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Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di paesaggio e

2. Il paesaggio: Teoria, pianificazione, partecipazione

2.6 Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di paesaggio e

Da un’osservazione attenta dell’art. 9 della Costituzione è possibile notare come tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico si intreccino presupponendo non solo una struttura di tipo normativo, ma anche un comune fondamento etico, storico, civile. In un’interpretazione oggettiva ma allo stesso tempo riduttiva dell’art.9 della Costituzione il paesaggio pare debba essere inteso come un’opera d’arte da conservare così come si mostra. Successivamente, alla luce delle evoluzioni normative europee e nazionali, una interpretazione più moderna presta più attenzione alla dimensione paesaggistica la quale cura deve avvenire anche con il coinvolgimento delle popolazioni nei processi decisionali. Precisamente si specifica come la tutela non sia una funzione riguardante non solo le aree a cui si

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attribuisce un “valore eccezionale” bensì “l’intero territorio della repubblica” (Cundari 2010, p.76).

La tutela veniva ad assumere un ruolo simbolico dello Stato, un principio rientrante in un elevato sistema di valori. Uno dei maggiori problemi che si affrontarono, e continua essere oggetto di riflessioni giuridiche, è il riparto delle competenze Stato – Regione. In principio nell’art. 9 già si faceva riferimento riferendosi al concetto di Nazione l’intento di far in modo che la tutela fosse garantita con una gestione unitaria su tutta l’Italia e non vi fosse alcun frazionamento dei poteri su base regionale, cosa che si concretizzò con il riparto delle competenze.

Difatti l’articolo 9 della Costituzione recita:

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Ma la tutela dell’ambiente ha anche altri punti critici relativi alla scissione circa le competenze legislative in materia urbanistica (art. 117) e delle funzioni amministrative (art. 118). Proprio la diversa attribuzione di competenze tra le istanze della Repubblica, vale a dire Stato e Regioni, tanto nelle competenze amministrative quanto nella potestà normativa, hanno generato una separazione fra il paesaggio e la materia urbanistica, venendo meno il raccordo tra la legge Bottai (L. 1497/1939), in capo allo Stato e la legge urbanistica, generando così un conflitto tra la tutela del paesaggio contemplata all’art. 9 e la legislazione urbanistica in capo alle Regioni, attribuita dalla distribuzione dei poteri in base agli artt. 117 e 118.

Tali problematiche sono cause della scarsa cura del paesaggio, creando ancora oggi, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, ulteriori conflitti tra organi statale e regionali. Ma per comprendere meglio il contesto attuale, è opportuno fare un breve excursus delle vicende che hanno generato le diverse problematiche. L’approvazione dei Piani Regolatori o di Ampliamento che avveniva in concerto con il Ministero dell’Educazione Nazionale erano completamente distinti dai Piani Territoriali Paesaggistici. Più precisamente, i Piani Territoriali Paesistici, la cui redazione avveniva con l’intesa degli uffici tecnici dei Comuni interessati,

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avevano il compito di stabilire quale fosse il rapporto tra le aree libere e aree fabbricabili, le zone di rispetto e l’allineamento e distribuzione dei fabbricati, senza attuare alcuna intesa circa i criteri con una concertazione con i Piani Regolatori Urbanistici.

Date le condizioni che si sono venute a creare, potrebbe sembrare che ciò a cui si credeva fortemente era che i due ambiti potessero rimanere distinti. Ma in verità ciò che non aveva favorito un buon raccordo tra le due leggi erano altri fattori, essenzialmente due: il rigido centralismo amministrativo dello Stato e la maggior influenza esercitata dal Ministero dei Lavori Pubblici, con la sua articolazione del Genio civile, rispetto al Ministero dell’Educazione Nazionale. Per tale ragione competenze e poteri tra i due Dicasteri non furono soppesati in ugual misura48.

Dunque il nodo problematico risulta essere l’imperfetta coordinazione delle due leggi, una inerente il paesaggio, l’altra riguardante l’urbanistica. Ma un’equa distribuzione dei pesi tra i due Ministeri non poteva risolvere ancora i problemi; infatti le due leggi dimostravano di essere sbilanciate a causa della loro diversa proiezione che ebbero nella Costituzione nel 1948, dove la tutela del paesaggio venne connessa a quella dei monumenti e del patrimonio storico e artistico, rientrando tra i principi fondamentali a livello statale nella struttura del Ministero della Pubblica Istruzione, mentre il controllo degli sviluppi urbani, della viabilità e relative funzioni amministrative vennero decentralizzati alle Regioni con probabile di delega alle Province e ai Comuni (Settis 2010, p.193).

Competenze in materia urbanistica e paesaggistica iniziarono ad essere rinviate alle Regioni iniziando da quelle a Statuto Speciale, prima fra tutte la Sicilia che poteva godere di un’autonomia legislativa nei settori del paesaggio, urbanistica,

48 In verità la legge Bottai prevedeva in diversi casi la concertazione con il Ministero dei Lavori Pubblici, o comunque la presenza di un suo rappresentante nelle commissioni per i Piani Territoriali Paesistici. Al contrario, la legge urbanistica non prevedeva alcuna concertazione come logicamente doveva avvenire. Difatti i Piani Territoriali di Coordinamento vennero affidati unicamente al Ministero dei lavori Pubblici senza prevedere il concerto con il Ministero dell’Educazione nazionale ma non solo; i Piani Regolatori Generali vennero realizzati in modo tale che il loro interesse potesse ricadere su tutto il territorio comunale, prendendo in considerazione anche le porzioni di paesaggio senza però che venissero incluse le Soprintendenze con lo scopo di poter offrire il proprio contributo (Settis 2010).

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beni culturali e musei. Si trattava di un’autonomia che nessuna delle altre Regioni a statuto speciale poteva godere; le Regioni come la Sardegna, la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige godevano di forme e condizioni particolari di autonomia a partire dal 26 febbraio del 1948, data in cui ebbero il proprio Statuto, mentre per la Regione Friuli-Venezia Giulia bisognerà attendere il 1963 (Ivi, p.205). Tali Statuti prevedevano competenze in materia di urbanistica in base agli artt. 117 e 118 della Costituzione, la Valle d’Aosta invece ebbe competenza in materia di paesaggio in base all’art.2 lettera q. Nel caso del Trentino-Alto Adige la medesima competenza venne assegnata alle province autonome di Trento e Bolzano ma in aggiunta, in base all’art. 8 n.3 ebbero competenze circa la tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare.

Le competenze variavano per le Regioni a statuto ordinario, per la quale art. 117 prevedeva competenze in materia di urbanistica e di musei e biblioteche di enti locali. Le competenze verso le Regioni non vennero trasferite nel 1948, come prevedeva l’VIII Disposizione Transitoria della Costituzione, ma bisognerà attendere le leggi degli anni Settanta, come la Legge numero 281 del 1970 e la Legge 382 del 1975 (note anche come Leggi-delega) mediante le quali si attua un primo decentramento: precisamente, la Legge del 1970 prevedeva la delega al Governo per emanare dei decreti sul passaggio alle Regioni delle funzioni che furono ad esse attribuite dall’art. 117 Cost. riservando allo Stato le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività delle Regioni. Vennero in seguito assegnate alle Regioni funzioni amministrative in materia urbanistica e approvazione di Piani Territoriali, Intercomunali e Comunali, come previsto anche dalla Legge 1150/42, ma non solo; infatti a partire dal 1972, anno di decorrenza del trasferimento delle competenze, venne estesa alle Regioni la facoltà di approvare e redigere Piani Territoriali Paesistici in base alla legge 1497/1939 (Ivi, p.206). Questa estensione però andava oltre i limiti della delega al governo e ignorava la ratio della Costituzione, secondo la quale attribuiva le competenze paesaggistiche allo Stato in base all’art.9, e competenze urbanistiche alle Regioni, secondo la Legge 1150/1942.

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I contrasti che si vennero a creare dunque tra Piani Territoriali Paesistici e Piani Territoriali di Coordinamento furono risolti mettendo da parte l’art. 9 della Costituzione e optando per la legge urbanistica, sfavorendo così la tutela del paesaggio.

Ma fu la Legge 382 del 1975 ad innescare un secondo decentramento, obbligando lo Stato al completamento di trasferimento delle funzioni amministrative in base ai settori organici riguardanti le materie indicate dall’art. 117 e non più in base alle competenze dei Ministeri, accorpando così funzioni affini e strumentali. Alle Regioni venne concessa anche la facoltà di sub delegare province e Comuni, mentre allo Stato venne affidato il coordinamento e la funzione di indirizzo tra le Regioni (Ivi, p.208). In questo secondo decentramento viene ad attenuarsi la tutela del paesaggio.

Difatti il D.P.R. 616/77 poneva al centro dell’attenzione la materia urbanistica, intesa in un senso molto ampio, definendola:

“disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi,

normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”(art. 80)49.

La tutela viene così a spostarsi dallo Stato alle Regioni, facendo in modo che a queste ultime vengano destinate le funzioni amministrative come previsto dall’art. 118 della Costituzione, definendo la materia come “beni ambientali”, rimuovendo così il concetto di paesaggio di cui tratta l’art. 9 e optando per il riferimento alle “bellezze naturali”.

In questo contesto veniva a inserirsi la Legge 431 del 1985, nota comunemente come legge Galasso, con lo scopo di porre rimedio al condono edilizio sancito con la legge n. 47 del 1985 denominata legge Craxi-Nicolazzi. La legge Galasso integra alcune previsioni del D.P.R. 616/77, intensificando così le competenze dello Stato e facendo estendere il vincolo paesaggistico della legge 1497/1939 alle altre categorie come coste, fiumi, boschi, cime dei monti, aree

49

Allo Stato venne riservata in base all’art. 81 del D.P.R. 616/77 funzioni di indirizzo e coordinamento, delegando alle Regioni l’individuazione e tutela delle bellezze naturali.

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archeologiche e vulcani (Ivi, 210). Oltretutto tale legge imponeva alle Regioni la redazione dei Piani Paesistici e dei Piani Urbanistici Territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali, utilizzando un linguaggio che potesse caratterizzare dal valore della tutela sia i Piani della legge Bottai sia i Piani della legge urbanistica.

Lo scopo della legge fu quello di intensificare il valore della tutela sia tramite un rilancio del ruolo dello Stato nell’esercizio di coordinamento sia responsabilizzando maggiormente le Regioni.

Vi è stato poi un terzo decentramento varato con la legge n. 59 del 1997, la così detta “Legge Bassanini”, e reso operativo con il D. lgs. 112 del 1998. Quest’ultimo aveva introdotto la distinzione tra i termini tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali, attribuendo alle Regioni ed Enti locali compiti e funzioni in ambito di urbanistica, territorio, tutela dell’ambiente e coordinamento degli interventi ambientali (Ivi, p.212).

L’aspetto negativo fu l’attribuzione allo Stato di vaghe linee di intervento per l’assetto del territorio a livello nazionale con riferimento ai valori ambientali e naturali, rinviando la tutela dell’ambiente e delle bellezze naturali alle leggi regionali e ai Piani territoriali di coordinamento Provinciale. Va menzionata oltretutto la questione della “semplificazione amministrativa” che generò ulteriori problemi, creando sovrapposizioni tra approccio paesaggistico, urbanistico e relative attribuzioni delle competenze (Ivi, p.213).

Ma i problemi circa il riparto delle competenze hanno riguardato in particolar modo la tutela dell’ambiente, che ha subito continue modifiche in seguito a diverse riforme. Sostanzialmente, si possono fare delle osservazioni che spaziano dalla situazione antecedente la Riforma del Titolo V della Costituzione, vale a dire la legge costituzionale n. 3 del 2001, il periodo compreso tra il 2001 e il 2007, la situazione controversa venutasi a creare dopo quest’ultima data grazie ad alcune sentenze della Corte Costituzionale (Cecchetti 2006).

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Prima della Riforma della Costituzione la tutela dell’ambiente e degli interessi ambientali era un campo di studi di rilevante interesse per comprendere il difficile e controverso rapporto tra Stato e Regioni. Il modello che si veniva a creare prescindeva da distinzioni tra circuito della normazione e ambito dell’amministrazione, costituendo un parallelismo di funzioni che aveva generato un’osmosi tra il riconoscimento di competenze normative sia a livello statale sia a livello regionale. I punti cardine di questo quadro sono tre: Il primo riguarda il riconoscimento da parte della Corte Costituzionale della potestà legislativa di tipo concorrente tra Stato e Regioni per quanto concerne la materia tutela dell’ambiente; il secondo punto rimarcava l’importanza del coinvolgimento di tutti i livelli di governo per garantire la dovuta tutela all’ambiente; il terzo invece rappresentava un riparto delle competenze tra Stato e autonomie locali basato su una logica di sussidiarietà individuando, l’adeguato livello di allocazione delle diverse funzioni.

Da un lato vengono espresse dunque le esigenze unitarie che impongono l’intervento dei livelli superiori, vale a dire Stato e Regioni, dall’altro invece vengono espresse quelle che sono definite esigenze differenziate, che impongono l’intervento dei livelli inferiori per adattare la tutela dell’ambiente nei diversi contesti territoriali.

Con l’entrata in vigore del nuovo art. 117 della Costituzione, secondo comma, lettera s, la tutela dell’ambiente viene riservata alla legislazione esclusiva dello Stato con tutte le implicazioni che ne possono derivare come:

a) tutte le funzioni amministrative sono riservate allo Stato; b) la potestà normativa secondaria risulterebbe essere affidata alle Regioni secondo la delega da parte del legislatore statale in base al sesto comma del nuovo articolo della Costituzione;

c) tutti gli obblighi di attuazione delle direttive comunitarie andrebbero a riversarsi sullo Stato come definito negli artt. 174 e successivi del Trattato CE;

d) alle Regioni verrebbe riconosciuta da parte della Costituzione una potestà legislativa di tipo indiretta (Cecchetti 2006).

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E’ evidente che tutto ciò contribuirebbe non solo ad un arretramento del modello del governo dell’ambiente che andava affermandosi, ma anche ad un irrigidimento degli assetti delle competenze in antitesi alla flessibilità promossa dal principio di sussidiarietà50.

In verità, il giudice costituzionale non ha fatto propria questa interpretazione concependo la tutela dell’ambiente come materia di tipo concorrente in base al criterio ispirato dal principio di sussidiarietà.

Il punto di svolta si è avuto dal 2007 in poi, più specificatamente con le sentenze costituzionali nn. 367 e 378 che introducono alcuni punti di novità:

a) l’ambiente viene inteso come un sistema complesso e unitario, dinamico e sistemico che non si limita alle singole componenti che lo determinano. La tutela dell’ambiente viene ad assumere il ruolo di funzione pubblica con lo scopo di tutelare l’equilibrio ecologico dell’ecosistema, vale a dire il complesso definito biosfera,

b) il paesaggio è parte dell’ambiente definito come

“forma visibile e fisicamente percepibile”;

c) l’ambiente viene definito come “bene giuridico

materiale”;

50 Il Principio di sussidiarietà fa riferimento all’attribuzione di funzioni al livello di governo superiore solo quando il livello inferiore non è in grado di curare gli interessi che a lui sono stati affidati. Questo principio è stato sancito a livello comunitario inizialmente in riferimento al Trattato CE, modificato poi dal Trattato di Maastricht, dal Trattato di Amsterdam e infine dal Trattato di Nizza. Vi è poi da osservare che diversi studiosi hanno affermato che lo stesso art. 5 della Costituzione sottendesse il principio di sussidiarietà anche se non lo menzionava in maniera esplicita. In base alla legge 159 del 2007, il governo può attribuire agli enti locali e Regioni tutte le funzioni e i compiti amministrativi in riferimento alla promozione e sviluppo delle rispettive comunità, ma anche tutte le funzioni e compiti amministrativi esercitabili da qualsiasi organo periferico dello Stato nei dovuti territori di propria competenza. In base all’art. 3, comma 5 del Testo Unico degli Enti locali i Comuni e le Province sono titolari di funzioni proprie e di tutte quelle che verranno conferite secondo al principio di sussidiarietà. Questo principio può essere inteso sia in senso verticale, vale a dire la distribuzione delle competenze tra centro e periferia, sia in senso orizzontale, in riferimento ai rapporti che vengono ad instaurarsi tra poteri pubblici e organizzazioni della società. Il principio di sussidiarietà è stato preso in riferimento dalla Costituzione nell’art. 118, che prevede al comma 1 la sussidiarietà di tipo verticale l’attribuzione di funzioni amministrative ai Comuni almeno ché per assicurarne l’esercizio unitario non vengano attribuite città metropolitane, province, Regioni o Stato; al comma 4 invece prevede che in base al principio di sussidiarietà, di tipo orizzontale, Stato, Regioni, Province, città metropolitane e Comuni possano impegnarsi al fine di favorire l’iniziativa dei cittadini per svolgere attività di interesse generale (Casetta 2003, p.55).

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d) il bene ambientale viene definito come un valore costituzionale primario e assoluto;

e) la tutela dell’ambiente e paesaggio si specifica come una materia che individua un’area di intervento normativo da cui le Regioni in linea di principio devono ritenersi escluse (Ivi, p.25).

Viene a determinarsi così una cornice della giurisprudenza in cui la Corte Costituzionale non riesce a tracciare i confini di competenza esclusiva dello Stato. Infatti vengono a determinarsi interessi diversi per il bene complessivo ambiente- paesaggio, affidando al livello superiore dello Stato la conservazione e alle Regioni la fruizione e utilizzazioni.

In altri ambiti come la gestione dei rifiuti e l’ istituzione delle aree protette, la competenza legislativa ricade esclusivamente sullo Stato. Viene a configurarsi una situazione in cui la tutela dell’ambiente e del paesaggio meno solida di quanto la Corte Costituzionale possa far credere; tale avviso è dimostrato dal fatto che il giudice della Corte medesima avverte costantemente l’esigenza di prendere delle decisioni effettuando continui confronti tra le discipline ambientali sia dello Stato sia delle Regioni (Ivi, p.26). Secondo Cundari, sulla base di quanto stabilito dall’art. 114 che articola la Repubblica in Comuni, Province, città metropolitane, Regioni, Stato, pare palese che sia compito degli Enti territoriali e dello Stato doversi occupare della tutela della dimensione paesaggistica su tutto i territorio nazionale

“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato […] I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”(art. 114)51.

A causa di continue modifiche apportate al Codice dei Beni culturali e del Paesaggio e l’impianto che prevedeva la delega ai Comuni da parte delle Regioni messo più volte in discussione hanno generato una situazione confusa a cui si può porre rimedio non solo con da un punto di vista legislativo che possa incentivare una normativa più chiara e in armonia con la politica nazionale, bensì è indispensabile

51 Titolo V della Costituzione, art. 114: http://www.governo.it/costituzione-italiana/parte-seconda-

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procedere con miglioramento della burocrazia e un rinnovamento dell’organizzazione amministrativa. In effetti è ben evidente come l’ordinamento