della povertà»253.
Nello studio delle politiche attive del lavoro in Campania l’analisi dei dati più recenti sul mercato del lavoro regionale può essere, quindi, utile per definire il contesto economico e sociale nel quale gli attori istituzionali si muovono per facilitare l’incontro tra domanda e offerta, e per favorire l’ingresso delle fasce deboli della popolazione nel mondo del lavoro.
Analizzare inoltre i principali interventi in materia di mercato del lavoro e di politica per l’occupazione in ambito regionale negli ultimi anni, consente di capire quali sono gli strumenti attualmente utilizzati per arginare gli effetti negativi di un mercato del lavoro problematico, specie in questi ultimi anni di crisi.
4.1 Il mercato del lavoro campano tra disuguaglianze di genere e scoraggiamento