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Il ruolo della partecipazione nelle pratiche di governo del territorio

1. Governance, partecipazione e democrazia

1.3 Il ruolo della partecipazione nelle pratiche di governo del territorio

constatazione che una politica pubblica non può essere realizzata da un unico decisore, ma da più individui o gruppi di individui. Vero è che la politica è fatta di conflitti, e che dunque inizialmente gli oppositori possono essere ritenuti come portatori di valori poco condivisibili; in un momento successivo, vi può essere la constatazione che alcuni di questi valori non sono inaccettabili, e dunque è difficile negare che le controparti abbiano effettivamente delle buone ragioni. La partecipazione è indissolubilmente legata al conflitto, dimensione che secondo Weber non può essere esclusa dalla vita sociale ma che rappresenta secondo Park un indice di condotta razionale; infatti il componente della Scuola di Chicago ritiene “dove c’è conflitto c’è comportamento cosciente e autocosciente”(Belloni, Davico, Mela 2003, p.109) . in risposta a queste visioni una matrice funzionalista11 – di

11

Belloni Davico e Mela evidenziano come un’altra componente funzionalista invece sostenga come il conflitto sia necessario al cambiamento e pertanto indispensabile alla vita stessa dei sistemi sociali; studiosi del calibro di Coser e Dahrendorf individuano favorevole una condizione di conflitto rispetto

I processi partecipativi nelle politiche del paesaggio: il caso della pianificazione paesaggistica della Sardegna Tesi di Dottorato in Scienze Sociali – Indirizzo in Scienze della Governance e dei Sistemi Complessi

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corrente liberal conservatrice – sostiene che il conflitto sia un male del corpo sociale e che in quanto “potenzialmente disgregante”, e attribuisce al sociologo il compito di “curare il corpo sano della società”predisponendo tutta una serie di interventi volti a ridurre il rischio di generazioni conflittuali e di “devianza delle norme sociali”(Ibidem).

Una seconda condizione più frequente ma difficile da valutare, riguarda il caso dei conflitti espliciti e di quelli potenziali: nel primo caso, gli interlocutori sono già comparsi e hanno mostrato le proprie ragioni con la possibilità di compiere delle valutazioni. Nel caso dei conflitti potenziali invece, gli interlocutori non sono emersi, e si potranno solo prevedere delle reazioni negative, senza comprendere quando e con quale intensità si manifesteranno (Bobbio 2004, p.17). Un altro problema concerne il potenziale organizzativo degli attori coinvolti; difatti molti di loro non solo hanno differente bagaglio culturale, ma anche capacità organizzative non omogenee, generando talvolta asimmetrie informative (Russo 2009, p.47).

A questo punto è opportuno riflettere su quali possano essere le motivazioni che portano a fare in modo che possa essere implementato un processo partecipativo all’interno delle pratiche di definizione delle politiche pubbliche. In verità vi sono due motivazioni al riguardo: la prima, che vede nella partecipazione un basamento del processo democratico, garantendo trasparenza al processo medesimo; una seconda motivazione invece, trova nella partecipazione uno strumento adeguato per la realizzazione e definizione delle politiche in maniera efficace.

Anche secondo Dente, la partecipazione può essere considerata come uno strumento di innovazione nelle politiche, in grado di arricchire notevolmente l’agenda pubblica di nuove proposte provenienti da diversi soggetti. Lo stesso Dente, osserva che con la partecipazione viene sì a realizzarsi un panorama variegato di nuove idee e proposte, ma è anche necessario che tali proposte vangano poi concretamente realizzate, diventando così operative, ponendo le basi per favorire l’interazione, il coinvolgimento di tutte le parti interessate, al fine di realizzare una

ad una che predilige l’indifferenza sociale o fuga dalla realtà da parte di gruppi sociali o singoli soggetti (Belloni, Davico, Mela 2003, p.109).

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visione condivisa dell’obiettivo prefissato in relazione alla politica da attuare (Debernardi, Rosso 2007, p.67).

La proliferazione di pratiche partecipative attivate nei piani di sviluppo locale, nella pianificazione territoriale e riqualificazione urbana è talmente diffusa negli ultimi anni a tal punto poter identificare questa evoluzione come una “nuova stagione della pianificazione” (Ivi, p.112). Alla diffusione delle pratiche di partecipazione nei processi decisionali contribuiscono da una parte la crisi del modello di politiche di pianificazione “calate dall’alto”, e dall’altra un riconoscimento di tutti quegli aspetti positivi che convergono in quella che viene definita “riviviscenza delle società locali” (Ibidem).

Lo spazio quindi assume, secondo sociologi come Giddens, Dickens o Bagnasco, una componente fondamentale della dimensione sociale; assumono rilevanza concetti come Locale, local, social system, società locale, in cui l’ambito locale diviene terreno fertile per la definizione delle azioni dei soggetti e delle dinamiche sociali. Si assiste così ad una rivalutazione sia della dimensione spaziale in sé, sia di quella locale come – per dirla in senso ontologico come Giddens - indispensabile riferimento e scenario del soggetto agente. Questi presupposti sono fondamentali per l’interesse della dimensione partecipativa nella sfera pubblica, e in modo particolare nel contesto dei processi di pianificazione e di progetto. Si passa quindi da una pianificazione così come concepita nella tradizionale cultura urbanistica che non può più far fronte ai mutamenti di carattere sociale tecnologico e organizzativo, dove i Piani pare nascano “già vecchi” e strutturati secondo logiche dirigistiche che prediligono azioni calate dall’alto, ad una pianificazione”come processo sociale complesso”in cui acquista, in senso positivo, particolare attenzione il momento partecipativo. Nello specifico la pianificazione delle aree naturali orientata allo sviluppo sostenibile cercano fondamentalmente di conciliare ambiente con dimensione socio politica ed economica. con questo si intende che una politica volta allo sviluppo sostenibile deve tenere conto necessariamente del benessere sociale ed economico valorizzando le culture e istituzioni locali prospettando un parallelismo fra le forme di sviluppo locale e tutela del patrimonio naturale

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favorendo il coinvolgimento e la partecipazione delle popolazioni e comunità locali, dei soggetti pubblici e privati alla pianificazione e gestione delle risorse ambientali, favorendo quindi una concertazione all’interno di quel modello definito come Locality Development in cui assume rilevanza il punto di vista della comunità locale, e si assiste ad una efficiente gestione dei flussi comunicativi fra cittadini, leader locali, pianificatori, decisori, tecnici e professionisti (Ivi, pp. 114-115).

Tali condizioni hanno spinto dunque negli ultimi anni i governi locali a coinvolgere i cittadini nei vari processi decisionali, soprattutto nei settori della pianificazione territoriale, della programmazione economica (Ibidem) anche alla luce delle complessità che caratterizzano le strategie territoriali, le quali necessitano del coinvolgimento virtuoso sia di innumerevoli attori istituzionali appartenenti a diversi livelli, sia di portatori di interessi legittimi al fine di poter implementare progetti12 anche mediante il ricorso di incontri istituzionali13 a cui sono tenuti a partecipare i vari attori per definire il “senso delle strategie su cui si deve lavorare” tenendo conto dei livelli gerarchici – regionali, provinciali, comunali – e delle specificità - di carattere economico, sociale, territoriale, ambientale infrastrutturale, etico ecc. - che caratterizzano tali progetti (Cundari 2010, p.35).

Un ruolo attivo per la promozione dei processi partecipativi è stato assunto dall’Unione Europea, preoccupandosi di realizzare atti legislativi per favorire la partecipazione dei cittadini o degli attori privati all’interno delle politiche, come per esempio la legislazione concernente gli accordi ambientali, nota come Conferenza di Aarthus, la legislazione in materia di accesso alle informazioni, la Campagna europea per le città sostenibile, ma anche i seminari partecipativi come l’European

awareness scenario workshop, comunemente definito con l’acronimo EASW14.

12 Nel caso specifico il riferimento è ai PIT (Progetti Integrati Territoriali) frutto di una collaborazione fra i vari organismi interessati alla pianificazione e al governo del territorio per dare forma ad un complesso di azioni intersettoriali e interconnesse fra loro in maniera coerente e orientate verso un comune obiettivo (Cundari 2010, p.35).

13 Ne sono esempi le Conferenze di Servizi, Accordi di Programma, Intese Istituzionali Quadro, Accordi di Programma quadro, Conferenze di Copianificazione.

14

I seminari EASW sono stati promossi e standardizzati dalla Direzione Generale XIII-D dell’Unione Europea sulla base di alcune esperienze di progettazione sostenibile. In Italia vi sono state diverse esperienze promosse dalla Fondazione IDIS e dall’ENEA. Il seminario è costituito oltre che delle

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L’Unione Europea infine, incentiva i processi partecipativi per quanto concerne il coinvolgimento degli stakeholder per i programmi finanziati dai fondi europei, come i Progetti pilota urbani o il Programma URBAN. Scopo della partecipazione è quello di intensificare l’azione della governance aumentando gli effetti prodotti dalle istituzioni, che con il coinvolgimento di altri attori non vedranno limitare il proprio potere (Debernardi, Rosso 2007, p.67).

Tali dinamiche sono caratterizzate da forme di riflessività che vengono adottate da pratiche partecipative acquisite da diverse esperienze di governance; Mela e Ciaffi in particolar modo analizzano la partecipazione basandosi su quelle che a loro avviso rappresentano le quattro funzioni principali (Ivi, p.37), vale a dire:

a) comunicazione: che comprende tutte le attività che sostengono la circolazione dell’informazione tra tutti gli attori coinvolti per definire la politica da attuare, come per esempio istituzioni, tecnici, associazioni e cittadini (Mela 2006, p.142); Mela e Ciaffi sostengono che alla base dell’attività di comunicazione pubblica risiede l’informazione trasmessa dall’amministrazione o da qualsiasi altro soggetto delegato da essa, mentre il ricevente è il cittadino. Tali ruoli possono variare a seconda che il processo divenga più partecipato, stimolando l’attività di informazione ad evolversi in attività di comunicazione. Questa ultima attività viene adottata in due metodi anche nei casi delle trasformazioni che possono avvenire nella scala del quartiere; un primo metodo fa riferimento al marketing urbano, curato da uffici pubblicitari fuori dall’ambito del quartiere.

Il secondo metodo avviene nei luoghi soggetti alla trasformazione urbana e consiste nel coinvolgimento di non professionisti della comunicazione e di conoscitori del territorio nei processi di trasformazione; utilizzare le risorse locali e le idee al fine di influenzare un determinato

giornate preparatorie e conoscitive, da due giornate dove i vari partecipanti sono coinvolti sia in gruppi di discussione sia da momenti collegiali per favorire arene deliberative. Il percorso seminariale si conclude infine con la selezione delle cinque proposte ritenute maggiormente valide (Tidore 2008, p.102).

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contesto in una particolare area del quartiere; uso di spazi di comunicazione per tempo libero, svago e ritrovo.

Negli anni Novanta si assiste all’evoluzione di una serie di esperienze tra le quali gli urban center e le agenzie di sviluppo locale a scala di quartiere, aventi il compito di occuparsi del lancio dei cantieri promuovendo una nuova immagine e organizzando attività ed eventi. Gli operatori territoriali attribuiscono importanza oltre che al restyling dell’immagine della città anche alla riorganizzazione comunicativa e dei servizi. La comunicazione si configura come sottolineano Mela e Ciaffi anche e soprattutto come una forma di recepimento. Ma comunicare in modo interattivo non è sufficiente; vi possono essere diversi ostacoli che contribuiscono alla perdita di informazioni per via delle difficoltà legate a rendere condivisibile un messaggio, utilizzare i dovuti canali, adottare un adeguato codice, spesso mirato ad un pubblico di individui adulti, istruiti e non a rischio di esclusione sociale (Mela, Ciaffi 2006, pp. 88-89). La campagna di comunicazione deve quindi intervenire con una serie di iniziative multi target che sia in grado di far pronte a diversi problemi su vari fronti; da una parte il rischio di creare dei messaggi indirizzati verso un target escludendone altri, dall’altra parte la consapevolezza che non tutti possono comprenderlo (Ivi, p.90).

b) animazione: riguarda le varie attività di carattere espressivo,

come attività quartiere, feste teatrali, manifestazioni musicali e altre ancora. Scopo dell’animazione è quello di configurarsi come uno strumento utile per favorire il consenso per quanto riguarda le politiche o progetti già definiti, coinvolgendo figure sociali difficili da includere in processi decisionali, grazie alla mobilitazione di risorse sociali e facendo riaffiorare i sentimenti di appartenenza ai luoghi (Tidore 2008, p.147).

Secondo Mela e Ciaffi, in relazione alle trasformazioni spaziali della città possono essere individuati alcuni filoni principali dell’animazione; 1) animazione socioculturale: viene promossa da enti del Terzo Settore e indirizzata al volontariato sociale. Difatti le esperienze di rigenerazione

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urbana degli ultimi decenni sono caratterizzate da eventi coordinati fra la sede del programma di rigenerazione e i vari servizi esistenti nel quartiere. Bisogna riconoscere però che le risorse spaziali e sociali possono essere maggiormente presenti in alcuni contesti urbani rispetto ad altri in cui sono assenti oppure non sono stati riconosciuti. Vengono riconosciute alcune funzioni per esempio dell’animazione di strada (feste, spettacoli, mostre laboratori figurativi e teatrali e altro ancora) come quella primaria finalizzata a prevenire la nascita del disagio, mentre la funzione secondaria finalizzata all’individuazione dei sintomi delle forme di disagio e indirizzata verso le fasce a rischio della popolazione; 2) l’animazione socio educativa: in questo filone, di tipo pedagogico, confluiscono le iniziative tra settore pubblico e privato sociale. Sono esempi le iniziative di riqualificazione di edifici pubblici finalizzate all’educazione dei cittadini pensate per contrastare il vandalismo per noia oppure, sempre pensate come forme antivandaliche, gli interventi di espressione artistica come i murales urbani; l’animazione sociopolitica: è un filone di matrice partitica e sindacale che si sviluppa nell’ambito delle associazioni. L’animazione sociopolitica: consiste nella promozione di iniziative come festival, giornate tematiche, promozione di tavoli sociali il quale fine spesso è poco distinguibile da intenti auto promozionali; 4) animazione commerciale: questo filone consiste in una serie di iniziative finalizzate sia alla promozione commerciale, sia all’apertura di esercizi commerciali in specifiche zone poco animate della città; 5) animazione legata ai lavori di riqualificazione fisica del quartiere: questo filone, dalla vasta gamma di approcci e strumenti, può avere una molteplicità di obiettivi che vanno dallo sviluppo di comunità al marketing urbano ricorrendo tanto a ricerche di tipo etnografico, quanto alle feste per inaugurazione di un cantiere (Mela, Ciaffi 2006, pp. 91-92).

c) consultazione: questa funzione invece comprende tutta una serie di iniziative per via delle quali viene proposto ai cittadini, organizzazioni o singoli gruppi di prender parte ad un processo decisionale

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della politica da attuare proponendo idee e proposte. Le modalità possono variare, passando dalle forme di audizione dei rappresentanti delle associazioni oppure tramite l’allestimento di tavoli di confronto, dove assume una certa rilevanza le modalità con cui i cittadini sono chiamati a cooperare sia per determinare le politiche, sia per occuparsi inseguito della gestione. Questa funzione della partecipazione rende condivisibile il potere decisionale che a volte può avere solamente una validità simbolica, oppure dare forma a delle partnership o alla stipulazione di patti (Tidore 2008, p.147).

In questa funzione della partecipazione si ricorre con frequenza alle inchieste sui servizi assenti o mal funzionanti, sui loro fruitori, sugli interventi nell’edilizia pubblica, sugli spazi pubblici, sulla percezione della sicurezza nel quartiere con lo scopo di realizzare una lista con tutte le priorità al fine di giustificare la spesa pubblica. Nella consultazione spesso si ricorre a coniugare conoscenza delle opinioni di chi viene consultato e l’ambiente in cui vive.

Tale approccio in Italia lo si applica nelle fasi di coordinamento tra servizi sociali e attori tecnici della rigenerazione. In questa funzione della partecipazione è possibile distinguere due generi di obiettivi: il primo che inerisce l’indagine sulle domande espresse da tutti i soggetti che difficilmente si rivolgerebbero ai servizi nella loro sede formale, il secondo obiettivo riguarda l’attivazione di tavoli di concertazione tra soggetti forti. L’obiettivo di fondo della consultazione risiede nel coniugare questi due obiettivi al fine di esprimersi su un determinato tema.

d) Empowerment:quest’ultima funzione riguarda tutta una serie di

iniziative volte a potenziare le capacità e le competenze dei cittadini o specifici soggetti. L’aspetto saliente di questa funzione è la capacità di rendere più efficace il processo partecipativo ampliando il numero degli attori coinvolti e fornendo loro tutta una serie di strumenti utili per la formulazione di proposte nella fase di consultazione e per la gestione della politica (Tidore 2008, p.147), mettendo i cittadini in condizioni di responsabilizzarsi

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(Debernardi, Rosso 2007, p.72). Questo termine può essere con alcune parole chiave come potere, partecipazione, autostima e desiderio (Mela, Ciaffi 2006, p.93). L’empowermermwnt si configura come un processo in grado di fare emergere e aiutare: 1) il rafforzamento dei poteri diffusi; 2) autostima personale di tutti i soggetti e far prendere coscienza delle proprie possibilità; 3) i desideri come espressione dei propri bisogni ma in forma più evoluta. Secondo Mela e Ciaffi l’empowerment può avere diverse declinazioni15.

Empowerment di tipo culturale: ne sono esempi i seminari e i progetti

realizzati per prevenire la violenza , la microcriminalità e mentalità mafiosa ma anche fenomeni di auto segregazione; empowerment di tipo sociopolitico, che mira alla responsabilizzazione dei gruppi interessati a pratiche di democrazia alternative a quella rappresentativa ma anche alla ricostruzione di un rapporto di fiducia con i rappresentanti locali; empowerment di tipo

commerciale e imprenditoriale, avente come obiettivo la promozione e il

supporto dell’imprenditoria locale anche sotto il profilo logistico, per esempio attivando e mettendo indo in rete associazioni di commercio e centri commerciali naturali (Ivi, p.94); empowerment di tipo formativo, avente l’obiettivo di sviluppare capacità individuali e di gruppo, favorire l’accesso a corsi professionalizzanti e iniziative per disoccupati come consulenze, strutture, accesso a opportunità; empowerment a livello professionalizzante, come progetti per il reinserimento di giovani adulti anche attraverso scambi internazionali con obiettivo di mettere in rete insegnati, allievi e genitori mediante interventi di manutenzione del verde, campi da gioco oppure strutture scolastiche, ma anche mediante la formazione di esperti della manutenzione e della sicurezza del quartiere. Questa declinazione dell’empowerment può ricomprendere altri obiettivi inerenti lo sviluppo sociale, l’ambito educativo oppure quello economico (Ivi, p.95);

empowerment a livello di hobby, che può condurre ad un’evoluzione verso

una professione, per esempio manutenzione accompagnata del verde pubblico

15

Nell’articolazione delle varie declinazioni di empowerment, Mela e Ciaffi fanno riferimento precisamente ad esperienze europee nell’ambito della rigenerazione urbana.

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e provato, degli spazi condominiali e privati fino a giungere alla pratica del giornalismo con giornali di quartiere, promuovendo la partecipazione e la lettura di contributi locali. Empowerment per lo svago e il tempo libero, per esempio giornate tematiche, gli atelier artigiani, i workshop di botanica, il coinvolgimenti di associazioni sportive e altro ancora. Empowerment di tipo residenziale, che agendo nel contesto del servizio residenziale pubblico, mira a favorire l’inserimento o reinserimento sociale di un individuo o nuclei familiari insediati nel quartiere (Ivi, p.96). empowerment trasversale, che riprendendo appunto le diverse declinazioni (culturale politico commerciale, formativo e residenziale) si pone come obiettivo la costituzione di comitati di soggetti locali che avranno come compito la gestione del processo di rigenerazione una volta che il mandato del soggetto mediatore incaricato dall’amministrazione sarà giunto al termine (Ivi, p.97).

Come è già stato chiarito, la partecipazione rientra nel sistema democratico italiano, dove i cittadini eleggendo i propri rappresentanti vedranno