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Il “non-cambiamento” virtuoso:

4. Il non-cambiamento

6.3. Il non-cambiamento come valida decisione strategica

Considerando che talvolta il non-cambiamento trae le proprie origini da una scelta precisa e deliberata e che per essere attuato richiede uno sforzo, vale la pena proseguire nella valutazione della fattibilità di tale decisione per quanto riguarda la strategia d’impresa. Il fatto che una determinata scelta non sia stata presa a seguito di un ragionamento strategico strettamente correlato al profitto, non significa che, alla fine, non si possa rivelare una scelta valida in senso economico-strategico.

Se la maggior parte degli attori operanti in un determinato settore decide di spostarsi dalla produzione tradizionale a quella moderna, quelle imprese che al contrario non sono cambiate e che sono riuscite a sopravvivere – grazie al comportamento dei consumatori che hanno continuato a valorizzare il prodotto realizzato secondo il metodo tradizionale – potrebbero trovarsi in una posizione competitiva più sicura rispetto a quella dei concorrenti “moderni”. Infatti, l’abbandono in massa del processo produttivo tradizionale per la realizzazione delle calzature sta rendendo la conoscenza alla base di tale processo sempre più rara, al punto da rischiare di essere perdute per sempre.

Nella sezione precedente, si è fatto riferimento al cambiamento dei gusti dei consumatori per quanto riguarda il livello di qualità ricercata nel prodotto. Tuttavia, tale fenomeno non è da intendersi in termini assoluti, in quanto i prodotti di altissima qualità continuano ad avere i propri mercati di sbocco e una propria clientela selezionata. Infatti, se Antonio Mercurio viaggia in tutto il mondo per prendere le misure dei propri clienti è perché questi ultimi riconoscono la sua maestria, un mestiere che è molto difficile da replicare. Del resto, sebbene un processo produttivo interamente manuale possa essere classificato come a “bassa” intensità tecnologica, questo è senza ombra di dubbio ad altissima intensità di conoscenza.

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“La maggior parte delle persone, quando vengono da me, è perché hanno un problema ai piedi. Io non sono un ortopedico, ma riesco a capire cosa c’è che non va guardando i loro piedi e osservando il modo in cui camminano.

[...] La difficoltà del mestiere non sta tanto nel realizzare le scarpe su misura,

e nemmeno nel renderle precise al millimetro. Ciò che è difficile è realizzare delle scarpe con le quali si può camminare perfettamente. Questo a volte può essere molto impegnativo. Per avere un’idea, posso dirle che i piedi differiscono tra le persone come fanno i nostri volti. [...] Ma questo perché io capisco la complessità che c’è dietro a una calzatura perfetta, e posso assicurarle che non si può imparare in meno di dieci anni, e non sono neanche sicuro che dieci anni siano sufficienti per impararlo completamente.” (Antonio Mercurio, Stivaleria Mercurio)

Antonio Mercurio sa bene che imparare l’arte della realizzazione delle calzature richiede molto tempo e tanta dedizione, dopo tutto come richiesto per imparare altre arti e mestieri. Tuttavia, egli è convinto che il vero problema risieda nel fatto che la conoscenza accumulata nei secoli stia scomparendo.

“Anche se ci vuole parecchio tempo per imparare il mestiere, sfortunatamente il tempo non è il principale problema. Il problema è che non ci sono più i maestri da cui poter imparare. [...] I maestri sono scomparsi semplicemente perché li abbiamo persi, sono morti e non possiamo resuscitarli. Alcuni dei pochi che hanno imparato qualcosa dai veri maestri l'hanno dimenticato perché hanno preferito seguire il mercato.” (Antonio

Mercurio, Stivaleria Mercurio)

Antonio Mercurio si considera uno dei pochi maestri sopravvissuti. Mentre molti hanno optato per un netto distacco dalla tradizione, mossi sicuramente da altre ragioni ma sicuramente non dalla qualità e dalla passione per il mestiere, egli e suo padre prima di lui hanno deciso di non cambiare. Alcuni altri avevano magari preso la stessa decisione di non cambiare, ma i loro percorsi si sono interrotti a causa di imprevisti durante la successione. In questo contesto il termine successione va oltre il principale dilemma delle imprese familiari, in quanto si fa riferimento, più che altro, all’abbandono del modello virtuoso di apprendimento del Rinascimento. Nel Rinascimento, i giovani erano soliti passare molti anni, anche un decennio come nel caso di Leonardo da Vinci, lavorando come apprendisti in una bottega artigiana gestita da un maestro. Questi rampolli erano disposti a sacrificarsi e persino a pagare cospicue somme per imparare il mestiere. Le cose poi sono cambiate, principalmente dalla seconda rivoluzione industriale, in quanto molti maestri sono rimasti soli, senza neanche un singolo apprendista.

I mestieri furono trasformati in lavori e le linee di produzione di massa, con la catena di montaggio, sostituirono l’artigianato. Nell’ambito del presente lavoro, la produzione di massa non si riferisce necessariamente alla “dimensione americana”. In Italia, è presente ancora un vivido segno di questo passaggio, in quanto molte famiglie di produttori di scarpe avevano costruito la propria fabbrica nei loro scantinati, installando una linea di produzione dotata di macchinari (ad es. presse idrauliche per tagliare pelle, macchine da cucire e spazzolatrici), in gergo denominata “manovia”, capace di impiegare anche venti persone. Di conseguenza, l’apprendimento del mestiere si è letteralmente spostato da

68 “imparare a realizzare le scarpe” a “imparare ad utilizzare le macchine per la realizzazione della

scarpa”44. Con il passaggio di un paio di generazioni, eccoci giunti ai nostri giorni.

Alla luce di tale discostamento di massa dalle tecniche di produzione tradizionali per la realizzazione di calzature in pelle, risulta più agevole comprendere le ragioni per cui tale tipo di conoscenza sia diventata estremamente rara e difficile da reperire. Questo, tuttavia, garantisce ai pochi detentori un posizionamento competitivo più sicuro di quello di coloro che “hanno fatto il salto”, poiché questi ultimi non possono acquisire con facilità la conoscenza del primo e competere, quindi, per lo stesso segmento di clienti che apprezzano la qualità. Le caratteristiche di rarità e difficoltà di acquisizione, non a caso, sono quelle che rientrano nella definizione di risorsa fonte di un vantaggio competitivo: valuable, rare

and costly to imitate (Barney 2001; Barney et al., 2001; Hart 1995), più precisamente valuable, rare, imperfectly imitable and non-substitutable (Barney, 1991).

P10: Per quanto attiene alla modernizzazione di un processo di produzione

tradizionale, la decisione del non-cambiamento porta ad una posizione competitiva più sicura di quella derivante dal cambiamento se la quota degli attori del settore perseguenti la modernizzazione e il decorso del tempo sono tali da rendere rare le conoscenze alla base della produzione tradizionale, la quale rimane a disposizione esclusiva dei pochi detentori.

La conoscenza alla base della calzatura tradizionale sta diventando così rara che alcuni dei pochi detentori di conoscenze hanno anche iniziato a sfruttarla come nuova opportunità di business, come visto nel capitolo precedente nel caso di Stefano Bemer.

“Abbiamo iniziato ad offrire un programma di formazione relativo alla produzione artigianale delle scarpe da uomo, interamente realizzate a mano. Oltre ad essere un’attività importantissima per noi, in quanto è atta a formare i nostri artigiani del futuro, è anche un business importante, ogni studente paga 13 mila euro. Non capisco perché gli altri non lo facciano […] Certamente, il problema è reperire gli artigiani, in quanto ce ne sono pochissimi in giro. Fortunatamente, noi avevamo i tre maestri artigiani addestrati da Stefano in persona, e da lì abbiamo potuto dare avvio alla scuola. Però, voglio dire, per chi gli artigiani ce li ha, basta impegnare parte della forza lavoro produttiva, diciamo due artigiani, e dedicarli alla formazione di nuovi artigiani. Solo che a chi non lavora per la qualità, ma solo per ed esclusivamente per il profitto a breve termine, manco viene in mente di farlo.” (Tommaso Melani, Stefano Bemer)

Oltre che a mettere in evidenza che il know-how del processo tradizionale di realizzazione della calzatura sta diventando così raro da consentire la vendita di corsi di formazione, il caso di Stefano

44 E’ importante sottolineare che a seguito della modernizzazione del processo produttivo, sebbene le imprese abbiano perduto importanti conoscenze tecniche, potuto sviluppare altri tipi di competenze strategicamente importanti, come ad esempio la capacità di collaborare con i fornitori di macchinari per la personalizzazione degli impianti produttivi (si veda, ad esempio, Pirolo et al., 2013).

69 Bemer risulta interessante per un altro motivo. Infatti, insieme ad un partner, stanno attualmente studiando quali sono le fasi del processo di produzione che possono essere eseguite con l’ausilio dei macchinari senza diminuire la qualità del prodotto. Stanno facendo ciò con l’obiettivo di trasferire la qualità delle proprie scarpe su misura in un prodotto ready to wear.

“Chiaramente [il prodotto] non sarà della stessa qualità del nostro bespoke, perché non potrebbe proprio essere paragonabile. Il su misura è il su misura, ha un altro comfort. Tuttavia, stiamo facendo questo studio per capire se possiamo arrivare a commercializzare la scarpa ready to wear della più alta qualità ad un prezzo accessibile, anche a costo di margini molto bassi. Questo non si rivolge ai consumatori più esperti ed esigenti, perché saranno sempre alla ricerca del su misura, ma potrebbero davvero attrarre e sorprendere i clienti che noi chiamiamo educati.” (Tommaso Melani, Stefano Bemer)

La Stefano Bemer sta studiando la possibilità di creare una nuova linea di prodotto attraverso l’ibridazione del processo produttivo, secondo cui gli artigiani utilizzeranno le tecniche di lavorazione tradizionali per quelle fasi che non possono essere eseguite con l’aiuto delle macchine se non a fronte di una diminuzione della qualità del prodotto, mentre si avvarranno dei macchinari per quelle fasi di lavorazione che non subiscono per questo una diminuzione della qualità del prodotto.

“Non ci può essere paragone tra le scarpe fatte a macchina e quelle fatte a mano, perlomeno in termini di qualità del prodotto finito. Tuttavia, la produzione tradizionale [fatta a mano] non deve essere oggetto di una trasformazione [modernizzazione] tout court, ma può essere una modernizzazione selettiva. Stiamo scoprendo che non tutte le fasi del processo di produzione determinano una significativa perdita di qualità quando passano dal fatto esclusivamente a mano al fatto con l’aiuto dei macchinari.” (Tommaso Melani, Stefano Bemer)

Questo è particolarmente noto alla Calzoleria Rivolta.

Calzoleria Rivolta è una piccola impresa a conduzione familiare fondata nel 1883. Il processo di produzione è interamente fatto a mano, fatta eccezione per le primissime fasi di misurazione e di produzione della forma della scarpa. Nel caso specifico, infatti, le misure necessarie alla realizzazione delle scarpe su misura vengono acquisite utilizzando uno scanner. Lo scanner 3D registra le coordinate di migliaia di punti del piede e li trasforma in un modello 3D in digitale, che viene poi trasformato nella forma fisica attraverso la stampa 3D.

“Il processo di realizzazione delle calzature su misura ha un limite: se non c’è un artigiano che misura il piede, diventa difficile realizzare la forma sulla quale realizzare le scarpe. Così, succede che per quanto riguarda le vendite all’estero vendere il su misura diventa complesso, con tempi di produzione davvero lunghi e costi molto elevati. [...] Inizialmente abbiamo immaginato che la tecnologia di stampa 3D avrebbe potuto facilitare il processo di

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misurazione e incrementare la precisione della scarpa, e ora ne siamo certi. Abbiamo sviluppato la tecnologia in collaborazione con un’Università locale e ne è uscito fuori un risultato incredibile. [...] Tuttavia, non abbiamo modernizzato altre fasi del processo perché vogliamo continuare a produrre le scarpe della migliore qualità.” (Fabrizio Rivolta, Calzoleria Rivolta)

Tuttavia, Calzoleria Rivolta ha scoperto che una volta che una fase del processo è stata modernizzato, ha bisogno di essere costantemente aggiornata.

“Sappiamo bene che una volta implementata una tecnologia è necessario continuare ad aggiornarla, altrimenti qualcun altro lo farà prima di te. Con la stessa Università, stiamo lavorando su una app con cui è possibile effettuare queste misurazioni con il proprio smartphone. In realtà l'abbiamo già sviluppata, ma non è abbastanza potente per la modellazione 3D. Per il momento, riesce solo a darti la taglia più adatta al tuo piede per poter ordinare le nostre scarpe prêt-à-porter online con certezza.” (Fabrizio

Rivolta, Calzoleria Rivolta)

Infatti, una volta che la Calzoleria Rivolta aveva modernizzato il primissimo passo del processo di realizzazione delle proprie calzature, si è resa conto che stava iniziando un percorso verso il continuo ammodernamento.

“Ci sono molte aziende che hanno implementato queste tecnologie dopo di noi e che ora le stanno sviluppando molto velocemente. Ciò che ci differenzia davvero è la qualità dei nostri prodotti, che deriva fondamentalmente dal metodo di produzione che non è mai stato modificato da quando abbiamo aperto, oramai più di un secolo fa.” (Fabrizio Rivolta, Calzoleria Rivolta)

Tra i produttori di scarpe che hanno intrapreso la strada della tecnologia nell’ambito della produzione, sarà sempre una corsa per acquisire o per sviluppare una tecnologia migliore, diventare più efficiente e – ceteris paribus – commercializzare il proprio prodotto ad un prezzo inferiore.

Pertanto, la scelta del non-cambiamento per quanto riguarda il processo produttivo tradizionale – contrariamente a quanto fatto in massa dai concorrenti – garantisce all’impresa focale un vero e proprio scudo contro l’obsolescenza. Una modernizzazione del processo produttivo di successo, infatti, non può essere raggiunta con un investimento una tantum: in uno scenario competitivo, l’impresa deve necessariamente sostenere l’innovazione per collocarsi alla frontiera dei progressi tecnologici così da garantirsi la sopravvivenza. Una linea di produzione di scarpe che oggi viene considerata avanzata (vale a dire, moderna) rischia di essere superata un domani. In altre parole, si pensi ad un’impresa che introduce una tecnologia al momento in cui questa è considerata avanzata. Una volta che detta tecnologia verrà sviluppata ulteriormente, o verrà superata da una nuova tecnologia in qualche modo superiore, qualora l’impresa in questione non dovesse impegnarsi in un continuo rinnovamento, finirebbe per avere dei macchinari obsoleti. Ciò implica che per un’impresa è necessario sostenere il processo di modernizzazione nel tempo, una volta avviato. Viceversa, quello che oggi è il processo di realizzazione tradizionale della calzatura, è probabile che rimanga il processo tradizionale di domani,

71 del resto come lo è stato per secoli. Da ciò discende che un’impresa che mantiene un processo di produzione tradizionale è in qualche maniera sgravata dall’onere dell’ammodernamento continuo per evitare che il proprio processo produttivo diventi obsoleto, in quanto esso, al contrario, rafforza la sua “tradizionalità” nel tempo.

P11: La decisione di mantenere invariato nel tempo il processo di produzione

tradizionale garantisce alle imprese optanti per il non-cambiamento un vero e proprio scudo contro l’obsolescenza, in quanto non devono preoccuparsi del fatto che il loro processo diventi obsoleto.

7. Discussione

Nell’ambito del presente studio, si è cercato di capire i) se le microimprese e le piccole imprese possano deliberatamente decidere di non modernizzare il proprio processo produttivo, e ii) in che modo il non- cambiamento si relaziona alla strategia d’impresa. A tal scopo, utilizzando un approccio induttivo allo studio dei casi multipli, si sono analizzati quattro casi estrapolati dal settore calzaturiero italiano, rappresentanti microimprese e piccole imprese che hanno deciso deliberatamente di non discostarsi dai metodi di produzione tradizionali.

In primo luogo, l’evidenza emergente dall’analisi dei casi suggerisce che le microimprese e le piccole imprese che privilegiano la qualità del prodotto tra le loro variabili obiettivo possono deliberatamente decidere di non cambiare il loro processo di produzione quando l’opportunità di cambiamento, sebbene in grado di aumentare la produttività e l’efficienza, e persino di innescare la crescita, provoca una diminuzione della qualità del prodotto (P8). È molto probabile che le decisioni di cambiamento differiscano da impresa a impresa, dal momento che i livelli di aspirazione, le prestazioni relative o persino le variabili obiettivo prioritizzate possono essere diverse tra loro. Si consideri ad esempio un insieme di imprese simili, nel quale alcune imprese decidono di ammodernare, e quindi scalare, la propria produzione e altre no. Alla luce dell’evidenza emergente dallo studio, è possibile notare come ci sarebbe una assumption piuttosto audace – ossia che le imprese abbiano le medesime priorità rispetto alle variabili obiettivo – nel considerare le imprese che non-cambiano il proprio processo produttivo come intrappolate per effetto di scarsità di risorse disponibili e inferiori capacità dinamiche. L’eccessiva enfasi sull’innovazione e sulla crescita di cui oggi ci ritroviamo ad essere testimoni fa sì che associazioni piuttosto azzardate quali “crescita-innovazione-successo” e “stasi-stagnazione-fallimento” possano emergere in modo esplicito o implicito, nonostante poggino sul medesimo audace presupposto sopradescritto. Da questo punto di vista, lo studio sottolinea in maniera evidente la necessità di prestare particolare attenzione nell’associare le piccole dimensioni a scarse capacità, specialmente in paesi come l’Italia dove il “nanismo” delle imprese è piuttosto diffuso.

In secondo luogo, i casi aziendali in esame suggeriscono che il non-cambiamento possa essere molto impegnativo, dal momento che le microimprese e le piccole imprese che decidono di non modernizzare il proprio processo produttivo tradizionale si ritroveranno con molta probabilità a dover difendere la propria autenticità (P9). Infatti, oggigiorno possiamo notare come i marketer siano costantemente impegnati a pubblicizzare il prodotto come autentico e, sebbene sia normalmente considerato controproducente, facendo leva sui segnali giusti può essere fatto con successo (Beverland et al., 2008). Conseguentemente, è molto probabile che i piccoli e i piccolissimi produttori tradizionali si trovino oscurati dalle cortine di fumo pubblicitarie delle imprese moderne più grandi, poiché ogni impresa produttrice di calzature cerca, a suo modo, di rivendicare il proprio legame con la lunga tradizione calzaturiera italiana. Questo non ha alcun effetto sugli attuali consumatori esperti, i quali possono facilmente riconoscere la qualità di un prodotto. Tuttavia, ciò potrebbe invece disorientare le nuove

72 generazioni di clienti interessati alla qualità e che saranno i “consumatori esperti” del futuro. Pertanto, i segmenti dei consumatori delle imprese tradizionali rischiano di essere fortemente erosi dai concorrenti più moderni nel corso tempo. Il ricorso a cambiamenti in altri elementi dell’architettura organizzativa, quali per esempio l’introduzione dell’eduselling nei meccanismi di value delivery del proprio modello di business, come osservato nel capitolo precedente, costituisce una potente arma di difesa che permette di fornire al consumatore gli strumenti conoscitivi necessari alla comprensione della qualità.

In terzo luogo, si è visto come uno dei vantaggi associati al non-cambiamento per quanto attiene alla modernizzazione del processo di produzione tradizionale è il conseguimento di una posizione competitiva più sicura di quella derivante dal cambiamento in tal senso, questo se la quota degli attori perseguenti la modernizzazione sul totale degli attori del settore e il decorso del tempo sono tali da rendere rare le conoscenze alla base della produzione tradizionale, la quale rimane a disposizione esclusiva dei pochi detentori che non cambiano (P10). Gli studi recenti relativi ai progressi e alla modernizzazione dei processi produttivi tipicamente esaminano le conoscenze all’interno del dibattito sul deskilling-upskilling (si veda, ad esempio, Heisig, 2009), cioè sulle probabilità per le quali, in uno scenario futuro caratterizzato dalle attività produttive dominate dalle macchine, la società andrà in contro all’impoverimento o all’arricchimento delle competenze rispetto alla pre-automazione del lavoro. Piuttosto che focalizzarsi su tale dibattito, nel presente capitolo si è utilizzata una chiave di lettura di tipo strategico sul know-how sotteso al processo di produzione tradizionale, da molti abbandonato. Lo studio evidenzia che la migrazione massiva verso le tecniche di produzioni più moderne ha reso tali conoscenze più rare, più preziose e certamente più difficili da acquisire, caratteristiche tipiche di una risorsa fonte di vantaggio competitivo (e.g. Barney, 1991).

Inoltre, l’evidenza emergente dai casi sottolinea che quando le competenze mantengono la loro legittimità nel mercato, nei casi trattati nel presente studio a causa della loro tradizionalità, difficilmente vengono perse. Al contrario, divengono fattori critici per il conseguimento di posizioni strategicamente vantaggiose e possono anche essere commercializzate attraverso l’offerta di corsi di formazione. Infine, un ulteriore vantaggio associato al non-cambiamento del processo di produzione tradizionale è che garantisce all’impresa un vero e proprio scudo contro l’obsolescenza, poiché il processo di produzione tradizionale difficilmente può diventare obsoleto (P11). Mentre le produzioni moderne