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Il paesaggio tra percezione, conservazione e valorizzazione

2. Il paesaggio: Teoria, pianificazione, partecipazione

2.3 Il paesaggio tra percezione, conservazione e valorizzazione

È possibile, in virtù di quanto proposto nel paragrafo precedente, distinguere il paesaggio naturalistico – ambientale da quello urbano; il paesaggio agricolo rispetto a quello rurale, quello caratterizzato dal prevalere di testimonianze storico – culturali del paesaggio caratterizzato da infrastrutture o manufatti industriali. In questi diversi contesti il singolo individuo in base alle diverse impressioni da esso percepite può riscoprire il senso dell’armonia e dell’equilibrio, praticamente del bello.

Difatti quando si parla di paesaggio interiore viene esaltato l’aspetto relativo alla percezione e lo stretto legame che viene ad instaurarsi fra elementi visibili e i sentimenti che scaturiscono nell’osservatore dalla loro visione. La percezione nasce proprio da specifiche sensazioni legate fortemente al paesaggio e spesso “persistono indelebilmente anche nel ricordo” (Cundari 2010, p.82). Infatti secondo Cundari da un punto di vista scientifico viene ad instaurarsi un forte legame, un unicum fra territorio e popolazione che lo vive, così da generare in ogni regione un vero e proprio paesaggio, che non potrà essere lo stesso se si prende in riferimento altra popolazione o altra porzione di territorio. C’è quindi un forte legame anche fra evoluzione sociale e organizzazione del territorio che genera impatti ambientali più o meno positivi, differenti in relazione al tempo e allo spazio. Come sostenuto da Cundari “oggi si è affermata pienamente l’idea di paesaggio come elemento unificante e caratterizzante di un territorio e della sua identità, nata proprio dalla combinazione dei diversi significanti”(Ibidem).

Il tema del rapporto fra paesaggio e osservatore, come osservato da Cundari è “complesso e controverso”, ed è stato affrontato da diverse discipline come la filosofia, l’etica, geografia, sociologia, architettura, economia, scienze naturali ed ambientali (Ibidem); al riguardo. Per Soja sussistono tre livelli di percezione dell’ambiente; Soja distingue tre spazi. Un primo spazio è definito “spazio vissuto”che è costituito dall’ambiente fisico con cui l’uomo interagisce, e pertanto

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caratterizzato da dalle componenti naturali o costruite. In questo spazio viene a definirsi una prima percezione relativa alle risorse individuali di un soggetto e al suo “auto – posizionamento nella società”. l’importanza di questo primo livello risiede nella capacità di lettura dei rapporti sociali che vengono a manifestarsi nello spazio. Un secondo livello di percezione è rappresentato dallo spazio percepito, caratterizzato da tutte quelle azioni con cui l’individuo elabora l’ambiente sulla base delle proprie esperienze e delle proprie aspirazioni personali. Si tratta di una dimensione esplorata dall’urbanistica d’ispirazione sociologica, uno spazio delle relazioni affettive, delle narrazioni dei luoghi che “contribuiscono alla definizione identitaria individuale”. Il terzo livello di percezione è dato dallo “spazio concepito”, sintesi dei primi due livelli di percezione individuale (Magnier 2013, p.48). Questo terzo spazio si caratterizza dalla confluenza del reale e dell’immaginazione, divenendo spazio delle aspirazioni degli individui e dei gruppi, e diversamente dai primi due livelli che possono essere esplorati da diverse discipline, quest’ultimo assume, secondo Magnier, un ruolo centrale per l’indagine sociologica e “appare di sua esclusiva proprietà” (Ivi, p.49). Nel rapporto uomo – paesaggio come evidenziato da Pierre George, vi è un fattore che rappresenta una dimensione imprescindibile per l’attività percettiva umana, vale a dire il fattore tempo dato che l’uomo, nell’osservare il paesaggio, pone la sua attenzione su una determinata porzione di spazio in “una breve proiezione di tempo”.

“Sembra che l’uomo abbia dimenticato che allontanarsi dal silenzio è pericoloso e devastante, e che sicuramente il silenzio astrale che lo accoglierà nelle sue fughe spaziali lo indurrà a nuove rimeditazioni sul tempo, sulla morte, il sacro, che oggi, forse perché preso nel vortice del mondo tecnologico e rumoroso, ha smesso di fare, adattandosi ad una esistenza vissuta in forme banalizzate dell’uso delle macchine e dell’agire indotto. Oggi poi il rumore non è più solo puntuale, ma diffuso, perché si è affermato l’uso dell’energia trasportabile, che reca rumori dappertutto, li moltiplica in rapporto alla vasta gamma degli usi energetici, per cui il loro sommarsi produce alla fine il grande rumore d’oggi, che non è più brusio sommosso della vita, del fare animale, attivo e incessante, ma continua esplorazione energetica per far funzionare la Megamacchina messa in movimento dall’uomo. Esplosione energica o grande rumore, si direbbe, prodotti da un uomo che ha dimenticato che il rumore è difetto, che allontanarsi dal silenzio può essere pericoloso e devastante” (Turri 2010, p.31).

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L’uomo è quindi in grado di produrre quello che Turri definisce rumore, con una capacità che non è riscontrabile in nessun altro essere vivente (Ibidem). Turri evidenzia come oggigiorno l’uomo tenda a costruire paesaggi sempre più adatti alla sua misura. Si tratta di paesaggi dell’urbanesimo, della mobilità, in opposizione a quei paesaggi definiti “naturali”che sono distanti dal proprio modo di vivere. L’uomo pre - moderno ha cercato di costruire i propri paesaggi armonizzando il proprio agire con la natura, evitando dispendi di energie. Ma come Turri specifica “oggi si costruisce secondo leggi della redditività economica, e non ci sono altre istanze che entrano nella costruzione dei paesaggi e delle stesse architetture. Concepiti per soddisfare l’hic et nunc, non per lasciare ai posteri e alle generazioni successive un segno del proprio rapporto con il tempo e lo spazio. Il tempo ricondotto al presente. Da ciò rumore e disarmonia: il difetto”(Ivi, p.38). Si intende evidenziare in questo modo la scarsità di corrispondenza fra ordine della natura e azioni dell’uomo, corrispondenza da intendersi come “disordine o non adesione”(Ibidem).

Turri riporta differenti esempi per far comprendere questa disarmonia che viene a costituirsi nel paesaggio post moderno, come “quelli in cui si trovano affastellate le opere di ieri e quelle di oggi, il capannone che violenta l’ordine del paesaggio plasmato intorno alla chiesa romanica nelle nostre campagne, la cava che sfregia il borgo antico o aperta accanto al castello medievale, l’urbanizzazione che sormonta le dolci colline del veneto ecc.”, creando così disordine con una serie di opere che non tengono conto del tempo e della storia, venendo a costituirsi – secondo una similitudine espressa da Turri medesimo - gli stessi effetti che rumori estranei possono generare ad una determinata musicalità (Ibidem). Generalmente quando si parla di paesaggio si fa riferimento a tutti gli elementi che si trovano nel suolo, quindi ai luoghi in cui l’uomo opera, crea il suo abitare, vive.

Nei suoi lavori Turri non si limita ad osservare le opere che non tengono conto del tempo e della storia, ma si concentra anche sullo studio degli elementi che, pur occupando gran parte del globo non vengono considerati paesaggi, come per esempio il mare, di cui può essere ritenuto come componente del paesaggio la parte a contatto con ecosistemi terrestri come le aree costiere. È ancora più raro che venga

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considerato come componente del paesaggio il cielo per il fatto che viene ritenuto vuoto ed estraneo all’uomo, pertanto “inattingibile, indescrivibile, irrappresentabile”. Secondo Turri oramai il cielo dovrebbe rientrare nella “visione del paesaggio”. Per il geografo la presenza di aerei, di satelliti e corpi artificiali non renderebbero più il cielo così estraneo alle interazioni con l’uomo. Se a questo si aggiunge la constatazione che “spazi della vita vegetale, animale e umana non può esistere senza cielo” e che “è riempito dalle emissioni provenienti dal suolo: dal vapore acqueo, che da forma alle nuvole, ad altre esalazioni atmosferiche, dal pulviscolo eiettato dai vulcani ai materiali e ai gas sollevati dalle attività dell’uomo”(Ivi, p.42) il cielo meriterebbe senza ombra di dubbio di essere ritenuto componente del paesaggio al pari di altri elementi presenti nella superficie terrestre. È utile precisare come, a favore di questa tesi, molte culture che hanno dato forma alle visioni del mondo si sono basate sulla percezione del cielo, non soltanto in riferimento alla “percezione del divino”, ma anche per orientare i propri comportamenti sulla Terra su ispirazione di credenze mistiche e religiose (Ivi, 44).

“Così un paesaggio osservato in un momento in cui in esso è tutto fermo, senza i suoi consueti protagonisti, esprime, nel suo ristare saliente, la sua essenza di spazio marcato da segni (tali diventano i suoi vari elementi componenti), mentre il movimento e il rumore che si accompagna alla loro presenza e al loro vivere quotidiano ridesta il contingente, ci distrae dalla percezione del paesaggio come sistema di segni il quale è il risultato di un processo, di una storia, di una serie di eventi accaduti in tempi passati”(Ivi, p.73).

Turri si riflette anche su un altro aspetto relativo alla percezione del paesaggio vale a dire la percezione del tempo che hanno gli uomini. Vi possono essere differenti modi di relazionarsi al paesaggio; più dettagliatamente, se un paesaggio venisse osservato in una fase evolutiva, l’uomo riuscirebbe a viverne solo l’evento dinamico. Diversamente, se costui osservasse il paesaggio nella sua staticità riuscirebbe a comprendere che i vari “oggetti del paesaggio” non sono altro che il risultato della storia e del tempo.

Ogni paesaggio secondo Turri è:

“Il prodotto del tempo lungo, della storia della natura e della storia dell’uomo, sia pure questa su ritmi tanto più rapidi. Ma tutto ciò è una dimensione invisibile del

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paesaggio. di esso cioè non vediamo ne abbiamo visto gli avvenimenti geologici che lo hanno formato come palcoscenico naturale ne gli uomini che, in un passato più o meno recente, lo hanno segnato del loro lavoro, i contadini che vi hanno inciso il loro marchio, i tecnici e gli architetti che lo hanno pensato […]senza dimenticare ovviamente le generazioni che lo hanno conosciuto, contemplato, segnato nel loro vivere quotidiano, lasciandovi i segni, anche minimi, delle loro piccole e grandi azioni, cogliendovi i sapori, le armonie e le dolcezze che possano dare cose e forme che magari a noi, oggi, non dicono nulla o ben poco. Questo è il paesaggio invisibile che sta sotto il paesaggio visibile (Ivi, p.74).

Anche se il paesaggio viene percepito a livello locale, secondo Turri esso rappresenta una manifestazione di un’organizzazione eco sistemica o economico - culturale che si ritrova a livello regionale o comunque oltre il locale, in uno spazio ben più ampio di cui il locale rappresenta una sua “parte organica”. Indipendentemente che si tratti di segni visibili o invisibili, quelli che sono realmente importanti per le popolazioni di un dato paesaggio sono quelli più impressi nella loro mente, relazionati ai loro sentimenti, in un rapporto uomo – paesaggio che rinvia a tutti quegli elementi inscritti nel paesaggio medesimo ma non sempre di facile comprensione, e quindi agli aspetti esperienziali quali fantasie, sofferenze, vicissitudini sia storiche che morali (Ivi, p.79). Ne sono esempi i confini che suddividono gli spazi del vissuto; si tratta di elementi del paesaggio invisibile che non necessitano di elementi visibili tanto incisivi per la suddivisione degli spazi.

“La visibilità degli oggetti paesaggistici non dipende tanto dalla loro evidenza o voluminosità. Il paesaggio, anche il più esplicitato in senso esteriore, percettivo, è il risultato di una lettura soggettiva, che da un risalto tutto particolare agli oggetti”

(Ibidem).

Il paesaggio si configura dunque come un processo mutevole, che si evolve, costituito da diversi elementi interrelati tra loro, naturali ed umani, fisici e biotici. Tali elementi dinamici vengono sottoposti a continui scambi e relazioni che devono essere guidati da appropriati strumenti urbanistici.

Difatti, compito della pianificazione del territorio, sia a livello organizzativo sia a livello progettuale, è quello di adottare strumenti adatti agli obiettivi prefissati secondo linee di intervento in sintonia con le evoluzioni innate nel processo mutevole del paesaggio (Panuccio 2007). il paesaggio è quindi un sistema dinamico

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di ecosistemi e antroposistemi che sono continuamente in interazione e in trasformazione comprendente tutti gli elementi viventi che compongono la superficie della Terra, e quindi tutti gli elementi della sfera naturale e di quella umana, configuarandosi come “l’aggregazione a più elevato grado di organizzazione degli elementi”(Romani 2008, p.47) costituito da sistemi dinamici di ecosistemi in continua evoluzione (Ibidem).

Per fare ciò, il Codice dei beni culturali e del paesaggio disciplina che le Regioni adottino gli strumenti di pianificazione necessari per assicurare che tutto il territorio sia adeguatamente salvaguardato. Sulla base di quanto osservato il paesaggio quindi non può essere cristallizzato data la sua natura dinamica, concezione che dovrebbe essere presa in considerazione da tutti i soggetti che intervengono su di esso dai vari livelli sia da coloro che propongono nuove forme di paesaggio spesso “prive di significato, perché anacronistiche” (Cundari 2010, p.83). Esistono effettivamente dei forti legami fra conservazione e valorizzazione. Infatti nell’ultimo decennio le sollecitazioni per favorire la valorizzazione del patrimonio culturale sono aumentate notevolmente ritenendo che essa possa essere uno strumento di sviluppo economico.

Da osservare come, secondo Donato e Badia, dietro il termine valorizzazione possono nascondersi intenti che sono distanti da tale concetto, basti pensare a come siano stati deturpati paesaggi storici e naturalistici a causa di pesanti interventi edilizi. In questo caso, più che al processo di valorizzazione si assiste ad un fenomeno di “monetizzazione”del patrimonio culturale a vantaggio di pochi soggetti e discapito della collettività e delle future generazioni. Nel lavoro degli autori la valorizzazione viene intesa come la capacità di poter attuare tutta una serie di iniziative volte al miglioramento e rafforzamento della conoscenza e del valore identitario del patrimonio culturale per la comunità locale. La valorizzazione ha come suo fine l’intento di trasmettere alle generazioni future il bene culturale nelle medesime o migliori condizioni (Donato, Badia 2008, p.4). I due approcci, conservazione e valorizzazione, non dovrebbero essere separati, bensì integrati. Difatti le iniziative di tutela e conservazione rappresentano “tipicamente la base

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indispensabile per poter realizzare iniziative di valorizzazione durature nel tempo” a tal punto che “non è possibile individuare un vero e proprio confine tra ciò che è attività di conservazione e ciò che è attività di valorizzazione” (Ivi, p.8).

La conservazione e valorizzazione – la contrapposizione delle due attività è presente nel’assetto normativo e istituzionale dell’Italia – dovrebbero essere considerate con un “approccio unico e integrato” e non separatamente. Sia la tutela che la conservazione rappresentano le basi su cui poggiano le attività di valorizzazione durature nel tempo. Non a caso, i processi di valorizzazione, che risaltano l’importanza del patrimonio culturale e del paesaggio per un territorio, fanno emergere l’importanza di attivare iniziative di tutela e conservazione dei beni. Pertanto secondo Donato e Badia “si ritiene necessario superare la separatezza tra gli orientamenti volti alla conservazione e quelli volti alla valorizzazione, intervenendo sul piano concreto in termini complementari e sinergici” (Ivi, p.207).

Anche per Cundari non è possibile prescindere la tutela dalla valorizzazione perché solo attraverso delle azioni orientate a mettere in rilievo le problematiche ed emergenze ambientali, paesaggistiche, culturali, urbane, storiche e relative alle attività produttive tradizionali sarà possibile conseguire le aspirazioni del paesaggio. E’ importante rimarcare come, secondo Cundari, la questione del ritenere il paesaggio un bene pubblico è strettamente connessa a tutti quegli interventi portati avanti in virtù di una valorizzazione tesa a favorire cementificazione, snaturamento a favore del turismo e a discapito della sostenibilità con conseguente privatizzazione di “paesaggi pubblici” per via di una politica che per conseguire i suoi obiettivi fa leva su compromessi di diversa natura mediante tali opere distruttive del paesaggio (Cundari 2010, p.74).

Come definito dal Rapporto Brundtland nel 1988 lo sviluppo si configura come sostenibile quando è in grado di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere quelli delle generazioni future. Il fenomeno del turismo è alimentato anche dal modello consumistico, ma deve basarsi sui valori sia della qualità sia su quelli della sostenibilità (Zago 2012, p.158). Ritengo che i paesaggi abbiano un ruolo determinante nel futuro e nello sviluppo turistico. Come sostenuto da Zago, i luoghi

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possono generare atmosfere, sensazioni, emozioni, dando forma ad una geografia emozionale in cui i paesaggi naturali e luoghi urbani favoriscono la nascita di “atmosfere dell’animo”(Ivi, p.159). Autenticità e sostenibilità sono indispensabili per favorire un turismo attivo mediante l’osservazione dei luoghi anche grazie a guide turistiche, mentre creano anche turismo ecologico rivolto verso l’osservazione di aree naturali, la conservazione dell’ambiente aumentando il benessere delle popolazioni locali, nonché turismo responsabile, che rispetta l’ambiente e le culture garantendo giustizia sociale ed economica (Ivi, p.160).

Il paesaggio, data la sua natura dinamica e considerato quanto detto fino ad ora, non può essere cristallizzato; si tratta di una concezione che dovrebbe essere presa in considerazione da tutti i soggetti che intervengono su di esso dai vari livelli sia da coloro che propongono nuove forme di paesaggio spesso “prive di significato, perché anacronistiche”. Pertanto è comprensibile e importante lo sforzo della Convenzione nell’intento di favorire il coinvolgimento delle comunità e ad una loro responsabilizzazione (Cundari 2010, p.84). A giudizio di Donato e Baida, la stessa valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio39 necessita di approcci orientati “dal basso verso l’alto”e quindi fondati su concetti di partecipazione, trasparenza, identità locale. Nelle politiche di valorizzazione (Donato, Badia 2010, p.9) affinché vi siano scelte gestionali appropriate dei siti culturali e del paesaggio, è opportuno riflettere sulle tipologie dei servizi, sulle scelte relative al rafforzamento delle identità locali, alla partecipazione e coinvolgimento delle comunità locali e alla comunicazione verso l’esterno come il caso delle politiche di sviluppo finalizzate a favorire il turismo qualificato (Ivi, p.12).

La legge n. 1089 del 1939, la cosi nota legge Bottai, attribuiva importanti disposizioni – di rilievo nazionale - disposizioni in merito alla sola tutela e

39 Donato e Baida nel loro lavoro “La valorizzazione dei siti culturali e del paesaggio, una prospettiva

economico aziendale” per “siti culturali e del paesaggio “ intendono specifici beni culturali

caratterizzati da una certa omogeneità ed estesi per aree territoriali molto ampie di cui ne divengono elementi rappresentativi. A tale descrizione corrispondono differenti casi tra cui: territori caratterizzati dalla presenza di ville o dimore storiche con medesimi profili artistici e architettonici similari; profili architettonici e artistici differenti ma riconducibili da un punto di vista sociale, economico, culturale e politico ad uno stesso contesto; Aree geografiche con caratteri ambientali e naturalistici fortemente relazionate all’azione economica dell’uomo (Donato, Badia 2008, p.3).

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conservazione, senza però fare alcun riferimento agli aspetti relativi alla valorizzazione (Ibidem). Sulla base di alcune riflessioni proposte da Turri, I paesaggi d’Italia oggi vengono violentati e disarticolati per via di interventi basati solo su calcoli economici, inseriti in alcuni contesti senza tener conto della realtà che li caratterizza, del Genius loci, della storia della natura, degli uomini, delle memorie, insomma delle storie che i paesaggi raccontano (Turri 2010, p.82). Negli spazi dove