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Le ricadute applicative della teoria del contatto sociale.

La natura della responsabilità civile del medico: il mai sopito dibattito.

IV- Le ricadute applicative della teoria del contatto sociale.

Come precedentemente evidenziato, la giurisprudenza, stante una sostanziale incertezza in relazione alla natura della responsabilità civile del medico e la totale assenza di un intervento normativo in questo particolare settore, si era assestata su una ricostruzione della stessa, in termini di responsabilità contrattuale da contatto sociale.

Questa qualificazione è frutto di una sapiente scelta, volta a tutelare il paziente e, come osservato da autorevole dottrina210, frutto anche

di una evoluzione del rapporto medico paziente; il ricorso al contatto sociale anzicchè alla responsabilità ex art.2043 c.c. ha importanti conseguenze applicative, oltre che sulla durata del termine di prescrizione-decennale anzicchè quinquennale- sul terreno del riparto dell’onere della prova211.

Va infatti osservato che, l’attore -ovvero il paziente- deve limitarsi a provare la fonte del suo diritto- dunque la relazione qualificata con il medico- e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia limitandosi, alla mera allegazione dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento da parte dell’operatore sanitario. Quindi, il paziente è tenuto a provare il titolo, ovvero il contratto di spedalità, ma si limita solo ad allegare-e non a provare- l’inadempimento ed il nesso di causalità212 tra questo e il danno. Va

210 G .ALPA, Dal medico alla équipe, alla struttura, al sistema,in Law and Medicine current topics in a German and Italian perspective a cura di Consiglia Botta e Christian Armbruster,Scienze Assicurative, Edizioni Scientifiche Italiane,2017, Napoli, p.14.

211 Cass.civ.SS.UU.30.10.2001, n.13533.

212 Come già da tempo una attenta dottrina (F.BOCCHINI,intervento al convegno “La responsabilità civile in materia sanitaria:luci ed ombre”, Napoli,Università Federico II, 19 maggio 2017) ha ritenuto di sottolineare, le esigenze decostruttive e ricostruttive dell'istituto del nesso di causa sottese al sottosistema penalistico non sono in alcun modo riprodotte (nè riproducibili) nella diversa e più ampia dimensione dell'illecito aquiliano, tanto sotto il profilo morfologico della fattispecie, quanto sotto l'aspetto funzionale.Sotto il profilo morfologico, difatti, va considerato, da un canto, come il baricentro della disciplina penale con riferimento al profilo causale del fatto sia sempre e comunque rivolto verso l'autore del reato/soggetto responsabile, orbitando, viceversa, l'illecito civile intorno alla figura del danneggiato; dall'altro, come, alla peculiare tipicità del fatto reato, faccia da speculare contralto il sistema aperto ed atipico dell'illecito civile. Sotto il profilo funzionale, in sintonia con la più attenta dottrina, va considerato:

inoltre evidenziato che alla “presunzione di colpa” prevista dall’art.1218 c.c. la giurisprudenza ha aggiunto anche la presunzione di nesso causale213o meglio la presunzione della

rilevanza causale dell’inadempimento qualificato del sanitario. Il nesso causale tra la condotta del medico e il danno, infatti, si presume ove il paziente alleghi che il sanitario abbia tenuto una condotta astrattamente idonea a causarlo. Va però evidenziato che si tratta di una presunzione relativa, potendo essere vinta dalla prova contraria fornita dal medico. In assenza di certezze processuali circa l’effettiva eziologia tra l’inadempimento qualificato del medico e l’evento dannoso, però, secondo questo approccio, il professionista dovrebbe comunque essere ritenuto responsabile del rischio della causa ignota o incerta. Infatti, laddove la causa del danno resti sconosciuta, le conseguenze non possono certo ridondare a carico del paziente-danneggiato ma gravano ugualmente sul medico che non sia in grado di fornire un sufficiente prova liberatoria. Naturalmente, il significato di tale presunzione è un evidente favor per il danneggiato, e non può nemmeno essere tralasciata la rilevanza che assume, al riguardo, il principio della colpa obiettiva quale violazione della misura dello sforzo in relazione alle circostanze del caso concreto. Nella ripartizione dell’onere della prova, inoltre, resta fermo il generale principio

- da un canto, che la valutazione del nesso di causa, fondata esclusivamente sul semplice accertamento di un aumento (o di una speculare, mancata diminuzione) del rischio in conseguenza della condotta omessa, è criterio ermeneutico che inquieta l'interprete penale, poichè realmente trasforma surrettiziamente la fattispecie del reato omissivo improprio da vicenda di danno in reato di pericolo (o di mera condotta), mentre la stessa preoccupazione non pare esportabile in sede civile, dove l'accento è posto, ormai, sul concetto di "danno ingiusto";dall'altro lato, come ancora osservato in dottrina, che conseguenza della atipicità dell'illecito è la sua interazione con altre discipline (economiche e sociali, e non necessariamente solo scientifiche, funzionali, queste, in sede penale, a svolgere il compito di "legge di copertura"), onde pervenire al risultato finale di costruire una credibile teoria della prevenzione efficiente del costo sociale dei danni, allocando la responsabilità (anche) secondo criteri elastici che si strutturano (ormai da almeno un trentennio) seguendo una sempre più notevole ed accurata individuazione (specie in campo medico - professionale) delle tecniche giuridiche attraverso le quali pervenire ad una più articolata e complessa distribuzione dei rischi comunque e sempre collegati a tale attività.

Dunque il modello di causalità come disegnato dalle sezioni unite penali mal si attaglia a fungere da criterio valido anche in sede di accertamento della responsabilità civile da illecito omissivo del sanitario.

enunciato dalla giurisprudenza in base all’art.24 Cost., ovvero quello della vicinanza della prova.

Il principio di vicinanza della prova o di riferibilità prevede, infatti, che l’onere della prova debba essere ripartito tenendo conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro dei contendenti di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d’azione, per cui è ragionevole gravare dell’onere probatorio la parte a cui è più vicino il fatto da provare. Dunque, la prova dell’assenza di colpa o della mancanza del nesso causale tra l’inadempimento qualificato ed il danno è sicuramente più vicina al medico, soggetto professionale in possesso degli elementi utili e del bagaglio conoscitivo necessario214.

Va però evidenziato che suddetta tesi, secondo la quale il paziente- creditore ha solo l’onere di allegare e non di provare la rilevanza causale dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento del medico, non è del tutto pacifica e che è fortemente criticata da una certa parte della dottrina. È evidente infatti che, così operando, si rischia di ingessare l’attività dell’operatore sanitario che, soprattutto nei casi più complessi, potrebbe ritenere più conveniente astenersi dall’intervento piuttosto che assumersi il rischio di un difficile onere probatorio e quello ancor più gravoso della “causa ignota”. Dunque, un primo aspetto favorevole della responsabilità da contatto sociale è, come evidenziato, quello probatorio ma non è certo l’unico.

Altro aspetto di rilievo, che ha spinto la dottrina e la giurisprudenza a discorrere della responsabilità medica come ipotesi di responsabilità da contatto sociale, è anche il più favorevole termine

214 E.QUADRI, Considerazioni in tema di responsabilità medica e di relative assicurazione nella prospettiva dell’intervento legislativo, in Law and Medicine current topics in a German and Italian perspective a cura di Consiglia Botta e Christian Armbruster,Scienze Assicurative, Edizioni Scientifiche Italiane,2017, Napoli, p.51.

di prescrizione. Come noto, infatti, il termine di prescrizione per esercitare l’azione contrattuale è decennale ex art. 2946 c.c., mentre nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale il termine è quinquennale.

Chiaramente, nella delicata materia dei trattamenti sanitari, molto spesso una valutazione della buona o cattiva riuscita dell’intervento richiede un lasso di tempo cospicuo, pertanto, ricostruendo la responsabilità dell’operatore sanitario come ipotesi di responsabilità aquiliana il rischio è che il paziente-danneggiato veda prescritta l’azione risarcitoria che, talvolta, può rappresentare la sua unica forma di tutela. Pertanto, anche sotto questo profilo, la responsabilità da contatto è sicuramente protettiva nei confronti del paziente ma, allo stesso tempo va sottolineato, come sostenuto da autorevole dottrina che, a seguito della giurisprudenza che ha teorizzato i cosiddetti danni lungolatenti, la qualificazione della responsabilità medica come contrattuale o aquiliana, almeno sotto questo profilo, non ha differenti risvolti pratici. Infatti, la teoria dei danni lungolatenti, rende ormai quasi imprescrittibile la responsabilità del medico in quanto si realizza una traslazione in avanti del dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale, dunque, in buona sostanza, per questa tipologia di danni, la responsabilità del professionista finisce con il non prescriversi mai, a prescindere dalla natura che gli si attribuisca215.

L’art. 2947 c.c. statuisce infatti lapidariamente che il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il “fatto” si è verificato. Una lettura meramente letterale della disposizione – in cui in effetti è assente qualsivoglia elemento testuale che pertenga alla scoperta del danno

215 E.QUADRI, Considerazioni in tema di responsabilità medica e di relative assicurazione nella prospettiva dell’intervento legislativo, in Law and Medicine current topics in a German and Italian perspective a cura di Consiglia Botta e Christian Armbruster,Scienze Assicurative, Edizioni Scientifiche Italiane,2017, Napoli, p.52.

– nonché atomistica – vale a dire sconnessa da quella degli artt. 2935 e 2043 c.c. – porterebbe, dunque, a concludere che il termine non possa che decorrere dalla causazione del danno, essendo invece irrilevante il diverso, successivo momento della sua percezione da parte del danneggiato, della esternazione del danno stesso216. La

giurisprudenza – con il supporto della dottrina tuttora maggioritaria217 – ha successivamente accolto una nozione di “fatto”

non limitata al semplice comportamento materiale omissivo o commissivo dell’agente, ma comprensiva dell’evento nel suo complesso; il “fatto”, dunque, è stato inteso quale risultante di due componenti: il comportamento doloso o colposo del danneggiante e le relative conseguenze di danno, implicanti una modificazione della realtà esteriore riconoscibile dal soggetto218. Per tale via, in ipotesi di

discrasia tra comportamento dannoso e verificarsi della conseguenza, già in passato il termine prescrizionale si è detto decorrere non da quando è stato posto in essere il comportamento che causalmente ha determinato il danno, ma da quando questo si è propriamente verificato, ossia si è esteriorizzato e reso conoscibile; si è altresì precisato che, ai fini della decorrenza, il danno debba manifestarsi nella sua compiutezza, in tutte le sue componenti, e dunque in tutta la sua gravità219 .

216 Vedi A.BIONDI, Appunti sull’art. 2947 c.c., in Foro it., 1955, I, 1366 ss.; G. GENTILE, Regime della prescrizione in materia di responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 1958, 291 ss. In tal senso anche F.MONATERI, La prescrizione e la sua decorrenza dal fatto: una sentenza da elogiare, in Danno resp., 2004, 389 ss.

217 Cfr., tra gli altri, P.OTTOLENGHI, Prescrizione dell’azione per danni, Milano, 1975, 86 ss. Più recentemente, C.M. BIANCA, Diritto civile, VII, Milano, 2012, 567 ss. Contra vedi P.DE CUPIS, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, 3ª ed., I, Milano, 1979, 277 ss. Sul tema G.VITUCCI, Art. 2935, in SCHLESINGER (a cura di), Comm. cod. civ., Milano, 1999, 77 e VITUCCI-ROSELLI, La prescrizione e la decadenza, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, XX, Torino, 1984,p. 397.

218 Per la ricostruzione della giurisprudenza di legittimità e di merito all’indomani del codice del 1942, vedi C. RUPERTO, Prescrizione e decadenza, in Giur. sist. dir. civ. comm. fondata da Bigiavi, 2ª ed., Torino, 1985, 342 ss.

219 Ex plurimis, Cass., 27 febbraio 1962, n. 363, in Giust. civ., 1961, I, 1061; Cass., 12 luglio 1965, n. 1436, in Mass. giust. civ., 1965, 735; Cass., 12 gennaio 1972, n. 74, in Resp. civ. prev., 1972, 428. Si veda, spesso citata come leading case nelle rassegne, Cass., Sez. III, 24 marzo 1979, n. 1716, in Resp. civ. prev., 1980, p.90; in Foro it., 1980, I, p.1115; in Giust. civ., 1979, I, p.1440. In quel caso la decorrenza della prescrizione venne peraltro collegata non alla nascita della malattia (ipovarismo), ma al momento in cui la predetta si dimostrò irreversibile. Si veda anche Cass., Sez. III, 24 febbraio 1983, n. 1442, in Resp. civ. prev., 1983, p.627; Cass., Sez. II, 6 febbraio 1982, n. 658, in Giust. civ., p.2781, con nota di VENTRELLA, Danno “occulto” e illecito permanente: questioni di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Va inoltre sottolineato che,detto orientamento, è stato di fatto ratificato dal legislatore nel primo intervento sulla responsabilità da prodotti difettosi, e segnatamente con l’art. 13 dell’abrogato D.P.R. 224/1988: “Il diritto al risarcimento si prescrive in tre

I suddetti principi – tuttora condivisi dalla giurisprudenza– hanno più recentemente trovato larga applicazione nello specifico caso della prescrizione dell’azione risarcitoria derivante da danni lungolatenti, quali quelli legati, tipicamente, alla responsabilità medica in genere, alle malattie professionali, alla trasfusione di sangue o emoderivati infetti, in questi casi dunque il termine prescrizionale inizierà a decorrere dal momento di manifestazione del danno220.

anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile”. Come è evidente leggendo la disposizione, la contropartita è stata quella di un accorciamento del termine prescrizionale. La disposizione è stata poi confermata dall’art. 125 del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005), ove è confluita la relativa disciplina. Analogamente, in tema di danni cagionati dall’impiego di energia nucleare, l’art. 23 della L. 1860/1962 stabilisce che “Le azioni per il risarcimento dei danni alle cose e alle persone dipendenti da incidenti nucleari si prescrivono nel termine di tre anni dal giorno in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno e dell'indennità dell'esercente responsabile oppure avrebbe dovuto ragionevolmente esserne venuto a conoscenza”. Si veda anche il progetto di legge avente ad oggetto la “Disciplina organica in materia di risarcimento di danno alla persona …”, predisposto dall’Associazione italiana sul Danno alla Persona e dall’Istituto Piemontese di Studi Economici e Giuridici, entrambi reperibili in sito www.dannoallapersona.it.

220 G.BONA, Prescrizione e danno alla persona: il nuovo leading case della cassazione sposta il dies a quo dalla manifestazione del danno all’addebitabilità del pregiudizio al responsabile (la nuova regola a confronto con il modello inglese... idee per una riforma), in Giur. it., 2004, p.286 ss.; questo Autore segnala come il sistema inglese abbia peraltro ricevuto l’apprezzamento della Corte di Strasburgo, come si ricava dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 22 ottobre 1996, Stubbings e altri c. Regno Unito, cit. Per una panoramica di diritto comparato su prescrizione e decadenza, si veda P.GALLO, Prescrizione e decadenza in diritto comparato, in Dig. it. disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, p.248 ss. e W.ZIMMERMANN, Comparative foundations of a European law of set-off and prescription, Cambridge, 2002. p.20. A.PATTI, Certezza e giustizia nel diritto della prescrizione in Europa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, I, p.21 ss; Cass., Sez. II, 6 febbraio 1982, n. 658, cit. Cfr. AURICCHIO, Appunti sulla prescrizione, Napoli, 1971, 37-38. 22 Ex multis, Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1999, n. 5701, in Foro it. rep., 1999, Prescrizione e decadenza, n. 82; Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1995, n. 8845, Foro it. rep., 1995, Prescrizione e decadenza, n. 29; App. Roma, 23 ottobre 2000 e Trib. Roma, Sez. II, 14 giugno 2001, in Danno resp., 2001, 1067; T. Torino, 14 marzo 2007, in Resp. civ., 2007, 1371; Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2011, n. 13616, in Foro it., 2012, I, 842; Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28464, in Foro. it. rep., Prescrizione e decadenza, n. 15. Cfr. BONA, op. ult. cit., per un’ampia e dettagliata rassegna di giurisprudenza in materia. Emblematico in materia il caso dell’ asbestosi – le Corti italiane hanno a più riprese precisato che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale conseguenti alla malattia professionale decorre dal momento in cui sia stata raggiunta – tramite precise indagini mediche – la certezza della malattia e della sua origine professionale . Più marcatamente, anche con pronunce a Sezioni Unite, in casi di responsabilità del Ministero della Sanità per i danni conseguenti alle trasfusioni. Sul danno lungolatente, P.IZZO, La precauzione nella responsabilità civile. Analisi di un concetto sul tema del danno da contagio per via trasfusionale, Padova, 2004, p.172 ss., 202 ss.; ID., Sangue infetto e responsabilità civile: responsabilità, rischio e prevenzione, in Danno resp., 2000, p.229; ID., La responsabilità dello Stato per il contagio di emolifici e politrasfusi: oltre i limiti della responsabilità civile, ivi, 2001, p.1067; ID., La decorrenza della prescrizione nell’azione risarcitoria da danno lungolatente: quali regole per governare l’incertezza probatoria?, in Danno resp., 2003,p. 853, postilla al contributo di P. RIGHETTI, Prescrizione e danno lungolatente (Nota a Cass., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645, Menozzi c. Min. sanità), ivi, p.845; G. ROSSETTI, Postumi silenti, la prescrizione decorre lo stesso, in Dir. giust., 2004, p.46 ss.; M.TESCARO, Osservazioni in tema di decorrenza della prescrizione e autoresponsabilità, in Studium juris, 2007, p.255; L.BUFFONE, Prescrizione del diritto al risarcimento dei danni lungolatenti, in Resp. civ. prev., 2008,p.1269; M.VIOLA, La nuova responsabilità civile lungolatente - Commento a margine delle sezioni unite 581/2008, in Vita not., 2008, p.839; A.RIGHETTI, Ancora un revirement della Cassazione sul dies a quo della prescrizione dell’azione risarcitoria nel danno lungolatente: un segnale per le sezioni unite?, in Giur. it., 2004, p.1584; ID., Prescrizione e danno lungolatente, in Danno resp., 2003, p.845; P.VALERINI, La prescrizione dei danni lungolatenti, Il civilista, 2009, p.74; A.CESERANI, I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti - Tendenze ed orientamenti del coverage trigger disputes, in Dir. ec. ass., p.2010. Sulla disciplina legislativa in materia, vedi P.PARENTE, La protezione giuridica della persona dall’esposizione a campi elettromagnetici, in Rass. dir. civ., 2008, p.397 ss. Cfr. AA.VV., Prescrizione e decadenza: tutele sostanziali e strategie processuali, a cura di Viola, Milano, 2009, p.364. Cass. civ., sez. lav., 08 maggio 2007, n. 10441, Foro it., 2007, I,

Altro aspetto non meno rilevante è quello relativo alla quantificazione del danno, mentre infatti nella responsabilità contrattuale -al di fuori dei casi di dolo- il danno risarcibile è limitato ai soli casi prevedibili al tempo in cui è sorta l’obbligazione, nella responsabilità aquiliana è esteso anche a quelli imprevedibili. Dunque, sotto questo profilo, la ricostruzione della responsabilità del medico come da contatto sociale, consente all’operatore sanitario di escludere il risarcimento per quelle conseguenze post- operatorie assolutamente neglette ed imprevedibili. Quindi, anche l’operatore sanitario, almeno sotto il profilo della quantificazione del danno, beneficia di una ricostruzione in termini contrattuali della responsabilità. Vero è che la quantificazione è attività rimessa ad una valutazione equitativa del giudice, sulla base delle circostanze fattuali e, per sua natura, incerta. Pertanto, il rischio resta insito nella discrezionalità giudiziaria che è però alla base dell’intero sistema risarcitorio.

Quindi è possibile osservare che, la netta contrapposizione concettuale tra responsabilità contrattuale ed aquiliana, consegnataci dalla tradizione, si è nel corso del tempo, notevolmente attenuata, divenendo i confini tra le due categorie, molto più incerti e labili rispetto al passato. Si è infatti assistito ad un fenomeno di contrattualizzazione della responsabilità aquiliana o come evidenziato da una certa parte della dottrina221 “di espansione

della responsabilità contrattuale ed erosione di quella aquiliana con una evidente trasmigrazione nell’ambito della responsabilità per inadempimento di fattispecie prima tutelate nelle forme dell’illecito aquiliano”. Il fenomeno è essenzialmente legato alle contigenze dei casi concreti sottoposti al vaglio delle corti nonché ad un deficit normativo in questo delicato settore che, solo di recente, è stato

p.2701; in Orient. giur. lav., 2007, I, p.622 e in Not. giur. lav., 2008.

attenzionato ed ha visto il succedersi di ben due interventi normativi222a testimonianza della criticità della materia.

In conclusione, diverse sono state le teorie sulla responsabilità civile del medico avanzate dalla dottrina e, talvolta, sposate dalla giurisprudenza anche della Suprema Corte.

Tutte- come evidenziato- presentavano vantaggi ma anche criticità. L’incertezza nel settore sanitario e l’avvicendarsi di diversi approcci volti a ricostruire la responsabilità civile del medico, era originata dalla completa mancanza di un dettato normativo specifico in tale delicato settore.

La tesi del contatto sociale che postulava una responsabilità contrattuale ex art.1173 c.c. era quella che aveva trovato maggior riscontro in quanto in grado di proteggere adeguatamente il paziente e allo stesso tempo, preservare il medico dal dilagante rischio della medicina difensiva. Le criticità erano però evidenti. Si trattava di una ricostruzione -mutuata dalla dottrina tedesca223- ma

priva di un espresso riferimento normativo. Pertanto, si era fatta chiaramente strada la necessità di un preciso e specifico intervento del legislatore che “codificasse” questa ricostruzione di matrice giurisprudenziale.

L’intervento tanto atteso in materia -quello della Legge Balduzzi- evidenzia la netta spaccatura tra legislatore e giurisprudenza e alimenta, anzicchè risolvere il già complesso dibattito nel settore.

222 Il riferimento è alla Legge Balduzzi n.158/2012 e alla Legge Gelli-Bianco n.24/2017 che sono intervenute nel settore sanitario a distanza di breve tempo se si tiene in considerazione che la materia precedentemente non risultava disciplinata da alcun intervento normativo.

223 A.SANTORO, La responsabilità da contatto sociale, Giuffrè, 2012. Il contatto sociale è un istituto di derivazione dottrinaria (sviluppatosi in Germania, dove sembra ormai aver ricevuto – in seguito alla riforma del diritto delle obbligazioni del 2001 – una positivizzazione nel § 311 BGB [codice civile tedesco], ove il legislatore inserisce quale fonte di obblighi di protezione l’ähnliche geschäftliche