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Dai casi analizzati sono emersi cambiamenti importanti anche nell’ultimo elemento chiave del BM. In primo luogo, cambiamenti in tal senso sono riscontrabili a fronte dello sviluppo dei servizi agrituristici citati in precedenza. Si visto è come l’arricchimento della value proposition con il servizio di ristoro o di pernottamento possa essere considerata una forma di servitization, che si inserisce all’interno del

45 modello di business in maniera additiva e, quindi, non sostitutiva rispetto al principale modello di produzione-commercializzazione e del relativo revenue stream. Nello specifico, il fatto che venga aperto l’agriturismo nelle tenute della piccola impresa vitivinicola non implica di per sé la fine della produzione e vendita del vino per enoteche e ristoranti. Pertanto, il cambiamento nei meccanismi di monetizzazione non avviene in modo radicale come nel cosiddetto “from sell to rent”. Nei casi evidenziati, la monetizzazione del servizio erogato si aggiunge al metodo di monetizzazione preesistente.

P6: Le microimprese e le piccole imprese dei settori vitivinicolo e

calzaturiero innovano il proprio modello di business introducendo nuovi meccanismi di monetizzazione relativi ai prodotti e servizi complementari sviluppati internamente.

Tuttavia, un importante cambio di passo nei meccanismi di monetizzazione viene riscontrato nel caso di Velasca. Infatti, il cambiamento dei tempi di consegna dovuti al diverso meccanismo di value

delivery, di cui alla sezione precedente, è stata accompagnata da un ciclo finanziario molto più rapido

per le imprese artigiane partner.

“Oltre al fatto di aver aiutato molto dal punto di vista finanziario quello che è il ciclo finanziario dei nostri artigiani, non nego che alcuni di loro avevano dei debiti pregressi, dovuti al crollo del fatturato e alla non capacità di ripagare il debito contratto. Gli abbiamo dato una mano perché avevamo capitali in cassa derivati dai nostri aumenti di capitale, e quindi siamo riusciti, con il primissimo che ha creduto in noi, ad aiutarlo da questo punto di vista, gli abbiamo fatto ripagare il debito fungendo quasi da banca.”

(Jacopo Sebastio, Velasca)

Il più veloce ciclo finanziario permette una maggiore sostenibilità dell’impresa artigiana, che non deve quindi più ricorrere al supporto di istituti di credito.

“Ovviamente, all’inizio sono state poche paia e il business ci ha messo un po’ per partire. Però ci siamo trovati bene subito insieme, e loro mi hanno aiutato molto finanziariamente. Infatti, con il nuovo sistema loro riuscivano a pagare abbastanza velocemente, e quindi non ho più avuto bisogno di appoggiarmi a banche.” (Proprietario, prima impresa artigiana partner di Velasca)

In sintesi, da quanto sopraesposto discende la seguente proposizione:

P7: Le microimprese e le piccole imprese dei settori vitivinicolo e

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meccanismi di monetizzazione, attivando delle partnership con realtà innovative capaci di sfruttare al meglio i vantaggi dell’e-commerce, per questo in grado di accelerare il ciclo finanziario e di anticipare l’incasso sul venduto.

4. Discussione

I risultati dell’analisi qualitativa esposta nella sezione precedente evidenziano sette principali proposizioni riguardo i cambiamenti di tipo strategico-organizzativo attraverso i quali le imprese incluse nello studio hanno potuto innovare con successo i propri modelli di business. I casi precedentemente analizzati riguardano tutti delle microimprese e delle piccole imprese che nel loro ambito possono considerarsi di successo, nonché virtuose dal punto di vista dell’innovazione in tal senso. Alla base del loro successo sono rintracciabili alcune scelte ben precise che riguardano il cambiamento in uno o più elementi chiave del proprio BM. È proprio a partire dalla sistematizzazione di questi cambiamenti che la presente ricerca ha individuato sette principali leve a disposizione delle microimprese e delle piccole imprese per innovare il proprio modello di business. Queste possono essere divise in tre gruppi, ciascuno riferito ad uno dei tre elementi chiave del modello di business: i meccanismi di value creation, quelli di

value delivery e quelli di value capture.

Per quanto riguarda i meccanismi di creazione del valore, tre sono le leve utilizzate per generare dei cambiamenti tanto significativi da rappresentare un’innovazione del modello di business dell’impresa. La prima è il miglioramento del sistema produttivo (P1), che può avvenire a seguito dell’introduzione di tecniche produttive esistenti capaci di creare maggior valore rispetto a quelle impiegate, oppure attraverso lo sviluppo delle stesse realizzato internamente o in collaborazione con terzi. Gli approcci alla produzione e le tecniche produttive a cui si fa riferimento solitamente migliorano il sistema produttivo in termini di aumento della qualità del prodotto, ma talvolta sono associate anche alla diminuzione del costo dei fattori produttivi. Per implementazione di tecniche produttive capaci di creare maggior valore si intendono quelle tecniche che consentono l’innalzamento qualitativo dell’unità di prodotto. Si pensi, ad esempio, alla pratica del diradamento come osservato nel caso della Società Agricola Lazzari, che consente di innalzare la qualità del prodotto al costo di una resa totale inferiore. Questa operazione crea maggior valore in senso stretto per unità di prodotto, da intendersi come bottiglia di vino di maggiore qualità. Inoltre, l’introduzione di una singola tecnica contribuisce alla creazione di valore in senso più ampio, in quanto la valorizzazione di un territorio passa anche attraverso l’aumento della qualità (e quindi del prezzo) dei vini, il quale deriva a sua volta dall’aumento della qualità (e quindi del prezzo) dell’uva e che in ultima istanza determina l’aumento del valore dei terreni. Quest’ultimo aspetto, banalmente, è ciò che fa sì che il terreno vitato valga di più del medesimo terreno dedicato alla costruzione di un’abitazione, per esempio. Nuove tecniche produttive possono essere sviluppate internamente all’impresa, come nel caso del metodo di allevamento della vite denominato “controspalliera libera” de L’Archetipo, oppure attraverso la collaborazione con terzi, come nel caso dello sviluppo della tecnologia 3D per l’acquisizione della misura del piede del cliente sviluppato dalla Calzoleria Rivolta e dall’Università locale.

L’implementazione di migliori tecniche produttive non è sempre un’operazione confinata, in quanto spesso tali tecniche discendono dall’adozione di approcci produttivi più ampi. Nuovi approcci produttivi possono infatti contribuire all’aumento della qualità del prodotto, talvolta anche riducendo il costo dei fattori impiegati nella produzione nel medio termine. Esempi eclatanti sono quelli derivanti dai casi delle Tenute Dettori e de L’Archetipo, i quali, attraverso l’implementazione rispettivamente dell’agricoltura biodinamica e di quella sinergica, oltre a realizzare prodotti più naturali, quindi più sani e collocabili sul mercato ad un prezzo superiore, sono riuscite ad incrementare la biodiversità e la complessità dei propri ecosistemi naturali rendendoli più resistenti e quindi riducendo la necessità di

47 interventi, chimici, meccanici e/o manuali, per salvaguardare la salute delle piante e quindi la propria produzione. Se per Tenute Dettori il costo del diserbo si è praticamente azzerato spostando il pascolo degli ovini all’interno della vigna, lo stesso è avvenuto per l’Archetipo per quanto riguarda il costo dell’aratura, grazie alla massimizzazione della pedo fauna nei propri terreni, la quale svolge da sé la medesima funzione.

Oltre a creare maggior valore innalzando le caratteristiche qualitative più oggettive del prodotto, emerge dai casi che i nuovi approcci produttivi possono donare significati diversi e profondi ai prodotti, con questi ultimi che arrivano a configurarsi come veri e propri simboli culturali. È il caso della seconda leva a disposizione delle imprese per innovare il proprio modello di business intervenendo sulla componente di value creation, e che riguarda le caratteristiche più soggettive del prodotto (P2). Il valore del prodotto viene chiaramente attribuito dal consumatore nel processo di valutazione, e parte di questo valore può venire attribuito al significato e alla storia del prodotto. Per questo motivo, si è visto che il rinnovamento dell’essenza del prodotto in tal senso può costituire elemento di differenziazione verticale importante. Nei casi precedentemente richiamati, l’attribuzione di significato discende genuinamente dalle scelte produttive effettuate dalle imprese, per il semplice fatto che un prodotto tradizionale deriva da un processo tradizionale, come un prodotto naturale deriva da un processo di produzione naturale. La scelta di recuperare il sapere artigiano alla base delle tecniche di realizzazione della calzatura italiana tipico delle botteghe rinascimentali, piuttosto che quella di produrre il vino come si usava fare al tempo dei romani, donano al prodotto un significato diverso. Tale significato viene riconosciuto come elemento distintivo e valorizzato da un segmento sempre più ampio di consumatori. Questa è la ragione principale per cui se si volge lo sguardo al panorama delle imprese di qualsivoglia settore manifatturiero, sulla base dell’attività di storytelling messa in piedi da queste ultime sembrerà che tutto venga fatto a mano e tutto sia in qualche modo legato a una lunga tradizione. Tendenzialmente, tutte le imprese hanno interesse ad evocare tradizionalità e artigianalità nei propri prodotti, per il semplice fatto che si vendono di più; ma sono realmente poche le imprese i cui prodotti sono intrinsecamente tradizionali e artigianali: l’autenticità e l’unicità della scarpa fatta interamente a mano, che discende quindi dal processo produttivo, non è raggiungibile attraverso le sole operazioni di marketing.

La terza modalità di intervento nei meccanismi di creazione del valore è il collocamento del prodotto focale all’interno di una value proposition più ampia. (P3). L’evidenza alla mano mostra che questo tipo di cambiamento comporta essenzialmente lo sfruttamento di complementarietà che il prodotto focale ha con altri prodotti o servizi. Anche in questo caso, i prodotti o servizi complementari possono essere sia sviluppati internamente all’impresa che sfruttati attraverso rapporti di collaborazione con terzi. Per quanto riguarda lo sviluppo interno di nuove linee di business complementari è il caso della struttura ricettiva di Vigneto San Vito, per esempio, come quello dell’agriturismo di Tenute Dettori e de La Distesa, attraverso cui è possibile fornire un’esperienza enogastronomica ed enoturistica più ampia che contribuisce alla valorizzazione del prodotto core. Per ciò che concerne invece lo sfruttamento di complementarietà attraverso le partnership con terzi, le imprese focali intrattengono dei rapporti di collaborazione con terzi come nel caso di Vinum Hotels Südtirol, dove le cantine lavorano a stretto contatto con alcuni degli alberghi associati a Vinum Hotels per lo sfruttamento delle sinergie scaturenti dalla collaborazione a beneficio di entrambe le parti. Riguardo la collaborazione per l’arricchimento della value proposition complessiva, il caso di Winedering evidenzia come tale tipo di collaborazione possa essere anche poco onerosa per le cantine in termini organizzativi, in quanto, divenendo partner di Winedering, hanno la possibilità di essere inserite in un pacchetto turistico più ampio, che prevede per i clienti la visita ad altre cantine o ad altri centri di interesse, senza che si debbano interfacciare direttamente con il resto degli attori coinvolti. Sempre riguardo lo sfruttamento delle complementarietà con il prodotto focale, si è evidenziata la possibilità di creare un’ulteriore value

proposition ben distinta da quella esistente. Si richiama il caso della Stefano Bemer, la quale ha iniziato

a offrire dei corsi di formazione al pubblico facendo leva sulle conoscenze che stanno alla base della realizzazione del proprio prodotto focale.

48 Per quanto attiene invece al secondo elemento chiave del BM, che riguarda appunto i meccanismi di value delivery, vi sono altre due leve utilizzate per generare dei cambiamenti tanto significativi da rappresentare un’innovazione del modello di business dell’impresa.

La prima è rappresentata dall’eduselling, ovvero la progettazione e l’implementazione di strategie di vendita che consentano l’erogazione di un servizio di formazione volto a fornire ai clienti le conoscenze necessarie ad apprezzare meglio il prodotto che viene loro proposto (P4). Diverse sono le imprese incluse nello studio le quali sentono la necessità di fornire gli strumenti conoscitivi ai clienti per poter valorizzare al meglio il proprio prodotto. Si è discusso il caso di Vigneto San Vito, per esempio, che lavora a stretto contatto con alcuni ristoratori per far comprendere ai consumatori la ricchezza di certi prodotti coltivati con dei metodi naturali, ma anche quello di Stefano Bemer, che ha organizzato i propri spazi per facilitare il trasferimento di tale tipo di informazione verso il cliente. L’artigiano che realizza la calzatura di fronte ai clienti è in grado di spiegare loro perché è bene utilizzare determinate tecniche produttive piuttosto che altre, i vantaggi derivanti dall’utilizzo di certi materiali, la storia della calzatura, e così via. Un consumatore informato realizza scelte più consapevoli, e a tal proposito l’eduselling viene utilizzato dalle microimprese e dalle piccole imprese per far emergere i propri prodotti dalle “cortine fumogene” create da chi ha ben altri budget per l’attività di comunicazione e che cerca attraverso quest’ultima di arricchire l’essenza dei propri prodotti.

La seconda leva riguarda l’attivazione di rapporti di collaborazione con imprese terze le quali sono capaci di sfruttare al meglio gli avanzamenti della tecnologia digitale, e per una maggiore visibilità o per lo sbocco su nuovi mercati, e per l’accorciamento della catena del valore (P5). A tal riguardo, sono stati presentati i casi di Tannico e Velasca, due start-up che hanno permesso alle microimprese e alle piccole imprese partner di innovare radicalmente i propri meccanismi di value delivery. Tannico permette anche alle cantine più piccole di far arrivare i propri prodotti in mercati altrimenti difficilmente raggiungibili, nonché di poter implementare un servizio e-commerce direct-to-consumer nel proprio sito web usufruendo di un supporto logistico e amministrativo completo. Velasca ha saputo realizzare una BMI a livello inter-organizzativo mettendo insieme la capacità produttiva delle imprese artigiane partner, ma soprattutto disintermediando la catena del valore normalmente utilizzata nel settore, la quale prevede prima i grossisti e poi i negozi multimarca a fare da tramite tra i produttori e i consumatori finali. Al contrario, le calzature Velasca vengono vendute online, quindi attraverso il sito web, attraverso un solo passaggio diretto, effettuato dall’operatore logistico, dal produttore al consumatore. Per quanto riguarda il terzo e ultimo elemento essenziale del BM, ovvero i meccanismi di monetizzazione attraverso i quali un’impresa si appropria di parte del valore creato, sono altre due le leve utilizzate per generare dei cambiamenti tanto significativi da rappresentare un’innovazione del modello di business dell’impresa.

La prima consiste nell’introduzione di nuovi meccanismi di monetizzazione relativi ai prodotti e servizi complementari sviluppati internamente (P6). Si è visto che alcune delle microimprese e delle piccole imprese incluse nello studio hanno sviluppato nuove linee di business complementari a quella focale, funzionali all’arricchimento della value proposition complessiva, e condensati nella proposizione numero tre. Ebbene, una prima innovazione nei meccanismi di monetizzazione discende direttamente da questo tipo di intervento nelle modalità di creazione di valore, e consiste nella monetizzazione di tali prodotti e servizi complementari. Nei casi richiamati in precedenza, i servizi di ristoro e di pernottamento si configurano come nuove fonti di reddito, con dei meccanismi di monetizzazione propri che si vanno a sommare a quelli preesistenti. Nello specifico, la somministrazione del cibo e del vino, come la fornitura del servizio di pernottamento, si aggiunge alla normale commercializzazione del vino in bottiglia. Stessa cosa per il caso di Stefano Bemer: aggiungendo l’erogazione della formazione, la Stefano Bemer aggiunge un nuovo metodo di monetizzazione del valore creato direttamente e connesso a tale tipo di attività, ovvero la quota di iscrizione al corso di formazione. Riguardo tale intervento nei meccanismi di monetizzazione, tuttavia, è importante notare come nei casi studiati non si sia trovata

49 evidenza di una radicale trasformazione. Ciò è principalmente ascrivibile al fatto che nessuna delle imprese coinvolte nello studio ha effettuato la cosiddetta “servitizzazione” in maniera completa, ma limitando l’aggiunta di un’offerta di servizi parallela all’attività preesistente.

Un altro rilevante cambiamento nelle modalità di monetizzazione emerso dall’analisi dei casi discende dall’attivazione delle partnership con realtà innovative capaci di sfruttare al meglio i vantaggi dell’e-

commerce, per questo motivo in grado di accelerare il ciclo finanziario e di anticipare l’incasso sul

venduto (P7). Nel caso di Velasca, le imprese calzaturiere partner hanno beneficiato anche dal punto di vista finanziario della disintermediazione della catena del valore. Infatti, la velocizzazione del ciclo produzione-vendita ha consentito l’anticipazione del momento di incasso. Il metodo di vendita online, come osservato, ha inoltre ridotto la stagionalità della produzione, diluendo i picchi di produzione e aumentando i momenti di incasso durante l’arco dell’esercizio.

È importante notare come i cambiamenti negli elementi chiave del BM non avvengano in silos, in quanto risultano legati da forti relazioni di interdipendenza. Si richiama il caso Foradori, per esempio, la quale per vendere il proprio prodotto assieme alla sua storia è costretta a cambiare gli importatori esistenti e conseguentemente anche molti clienti aziendali quali ristoranti ed enoteche, lavorando con loro per portare il messaggio di naturalità e di rispetto per la natura acquisito dal prodotto fino al consumatore finale. Senza il cambiamento dell’approccio produttivo non sarebbe stato necessario, né tantomeno sarebbe stato utile, sostituire gli importatori esistenti. Allo stesso modo, la mancata ricerca di nuovi importatori con determinate caratteristiche a fronte del cambio di approccio produttivo avrebbe ostacolato il trasferimento del nuovo significato acquisito dal prodotto fino al consumatore finale. Ancora, l’introduzione dei corsi di formazione per divenire artigiani effettuata dalla Stefano Bemer ha comportato l’aggiunta di un nuovo e relativo meccanismo di monetizzazione di tale valore creato. Tali cambiamenti non evidenziano esclusivamente forti interdipendenze tra i diversi elementi chiave del BM, in quanto un certo tipo di cambiamento all’interno di un elemento può comportarne di ulteriori nel medesimo meccanismo. Ad esempio, l’adozione di processi di produzione tradizionali non solo assicura una più alta qualità del paio di calzature (i.e., miglioramento dei sistemi produttivi), ma dona allo stesso attributi come quelli di unicità e tradizionalità (i.e., rinnovamento dell’essenza del prodotto).

Alla luce di quanto evidenziato nel presente lavoro nell’ambito della produzione di vino e calzature in pelle, non può sicuramente sfuggire la necessità di considerare tali forme di innovazione portate avanti dalle microimprese e dalle piccole imprese operanti in quei settori cosiddetti maturi. Se codesti settori sono fisiologicamente caratterizzati da una pronunciata lentezza dal punto di vista dell’avanzamento tecnologico rispetto ai settori high-tech, il presente lavoro ha evidenziato che non necessariamente sono da considerarsi meno interessanti per quanto attiene all’innovazione strategico-organizzativa. In particolare, le imprese di successo incluse nello studio hanno evidenziato sette principali modalità di cambiamento negli elementi chiave del business model per la realizzazione di una BMI. Tale tipo di evidenza pone la prima pietra per la ricerca futura, che a partire dai risultati di questo studio potrebbe ambire alla realizzazione di una tassonomia di innovazione strategico-organizzativa nei settori del made

in Italy. Le leve del cambiamento identificate nello studio potrebbero essere utilizzate come punto di

partenza per la realizzazione di un questionario da somministrare auspicabilmente all’intero comparto manifatturiero, in maniera da poter meglio quantificare l’incidenza di questo tipo di innovazione per settore o per tipo di impresa.

Un’ulteriore considerazione, inoltre, deve essere fatta relativamente alle modalità di sfruttamento delle nuove tecnologie digitali da parte di questo tipo di imprese. Le microimprese e le piccole imprese calzaturiere e vitivinicole incluse nello studio hanno sfruttato individualmente le tecnologie digitali per quanto attiene alla comunicazione e alla visibilità, ma anche allo sbocco su canali online. La Stivaleria Mercurio, ad esempio, utilizza il proprio sito web prevalentemente per indicare ai clienti il proprio recapito telefonico e l’indirizzo della bottega, mentre Federico Badia, Stefano Bemer, e Calzoleria

50 Rivolta lo utilizzano anche per l’e-commerce. Occorre tuttavia sottolineare che alcune imprese, magari i cui prodotti risultano essere meno ricercati, nonostante si fossero da tempo dotate di strumenti digitali proprietari, necessitavano di attivare una collaborazione con imprese terze capaci di sfruttare al meglio