Negli ultimi quarant’anni, la società spagnola ha registrato importanti trasformazioni socioeconomiche. La modernizzazione delle strutture produttive e il crescente orientamento estero per le attività economiche sono stati gli aspetti principali dell’importante sviluppo e della riduzione notevole delle differenze con gli altri Paesi dell’Unione Europea. Durante questa fase di espansione economica, tra gli altri, due sono gli elementi di novità nelle dinamiche occupazionali: una forte domanda di lavoro seguita da aumento dell’occupazione nel settore delle costruzioni331 e una crescita del
328 Pereda C., Actis W., De Prada M. Á., Eldesafio intercultural. Españoles ante la inmigracion, in Eliseo A. et al., La inmigracion extranjera en España, Los retos educativos, in «Collection Estudios Sociales», Fundaciòn la Caixa, 2000, p. 184.
329 Villena Rodríguez M., Demografía, mercado de trabajo y política de inmigración - España vs.
UE, in «Revista del Ministerio de Trabajo y asuntos sociales», n. 61, 2004, p. 28
330 Sanchis E., Trabajo y paro en la sociedad postindustrial, Ces, 2008.
331 L’espansione del settore delle costruzioni si sviluppa in seguito ad una legge, la Ley 6/1998, cosiddetta “Ley del Suelo” (legge del suolo), emanata dal Governo del presidente Aznar, al fine di
tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro332: basti pensare che alla fine
degli anni ‘80, il tasso di attività femminile si attestava intorno al 32,5%, nel 2000 al 40% per arrivare al 53% nel 2010.
L’avvento della crisi economica, ha però scosso gli equilibri ponendo fine al «miracolo spagnolo», generando ripercussioni negative sul tasso d’occupazione. Infatti, nonostante il tasso d’attività continui a crescere costantemente, anche per la componente femminile, il tasso di occupazione è diminuito rapidamente di sei punti percentuali, passando dal 54% nel 2007 al 47% nel 2011, e ha colpito in particolare gli uomini, probabilmente a causa dell’andamento negativo del settore delle costruzioni in cui questa componente si è ritrovata maggiormente occupata prima della recessione.
La caratteristica dell’impatto della crisi che emerge con maggiore forza, anche nel contesto europeo, è il drammatico aumento del tasso di disoccupazione, che è salito dal 2002 al 2011 di 10 punti percentuali risultando la più alta percentuale di disoccupazione all'interno dell'Unione Europea (tab. 5.3).
Tab. 5.3 – Tasso di disoccupazione, tasso di attività, tasso d’occupazione in Spagna; anni 2002-2011. Anni Tasso di
disoccupazione d’attività Tasso occupazione Tasso di
2002 11,5 54,2 48,0 2003 11,5 55,5 49,2 2004 11,0 56,4 50,2 2005 9,2 57,4 52,1 2006 8,5 58,3 53,4 2007 8,3 58,9 54,0 2008 11,3 59,8 53,0 2009 18,0 60,0 49,2 2010 19,8 60,0 48,0 2011 21,6 60,0 47,0 Fonte: INE (2012).
Si tratta di una disoccupazione che riguarda in particolar modo i giovani, le donne, gli immigrati, e i disoccupati adulti con basso titolo di studio, specie nelle aree ampliare il terreno urbanizzabile in tutta la penisola iberica, prevedendo altresì l’introduzione di deduzioni e agevolazioni fiscali sull’acquisto della prima casa. La legge, fu emanata per due motivi: il primo era che nella Spagna della fine degli anni ‘90, si assisteva ad un deficit strutturale di abitazioni, per cui c’erano meno appartamenti e case, rispetto alla domanda, che apparteneva soprattutto ai giovani che volevano emanciparsi dal contesto familiare. Il secondo motivo che spinse la formulazione della legge fu motivato dal voler ridurre l’arbitrarietà dei Comuni nel definire l’edificabilità di una zona. Per ulteriori approfondimenti si consiglia la lettura: Bernardos Domínguez G., ¿Cómo Invertir con éxito en el mercado
inmobiliario?, Netbiblo, 2007.
332 De Pablo Escobar L., Martínez Torres M., Gómez De Antonio M., Precariedad económica y
participación laboral. Análisis desde la perspectiva de género, Facultad de Ciencias Económicas y
meridionali del Paese333. I giovani ad esempio, sono particolarmente penalizzati in un contesto lavorativo altamente precario e frammentato. Nello specifico, se si analizzano le diverse classi d’età, i giovani tra i 16 e i 19 anni, riportano un tasso di disoccupazione pari al 64,4%, mentre per quelli tra i 20 e i 24 anni, il tasso di disoccupazione si riduce lievemente al 42,2%. Come afferma Criado, e come mette in evidenza anche Reyneri, per il contesto italiano334, quando si parla dei giovani da un punto di vista occupazionale, non bisogna intendere il gruppo “giovani”, come entità omogenea, in cui i soggetti presentano tutti le stesse caratteristiche: «ci sono gruppi distinti di giovani, definiti per struttura di capitale, classe sociale di appartenenza, traiettorie sociali e attitudini differenziate che hanno a che fare con lavori molto differenti. L’età cronologica non permette in nessun caso di studiare bene il fenomeno dell’occupazione e della disoccupazione giovanile. Basta infatti guardare ad alcuni dati e studi rispetto al legame tra sistema educativo e mercato del lavoro per vedere subito che i giovani che non sono un gruppo omogeneo e che non si rapportano allo stesso modo ai problemi dell’inserimento lavorativo. In Spagna ad esempio, esiste una forte correlazione tra origine sociale e livelli di studio che si ripercuote di riflesso sull’occupazione»335. Ne consegue che molto spesso, per alcuni giovani, specie per quelli che posseggono bassi titoli di studio, l’occupazione coincida con condizioni di sfruttamento e precarietà, in cui «si transita nella terra di nessuno tra lavoro e disoccupazione, e prevalgono incertezza, vulnerabilità, e irreversibilità»336.
La componente femminile, rappresenta, con i giovani, un ulteriore gruppo di soggetti svantaggiati nel mercato del lavoro che con la crisi economica ha visto ridursi le opportunità di inserimento. In termini generali il crescente numero di donne nella popolazione attiva, è un elemento rilevante, poiché riflette sia la tendenza comune della composizione dei mercati del lavoro nei Paesi sviluppati, sia l’evoluzione del ruolo femminile nella società contemporanea che vede la donna capace di combinare
333 Ortega A., Ocana Montalban C., Moldes Farelo R., Paro y Exclusiòn y Polìticas de Empleo:
Aspectos Sociològicos, Tirant to Blanch, 2004.
334 Martìn Criado E., Los empleos y los paros de los jóvenes in «Cuadernos de relaciones laborales», n. 11, 1997, p. 173-201. Per la letteratura italiana si confronti Reyneri E., op. cit., 2011, in particolare p. 176.
335 Martìn Criado E., op. cit., p. 173.
336Du Bois-Reymond M., López Blasco A., Yo-yo transitions and misleading trajectories: towards
Integrated Transition Policies for young adults in Europe, in López Blasco A., Mc- Neish W., Walther
dedizione professionale e obblighi familiari337. Nonostante il maggiore coinvolgimento nel mercato del lavoro da parte delle donne, l’obiettivo di Lisbona di raggiungere un tasso d’occupazione pari ad almeno il 60%, non è stato raggiunto, e continuano a «resistere gli ostacoli per il raggiungimento di una parità di genere in ambito lavorativo e occupazionale»338. Alla dinamicità del tasso d’attività femminile, che è cresciuto di circa venti punti percentuali dal 1980, infatti, non vi è stato un riscontro altrettanto vivace né da parte della società nel suo complesso (trasformazioni nell’organizzazione sociale e del lavoro, incremento dei servizi pubblici specifici) né da parte del versante maschile nel senso di farsi carico del lavoro domestico familiare339.
Nonostante la maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, compresa quella delle donne con maggiori livelli di istruzione, i meccanismi discriminatori di genere che operano all’interno del mercato del lavoro spagnolo sono rimasti intatti. Ci riferiamo in particolare al fatto che le donne sono maggiormente presenti nell’economia informale e nel lavoro a tempo parziale340.
Negli anni della crisi economica, la componente femminile dell’occupazione impiegata con contratti di lavoro atipici ha visto diminuire le opportunità di lavoro, come si evidenzia tra l’altro nella tab. 5.4, e si è confermata l’esistenza di una segregazione occupazionale orizzontale, che le vede impegnate soprattutto in attività vincolate all’immagine e ai ruoli tradizionalmente assegnatole: educazione, servizi personali e sociali, lavori domestici, lavori legati al commercio del vestiario, ecc.341.
La Tab. 5.4, infatti, mostra come, negli ultimi dieci anni, l’occupazione, sia essa a termine che a tempo indeterminato, interessi principalmente la componente maschile, evidenziando il perpetuarsi di forme di discriminazione di genere nell’occupazione; in ogni caso bisogna tener presente che se l’occupazione maschile a tempo indeterminato negli ultimi dieci anni, ha oscillato tra il 38% e il 40% dell’occupazione totale, quella femminile, ha subito un incremento rilevante, aumentando di quasi dieci punti percentuali dal 2002. Per quanto riguarda inoltre il contratto a termine, si può notare
337 Aguilar E., Lozano C., Moreno I., Pèrez A., Entre la tradiciòn y la innovaciòn: politicas de empleo
femenino y desarrollo rural, in «Sociologìa del Trabajo», n. 65, 2009, pp. 111-136.
338 De la Cruz S., Dualidad social y sexual, in «Fundamentos en humanidades», n. 4, 2001, pp. 131. 339 Carrasco Bengoa C., Mujeres y trabajo: entre la invisibilidad y la precariedad, in AA. VV. Mujer
y Trabajo: entre la precariedad y la desigualidad, Consejo General del Poder Judicial, 2008.
340 Maruani M., La construcciòn social de las diferencias de sexo en el mercado de trabajo, in «Revista de Economia y Sociologia del Trabajo», nn. 13-14, 1991, pp. 129-137.
come per la componente maschile, la sua incidenza sia diminuita di quasi 10 punti percentuali dal 2002, mentre risulta quasi invariata per la componente femminile.
Tab. 5.4- Occupati per genere e tipo di contratto; anni 2002-2011; valori percentuali.
Anni Uomini Donne
Contratto tempo
indeterminato Contratto tempo determinato Contratto tempo indeterminato Contratto tempo determinato
2002 40,1 21,7 24,6 13,6 2003 39,9 21,3 25,2 13,5 2004 39,5 21,0 25,9 13,5 2005 38,9 21,2 26,2 13,8 2006 38,9 20,5 26,9 13,7 2007 39,5 18,9 28,3 13,3 2008 40,1 16,6 30,0 13,2 2009 41,2 13,7 32,8 12,3 2010 40,8 13,3 33,7 12,2 2011 40,9 12,7 34,5 11,9 Fonte: INE (2012).
Anche per gli immigrati, la crisi ha comportato un elevato livello di disoccupazione, attestato al 32,9% nel 2011, cioè più di 15 punti percentuali in più rispetto al 2002 (14,5%). Gli immigrati quindi, nelle congiunture economiche, sono tra i soggetti più penalizzati e stanno subendo gli effetti della crisi in maniera estremamente negativa. Seguendo Rinken, Galera Pozo, Alvarez-Sotomayor e Cortes Sanchez, ad aver risentito maggiormente degli effetti della crisi sono soprattutto gli immigrati sud-americani342, in genere più giovani, con un livello educativo più basso e generalmente con poca esperienza lavorativa. Queste caratteristiche condizionano il tipo di occupazione a cui essi possono accedere, e li pone in una posizione particolarmente vulnerabile in periodi di recessione343. I dati, infatti, configurano una maggiore precarizzazione dei rapporti di lavoro e una riduzione notevole delle ore lavorate che in vari casi nasconde un aumento del lavoro sommerso344. Con l’intensificarsi della crisi economica, gli immigrati hanno subito una riduzione occupazionale proprio in quei settori che, negli anni pre-crisi, hanno assistito ad una maggiore incidenza del lavoro straniero, ossia l’industria (in
342 Si ricorda che in Spagna, i sudamericani costituiscono nel 2011 quasi il 28% della popolazione straniera residente.
343 Rinken S., Galera Pozo A.G., Álvarez-Sotomayor A., e Cortés Sànchez M., El (des) empleo
inmigrante en España en tiempos de crisis econòmica. Un examen empìico de tres factores explicativos,
in «Sociologìa del trabajo», n. 72, 2011, pp. 63-96.
particolare il settore delle costruzioni) e l’attività di cura in ambito domestico (che attualmente sconta la complessiva riduzione dei redditi e la maggiore difficoltà economica delle famiglie).
Il deterioramento dell’occupazione è riscontrabile soprattutto in alcuni settori specifici come quello dell’edilizia che fino alla crisi economica aveva espresso una forte domanda di lavoro; come si può notare dalla tab. 5.5, l’occupazione nelle costruzioni, a partire dal 2007 si contrae pesantemente, generando una forte disoccupazione specie tra le persone con bassi livelli di istruzione.
Con la crisi economica, ha avvento infatti la cosiddetta «Burbuja inmobiliaria», ossia bolla immobiliare che trae la sua origine dalla citata legge di Aznar del 1998.
Con l’istaurazione della suddetta legge, si è facilitato l’ingresso di speculatori nel mercato immobiliare, e si è cominciato a costruire su ampie zone della penisola iberica, favorendo una forte richiesta di manodopera in questo settore. Banche, imprese e famiglie spagnole hanno investito nei primi anni del duemila nel settore immobiliare che credevano in grado di portare guadagni a costi accessibili. Tuttavia col tempo, la domanda è rallentata a causa del concatenamento di diversi fattori: la difficoltà a trovare nuovi investitori disposti ad acquistare i beni immobili ad un prezzo divenuto troppo elevato; la vendita di chi aveva già acquistato con lo scopo di monetizzare il guadagno che nel frattempo era maturato; la situazione economica che peggiorata nell’ambito di una crisi globale, aveva fatto svanire le prospettive di guadagno che si erano ipotizzate.
Così, da un eccesso di domanda nel comprare case si è passati ad un eccesso di vendite dettato da un ribasso del loro valore. Negli ultimi cinque anni molte famiglie e molte imprese spagnole non sono più riuscite a pagare i loro debiti, ossia i loro mutui sulla casa, che nel frattempo sono aumentati a dismisura, e altre persone impiegate nel settore dell’edilizia, si sono ritrovate disoccupate a causa della scarsa domanda di lavoro345.
Oltre alla perdita occupazionale nel comparto dell’edilizia, durante la fase recessiva, inoltre, settori come l’industria e l’agricoltura, negli ultimi dieci anni, si è ridotta la loro incidenza sugli occupati, in maniera sempre più incisiva, rispettivamente di 2 e 10 punti percentuali (tab. 5. 5).
345 Rodríguez López J., El colapso de la burbuja inmobiliaria y sus consecuencias in «Temas para el debate», n. 177-178, 2009, pp. 76-78. Si veda anche, J. F. Bellod Redondo, Crecimiento y especulación
Tab. 5.5 - Occupati per settore di attività in Spagna; anni 2001-2011; distribuzione percentuale. Anni Settore economico
Agrario Industria Costruzioni Servizi
2001 6,5 19,7 11,6 62,2 2002 6,0 19,2 11,9 62,9 2003 5,7 18,5 12,2 63,6 2004 5,5 17,9 12,5 64,1 2005 5,3 17,3 12,4 65,o 2006 4,8 16,7 12,9 65,7 2007 4,5 16,0 13,3 66,2 2008 4,0 15,3 11,0 69,6 2009 4,2 14,4 9,7 71,8 2010 4,1 14,0 9,0 72,9 2011 4,5 14,2 7,2 74,4 Fonte: INE (2012).
Si osserva, invece, una dinamica occupazionale positiva per quel che riguarda il settore dei servizi che in Spagna conferma un’espansione continua, seppur lenta. Come in Italia, dagli anni ‘70, la crescita dell’occupazione spagnola, non si deve sostanzialmente all’industria o all’agricoltura, ma piuttosto all’incremento delle attività terziarie e allo sviluppo del welfare 346.
Le riforme politiche che si sono sviluppate a partire dal 1978 hanno, infatti, favorito la creazione di una serie di servizi sociali di carattere pubblico che hanno contribuito a favorire dinamiche positive in una prospettiva sociale e del mercato del lavoro. Tuttavia lo sviluppo del terziario non è stato accompagnato da un aumento parallelo della produttività e questo riflette uno dei problemi interni al settore: se da una parte le attività finanziarie e i sub-settori vincolati alle telecomunicazioni hanno avuto un buon incremento della produttività, al contrario il commercio e i servizi sociali hanno un peso minore in quanto a produttività347.
All’interno del mercato del lavoro spagnolo, emerge con forza l’aspetto legato alla contrattazione a termine, che in Spagna detiene uno dei tassi maggiori d’Europa. La Spagna, infatti, con la riforma del mercato del lavoro del 1984348 ha cominciato un profondo processo di flessibilizzazione. Dopo la riforma il ritmo di espansione del lavoro a carattere temporale è stato piuttosto rapido tanto che nel 1987, a tre anni dalla
346 Martìn Artiles A., Kohler H. D., Manual de Sociologia del trabajo y de las relaciones laborales, Delta, 2007.
347 Requeijo González J., Economìa española, Delta Publicaciones, 2006. 348 Si fa riferimento alla Legge n. 32 del 2 agosto 1984.
riforma, il tasso della contrattazione a termine349 è già del 18%, aumentando ulteriormente oltre il 33% nel 94 e attualmente nel 2011, rappresenta uno dei valori più alti d’Europa con il 25,3% dei lavoratori con contratti a termine, secondo solo alla Polonia (il cui tasso si attesta nel 2011 al 26,9%). I contratti a termine, essendo economicamente più vantaggiosi per gli imprenditori, hanno avuto una marcata espansione, divenendo, da molti anni, una caratteristica peculiare del sistema spagnolo, e nonostante l’Unione Europea abbia ritenuto che l’uso di questo tipo di contratti fosse eccessivo, le imprese spagnole, continuano a frazionare il lavoro attraverso segmentazioni contrattuali, determinando così una bassa protezione del lavoratore precario350. Secondo Kovàcs e Conceição una parte sostanziale delle forme flessibili di lavoro in Spagna è precaria perché si tratta di lavoro instabile, mal pagato e poco riconosciuto il che implica la riduzione dei diritti sociali e l’assenza di prospettive di carriera professionale351.
Il ricorso a lavori flessibili, come ad esempio sono i lavori temporali e i lavori a tempo parziale, incidono principalmente nel settore dei servizi a basso livello di produttività e tendono a veder occupati principalmente donne e giovani. Secondo Toharia, «l’uso della contrattazione a termine in Spagna e la conseguente segmentazione del mercato del lavoro, si deve in buona misura, anche se non totalmente, a fattori relazionati alla domanda di lavoro. In Spagna i contratti a tempo determinato incidono maggiormente in determinati settori come l’edilizia, l’agricoltura e il turismo e in determinati gruppi di persone, generalmente meno qualificate»352.
La contrattazione a termine quindi, incide gravemente sulla segmentazione del mercato del lavoro, che divide, così come ampiamente osservato nel caso italiano (anche se la crisi ha contribuito a ridurre queste differenze a causa della vastità dei soggetti che si ritrovano senza lavoro o con un lavoro precario), i soggetti che hanno un’occupazione più o meno stabile nel mercato del lavoro, da quelli che non hanno occupazione e/o navigano nel mercato del lavoro precario e senza tutele. Per Dolado e
349 Il tasso di contrattazione a termine, è una traduzione nostra del termine spagnolo “tasa de
temporalidad”; esso rappresenta un indicatore che misura la qualità del lavoro in relazione alla stabilità
del lavoro. Si ottiene dal rapporto tra i lavoratori dipendenti con contratto a tempo determinato e il totale dei lavoratori dipendenti. INE, Encuesta de Población Activa. Metodología 2005, Madrid, 2008.
350 Ojeda Avilès A., Gorelli Hernandez J., Los contratos de trabajo temporales, Iustel, 2006.
351 Kovàcs I., Da Conceição Cerdeira M., Calidad de empleo: quiebra generacional versus quiebra
societal?, in «Sociologia del trabajo», n. 66, 2009, pp. 73-106.
352Toharia L., El mercado de trabajo en España: situación y perspectivas, in «Clm Economia», n. 4, 2004, p. 96.
Felgueroso, una delle principali conseguenze della crisi è l’acuirsi della segmentazione del mercato del lavoro a discapito dei lavoratori precari: al persistente dualismo tra lavoratori con contratti a tempo indeterminato e lavoratori con contratti a tempo determinato si aggiungono le differenze tra le persone che hanno opportunità lavorative e quelle che non ne hanno. Secondo gli autori, infatti, paragonando la segmentazione del mercato del lavoro ad un semaforo, in primo luogo c’è il segmento dove si incontrano i lavoratori contrattualizzati e autonomi, ossia quelli che stanno stabilmente all’interno del mercato del lavoro. Il secondo segmento costituito dai lavoratori che pur non possedendo un posto di lavoro stabile, sono integrati in un circuito di lavori e il proprio capitale umano non risente della disoccupazione anche se gli impieghi con cui hanno a che fare sono intermittenti, di bassa qualità o con salari ridotti. Il terzo tipo di segmento riguarda le persone che pur non avendo un lavoro lo cercano attivamente però non posseggono un’esperienza lavorativa recente e quindi si trovano fuori dal mercato del lavoro. Il quarto segmento è costituito da persone inattive che vorrebbero lavorare ma non cercano lavoro attivamente. Nell’ultimo segmento si trovano le persone inattive che non possono lavorare, tra cui rientrano i lavoratori disabili o in prepensionamento. Consapevoli del fatto che nel mercato del lavoro si muovono diversi gruppi di soggetti, secondo gli autori Dolado e Felgueroso, la crisi si è innescata soprattutto nel gruppo appartenente al segmento due perché si tratta di persone che transitano continuamente dalla disoccupazione ad un impiego di carattere temporale e molte volte vanno a riempire le file dei disoccupati di lunga durata353.
In definitiva quindi, la crisi senza dubbio ha dato origine a nuove forme di povertà e ha rafforzato altre già esistenti e «diventa difficile incontrare gruppi di popolazione che non abbiano sofferto in alcuna maniera dell’instabilità dell’attività economica e del lavoro; inoltre gli indicatori lasciano pochi dubbi su quali sono stati i gruppi di lavoratori che hanno sofferto maggiormente la distruzione di posti di lavoro»354. Si tratta delle donne, dei giovani, dei soggetti meno qualificati e degli immigrati. In Spagna si profila, dunque, un modello di segmentazione all’interno del mercato del lavoro che
353 Dolado J. J., Felgueroso F., La imparable segmentación de nuestro mercado de trabajo, in http://www.fedeablogs.net/economia/, 1 maggio 2011.
354 Laparra M., Perez Eransus B., El primer impacto de la crisis en la cohesión social en España, Caritas Española, 2011, p. 23.
appare replicato rispetto a quello italiano e che interessa gli stessi soggetti deboli del mercato del lavoro che pagano le conseguenze della crisi.
In conclusione della situazione descritta e analizzata, si avanza l’ipotesi che il modello italiano di disoccupazione, affrontato nel terzo capitolo, sia in realtà replicabile rispetto al contesto spagnolo, poiché riguarda le stesse caratteristiche e va ad incidere sulle stesse componenti “deboli” della popolazione, in aree specifiche del Paese, ossia quelle meridionali, come l’Andalusia. I giovani in Spagna rappresentano il gruppo più vulnerabile al rischio della disoccupazione, specie se si fa riferimento alle giovani donne o ai giovani immigrati. L’analisi del mercato del lavoro spagnolo e italiano