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Il primo intervento normativo:la Legge Balduzz

L’intervento normativo in materia di responsabilità civile del medico: La legge Balduzzi e la Legge Gelli-Bianco

I. Il primo intervento normativo:la Legge Balduzz

La materia della responsabilità dell’operatore sanitario, come evidenziato, è stata da sempre, al centro del dibattito giurisprudenziale e dottrinario in quanto l’incertezza e le lacune normative in un settore tanto delicato, hanno contribuito - come precedentemente evidenziato- ad alimentare il grave problema della medicina difensiva e, proprio per questa ragione, si attendeva da tempo nel settore, uno specifico intervento normativo chiarificatore. Con la L.189/2012, finalmente il legislatore si è fatto carico, in concreto, del problema del crescente e preoccupante contenzioso giudiziario relativo alla responsabilità medica con soluzioni, certamente opinabili, ma comunque concrete e specifiche.

Nella materia, infatti, l’intervento della giurisprudenza era sempre più orientato alla tutela del paziente danneggiato e, tale approccio, aveva come conseguenza la reazione difensiva della classe medica che poteva concretizzarsi- invero assai spesso- in scelte motivate non esclusivamente nell’interesse del paziente, in passato ritenuto invece valore assoluto e incondizionato (basti riportare come paradigma il testo dell’ articolo 3 nei vari codici deontologici che si sono succeduti nel tempo che mette sempre al centro la cura del paziente)241.

Pertanto, erano piuttosto diffuse come precedentemente sottolineato, condotte del medico in alcuni casi, tendenzialmente omissive, sopratutto per situazioni molto a rischio e, presumibilmente, compromettenti ( ipotesi di medicina difensiva negativa), altre volte le condotte degli operatori sanitari si concretizzavano nella prescrizione di trattamenti non necessari (se non in funzione di una paventata linea difensiva) ma comportanti dei costi per il servizio sanitario nazionale (medicina difensiva positiva), con conseguenti

ricadute sulla tenuta economica del sistema e sulla garanzia assicurativa di quella che è, indubbiamente, l’attività professionale più a rischio in assoluto ma, del pari, quella che opera sul bene giuridico per antonomasia: la salute dei cittadini.

Per comprendere a pieno la portata innovativa della L.189/2012 è necessario principiare dal primo criterio ermeneutico ovvero“l’intenzione del legislatore”, oltre che ricorrere alla interpretazione letterale delle norme(articolo 12 preleggi).

L’intenzione del legislatore, come sottolineato dalla dottrina che si occupa di ermeneutica, deve essere colta come ratio legis oggettiva, dunque, come senso normativo immanente al testo, sulla base di giudizi di ragionevolezza formulati con i metodi più diversi, per i quali la volontà politica originaria non è che uno degli elementi degni di considerazione242 e che non può mai prescindere dal dato letterale,

garanzia di certezza normativa.

Per questa ragione è indispensabile, in primo luogo analizzare l’intervento originario del D.l. 13 settembre 2012 n. 158 che prevedeva in maniera chiara che: “Fermo restando il disposto

dell’articolo 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale ”.

Tale disposto normativo, prevedeva un approccio inequivocabile del legislatore in materia di responsabilità civile del medico, ma deve necessariamente essere evidenziato che, l’originario testo, venne modificato in sede di conversione al fine di effettuare un intervento

242 G. ALPA, Metodi ermeneutici e diritto costituzionale, in Quaderni regionali, 2006, p.325 e s.

nel settore sanitario che spaziasse non solo in materia civile, ma anche in sede penale.

È evidente, come sottolineato da una certa parte della dottrina, che la scelta originaria del legislatore era esclusivamente quella di intervenire sul profilo civilistico dell’attività dell’operatore sanitario, non a caso, la norma richiamata nel primo testo, era proprio l’art.2236 c.c. disposizione che, per antonomasia in passato, durante la fase del “paternalismo medico”, aveva trovato diffusa applicazione in giurisprudenza per l’operatore sanitario.

In sede di conversione, invece, si intese estendere la portata dell’intervento di riforma e l’articolo 3 assunse il seguente contenuto: “L’esercente la professione sanitaria che nello

svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Quindi appare palese che, l’intento iniziale era circoscritto ad estendere l’ambito della delimitazione della norma civilistica della responsabilità per colpa lieve “all’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale”, nella legge di conversione, invece, il legislatore, per un più efficace contrasto alla medicina difensiva, ha cercato di ampliare, l’ambito dell’intervento normativo fino a ricomprendervi anche la responsabilità penale.

La norma, ha presentato, da subito grosse criticità.

Un primo indirizzo interpretativo ha sottolineato che da parte del legislatore, almeno nelle ipotesi in cui l’operato del medico

dipendente o collaboratore della struttura sanitaria non si fondi sull’accordo contrattuale diretto, c’è una precisa scelta ovvero un ritorno alla fase anteriore alla storica sentenza della Corte di Cassazione 589/1999 che aveva teorizzato il contatto sociale e, dunque, alla teoria della responsabilità aquiliana per l’operatore sanitario.

Tale approccio ermeneutico, trovava espresso riscontro anche nella

ratio legis, ovvero la volontà di intervenire contro il dilagante

fenomeno della medicina difensiva, reso evidente dall’aumento esponenziale del contenzioso in materia di malpractice medica. Secondo questa ricostruzione, inoltre, il legislatore, nella legge Balduzzi, aveva introdotto nella prima parte, una esimente speciale della responsabilità medica, circoscrivendola ai soli casi di dolo o colpa grave, mentre nella seconda parte, anche in assenza di una responsabilità penale del sanitario -proprio a causa della particolare esimente- si sarebbe introdotta una tutela risarcitoria laddove la condotta medica fosse connotata da colpa lieve. Questa scelta, infatti, implicherebbe l’alleggerimento della posizione processuale del medico e, corrispondentemente, un onere probatorio più gravoso per il paziente ed un termine prescrizionale più breve per la relativa azione risarcitoria.

Dunque, secondo questa ricostruzione, il legislatore avrebbe inteso fornire una precisa indicazione precettiva nel senso che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile del medico, andava individuato nella responsabilità per fatto illecito. La consapevolezza, in capo al legislatore, della portata del richiamo all’art. 2043 c.c., secondo questo approccio, sarebbe confermata dalla modifica del testo in sede di conversione. L’originario richiamo all’art.2236 c.c. e 1176 c.c., norme entrambe collocate nel codice nella parte dedicata alle obbligazioni, espunto dal testo definitivo,

sarebbe una scelta esegetica inequivocabile. Il legislatore, avrebbe inteso disconoscere la giurisprudenza in materia di contatto sociale243 e, al fine di garantire certezza in materia sanitaria e di

contrastare la medicina difensiva, ricondurre la responsabilità medica nell’alveo dell’art. 2043 c.c.

Tale opzione ermeneutica, è stata avallata dalla I Sezione civile del Tribunale di Milano con diverse pronunce244 che hanno sottolineato

la precisa scelta del legislatore, alla quale è tenuto a sottostare l’interprete che, per espressa previsione Costituzionale, è sottoposto solo alla legge.

Dunque, l’espresso dettato normativo aveva ragionevolmente indotto a dubitare della possibilità di continuare ad applicare la teoria del contatto sociale e, di conseguenza i crismi della responsabilità contrattuale al professionista sanitario. Ma, poiché il richiamo al 2043 c.c. era limitato all’individuazione di un obbligo risarcitorio, altro orientamento esegetico ha sostenuto invece che la legge non avesse inciso sulla natura della responsabilità medica.

Secondo questa ricostruzione, il legislatore, con il mero richiamo all’art. 2043 c.c. non avrebbe in realtà voluto disconoscere il diritto vivente ma, semplicemente, riconoscere il diritto al risarcimento del danno anche in caso di assenza di responsabilità penale del medico. La novella, quindi, non avrebbe imposto la qualificazione della responsabilità sanitaria esclusivamente in termini di responsabilità aquiliana e, a sostegno di siffatta opzione ermeneutica, sono stati addotti vari argomenti245.

243 M. FORZIATI, La responsabilità del medico dipendente: il contatto sociale

conquista la Cassazione, Resp. Civ. Prev. 1999,p.661 nonché F.DI CIOMMO, Note critiche sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del medico ospedaliero, Foro It. 1999, I, 3333.

244 Tribunale di Milano 9693/2014 e 7856/2014 senza trascurare in tal senso, anche altri arresti della giurisprudenza di merito quali ad es. Tribunale di Torino 26.02.2013, Tribunale di Varese 26.11.13 n.1406

245 F.CEMBRANI, La legge Balduzzi e le pericolose derive di un drafting

In primo luogo, se fosse vero che l’art.2043 c.c. impone l’adozione di un modello extracontrattuale si dovrebbe, applicando rigorosamente il disposto normativo, pervenire alla inaccettabile conseguenza di qualificare la responsabilità medica come extracontrattuale anche nelle ipotesi pacificamente contrattuali dal momento che, l’art. 3 della Legge Balduzzi, considera tutte le possibili ipotesi di condotte sanitarie idonee ad integrare reato (che possono verificarsi sia nell’ambito del rapporto contrattuale, quale quello tra paziente e medico libero professionista, che in un rapporto da contatto sociale, quale quello che si instaura tra medico che opera nella struttura ospedaliera e paziente).

Pertanto, a seguito di una interpretazione logico-letterale, non sarebbe possibile limitare il richiamo dell’art.2043 c.c. solo ad alcuni casi, quali quelli da “contatto sociale” ma la natura aquiliana della responsabilità dovrebbe essere postulata in tutte le ipotesi.

Altra criticità, evidenziata da una certa parte della dottrina, è che l’art.3 della L.189/2012 nella sua interpretazione letterale, non risulta coerente con il tenore testuale della norma che limita il richiamo all’art.2043 c.c. ai soli casi di colpa lieve, per l’esercente la professione medica, che si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accredita tate dalla comunità scientifica. L’ossequio alla lettera della novella dovrebbe, invece, comportare anche una adeguata valorizzazione dell’incipit dell’inciso immediatamente successivo alla proposizione, che esclude la responsabilità penale del sanitario in detti casi, per effetto del quale, deve ritenersi che esso si riferisca solo a tali casi - quelli di colpa lieve del sanitario che abbia seguito i protocolli e le buone pratiche- risultando però evidente la disarmonia logico-giuridica in quanto, la natura della responsabilità medica, varierebbe a seconda che si configuri come responsabilità dolosa, per colpa grave o per colpa lieve.

Questo orientamento osserva inoltre che, qualora il legislatore avesse voluto distanziarsi dal diritto vivente, che attraverso l’espediente del contatto sociale ricostruisce la responsabilità medica come contrattuale, lo avrebbe fatto con una presa di posizione chiara ed inequivocabile e non già con un richiamo generico all’art.2043 c.c.

La scelta di richiamare il 2043 c.c. non è una presa di posizione del legislatore sulla natura della responsabilità civile del medico, quanto piuttosto la precisazione che, al fine di arginare il gravoso fenomeno della medicina difensiva, la responsabilità medica deve spostarsi dalla materia penale a quella civilistica, per l’effetto, anche laddove non sussista un reato-stante la colpa lieve dell’operatore sanitario- non può essere escluso il diritto al ristoro del paziente danneggiato. Quindi, il richiamo al 2043 c.c., secondo questo approccio, è semplicemente volto ad assicurare al paziente danneggiato un ristoro, un risarcimento del danno anche nel caso in cui, in sede penale, operi l’esimente. Va considerato inoltre che, per quanto il 2043 c.c. rappresenti la norma cardine della responsabilità risarcitoria da fatto illecito, la concreta disciplina della responsabilità aquiliana è contenuta altrove (negli articoli 2697 e2947 c.c. per la distribuzione dell’onere della prova e nel 2055 c.c. in ordine alla solidarietà passiva e alle modalità risarcitorie).

Non può dunque affermarsi che richiamare un obbligo equivalga a richiamare una intera disciplina.

Infine, se è vero che l’opzione interpretativa che esclude l’applicabilità della disciplina della responsabilità contrattuale all’attività dell’esercente la professione sanitaria in ambito ospedaliero pare coerente con l’intento del legislatore di contenere la spesa pubblica e di arginare il dilagante fenomeno della medicina difensiva-che su detta spesa incide- è del pari innegabile che, quella

stessa soluzione esegetica genererebbe, per l’operatore sanitario, l’inapplicabilità del limite di cui all’art.2236 c.c. e, per l’effetto, incentiverebbe quell’atteggiamento “difensivo” frustrando la dichiarata ratio legis.

Dunque, l’art. 3 della Legge Balduzzi, secondo questo approccio, avallato anche dalla giurisprudenza, non ha inteso operare una presa di posizione sulla natura della responsabilità civile del medico, quanto piuttosto esclusivamente far salvo il risarcimento del danno anche in caso di esimente penale, lasciando l’interprete libero di individuare il modello risarcitorio di riferimento.

In tal senso ha opinato, infatti, anche la Suprema Corte che, nel primo arresto successivo all’entrata in vigore della Legge Balduzzi246ha chiaramente affermato che “la materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate”.

Successivamente, con l’ordinanza n.8940/2014 la stessa Corte di legittimità, in modo ancor più chiaro ha affermato che “ il legislatore

si è solo preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica”.

In conclusione è possibile sostenere, che la legge Balduzzi, pur intervenendo in un settore sensibile ed assai delicato in maniera troppo sobria e sintetica, ha inteso contenere le conseguenze negative della medicina difensiva e dei costi del Servizio Sanitario Nazionale e, almeno sotto questo aspetto, l’intervento legislativo va salutato con favore.

Il richiamo generico all’art.2043 c.c., invece, evidenzia il limite dell’intervento normativo, in quanto, la mancanza di una presa di posizione netta sulla natura della responsabilità civile del medico

non ha fatto altro che alimentare il dibattito e le incertezze. Da un lato, la giurisprudenza conservatrice che ha fermamente sostenuto che il diritto vivente sulla teoria del contatto sociale non può essere cancellato con un colpo di spugna da un richiamo assolutamente generico ad una disposizione normativa, dall’altro lato, l’approccio più avanguardista ha invece sottolineato fermamente che, nel richiamo al 2043 c.c. c’è una precisa scelta legislativa di rottura con la teoria del contatto sociale.

Sicuramente è possibile affermare che l’intervento normativo appare rivolto a ben due categorie di professionisti: ai giudici che ai medici. L’intervento legislativo ha da un lato auspicato una interpretazione più rigoristica mettendo in crisi il diritto vivente (si allude alla responsabilità contrattuale generalizzata e al contatto sociale) e, conseguentemente, ha inteso, limitando la responsabilità penale del medico, ridare fiducia a chi tratta una materia così delicata ma anche così, inevitabilmente rischiosa come la salute delle persone. Dunque, si può senza dubbio sostenere che si è avviato nel 2012 un percorso positivo, di codificazione, in questo settore tanto delicato e che il legislatore ha mandato un primo inequivocabile segnale, anche alla giurisprudenza, sollecitando un alleggerimento del regime della responsabilità medica invertendo l’approccio giurisprudenziale degli ultimi decenni.