L’intervento normativo in materia di responsabilità civile del medico: La legge Balduzzi e la Legge Gelli-Bianco
V. La quantificazione del danno.
Un aspetto centrale, che va necessariamente indagato alla luce della riforma normativa del 2017, è quello relativo al prescritto dovere del giudice di tenere conto della condotta dell’esercente la professione ai sensi dell’articolo 5 della l. 24/17 e dell’articolo 590
sexies c.p. nella determinazione del quantum debeatur.
Il giudice, per espressa previsione normativa, se la condotta del danneggiante-sanitario è stata orientata dalla linea guida o dalla buona pratica clinico-assistenziale adeguata al caso specifico, potrà e dovrà condannare l’esercente la professione sanitaria ad un risarcimento, anche inferiore a quello che garantirebbe l’integrale ristoro dei danni patiti dal paziente.
Seppure, come detto, la dottrina maggioritaria appare contraria272,
potrebbe sostenersi che valga anche l’opposto, ossia che il medico potrebbe essere condannato a corrispondere un surplus rispetto a quello che sarebbe l’integrale ristoro del danno, nel caso in cui la sua condotta si sia discostata significativamente dalla linea guida o buona pratica senza alcuna ragione giustificatrice, sussistendo dunque, in questa ipotesi, un profilo di colpa grave.
272 M. FACCIOLI, La quantificazione del risarcimento del danno derivante da
responsabilità medica dopo l’avvento della legge Balduzzi, in Nuova giur. civ.,
2014, II, pp. 108 ss., il quale ha escluso che possa darsi luogo all’aumento del risarcimento in caso di colpa grave, ma sul presupposto secondo cui i c.d. danni punitivi non fossero compatibili con il nostro ordinamento, presupposto che appare quanto meno da ridiscutere alla luce del recente arresto di Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse con questa pronuncia proprio sull’interessante questione della compatibilità del risarcimento punitivo con il sistema giuridico italiano, offrendo sagaci spunti di riflessione de iure condito e de iure condendo. La vicenda prende le mosse dal contenzioso sorto intorno al riconoscimento di una sentenza statunitense in cui, a detta di una delle parti, era prevista una condanna per danni punitivi, che secondo un risalente orientamento della Corte di Cassazione non potrebbero trovare riconoscimento nel sistema italiano, essendo contrari all’ordine pubblico (Cass. n. 1183/07).
Le Sezioni Unite, ritenendo il ricorso infondato/inammissibile, hanno affrontato comunque la questione ex art. 363 c. 3 c.p.c., in quanto l’interrogativo posto risultava di particolare importanzam ovvero se è possibile, nel sistema italiano, prevedere il pagamento di una somma superiore a quella strettamente necessaria a reintegrare il danno, al precipuo fine di infliggere una pena al danneggiante. Secondo gli ermellini, deve essere superato il “carattere monofunzionale della responsabilità civile” costituito dalla finalità esclusivamente reintegratoria del risarcimento - per riportare il danneggiato allo status quo ante il danno - a cui fa riferimento l’impostazione classica (Cass. n. 1183/07).
Già in altre occasioni, infatti, le Sezioni Unite “hanno messo in luce che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento” (Cass. SS.UU. 9100/15). Accanto alla “preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria” si riconosce adesso una “natura polifunzionale che si proietta verso più aree”, tra cui le principali sono quella preventiva e quella sanzionatorio-punitiva: l’istituto dei risarcimenti puntivi “non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano”. A conferma di tale conclusione, la Corte elenca numerosissime disposizioni legislative in vigore ormai da anni e che costituiscono chiare ipotesi sanzionatorie (punitive) ricollegate ad un comportamento foriero di un danno ingiusto. Secondo gli ermellini, anche la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto da tempo una concezione polifunzionale della responsabilità civile, la quale risponde soprattutto a un’esigenza di effettività della tutela (Cort. Cost. 303/11, Cort. Cost. 152/16, Cort Cost. 238/14). Tanto, si badi bene, “non significa che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria “consenta ai giudici di accentuare liberamente le condanne, liquidando oltre la somma necessaria a ristorare il danno patito. Come noto, infatti, ogni prestazione personale esige una “intermediazione legislativa” in ossequio al principio di riserva di legge stabilito dall’art. 23 della Costituzione e, dunque, nel sistema italiano la condanna al pagamento di una somma ulteriore a quella strettamente necessaria
L’art. 7, 3° comma, l. 24/17, infatti, dispone genericamente che «il
giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria».
Pare quindi che il legislatore abbia inteso valorizzare, anche in sede civile, le modalità della condotta, nonché il grado e l’intensità della colpa, ai fini della quantificazione del risarcimento da corrispondere al paziente danneggiato (oltre che al fine di decidere in ordine all’an
debeatur), secondo alcuni, operando in simmetria con l’art. 133 c.p.
ai fini della commisurazione della pena da infliggere in concreto al reo.
L’eventuale possibilità di condannare il medico alla corresponsione di un risarcimento anche maggiore rispetto all’effettiva entità del danno subito dal paziente evoca immediatamente la questione relativa ai danni punitivi, tuttora al centro del dibattito dopo il recente arresto giurisprudenziale in materia273. Infatti, in relazione
alla quantificazione del risarcimento del danno, la dottrina ha evidenziato, sulla scorta della giurisprudenza anche costituzionale, che il principio dell’integralità del risarcimento non trova copertura
per ristabilire lo status quo ante (risarcimento punitivo) è configurabile solo e soltanto se vi è una norma ad hoc che, nella fattispecie, lo prevede. In altri termini i danni punitivi sono configurabili nell’ordinamento italiano ma, pur essendo riconosciuti dal sentire giuridico comune (tanto da trovare riconoscimento in alcune specifiche norme) non possono considerarsi immanenti al sistema della responsabilità civile di cui all'articolo 2043 c.c. e non trovano applicazione tout court, costituendo ancora un’eccezione che, in quanto tale, deve essere legittimata da una specifica previsione legislativa. Spetta al legislatore, pertanto, decidere in quali casi sia possibile configurare un risarcimento punitivo.
Proprio sulla base di tale presupposto, viene astrattamente riconosciuta la possibilità di delibazione nel sistema italiano di una sentenza straniera che preveda la condanna ad un risarcimento punitivo.
In tal caso, il controllo che dovrà essere svolto dai giudici italiani sarà quello di accertarsi che nell’ordinamento straniero tale condanna sia pronunciata su “basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna”. Il concetto di “ordine pubblico” quale limite per la delibazione della sentenza, infatti, deve essere riletto in un ottima più permeabile, cercando il punto di equilibrio tra il controllo sull’ingresso di norme o sentenze straniere contrarie all’ordinamento giuridico interno e una funzione promozionale dei valori tutelati dal diritto internazionale.
273 Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601 in Massimario Corte Cassazione. Nonché per approfondimenti GUIDO ALPA, La responsabilità civile. Principi, Torino, Utet, 2010.
costituzionale; per l’effetto è astrattamente possibile prevedere che, ricorrendo determinati presupposti, la legge possa accordare al danneggiato un ristoro inferiore al danno patito, emancipando la tutela risarcitoria dal principio della integrale riparazione.
In tal senso, infatti deponeva prima la legge Balduzzi ed ora, l’art. 7 comma 3 della l. 24/17. La necessità di graduare la colpa, può ricondurre alla classica distinzione tra colpa grave e colpa lieve ed alle ricadute che tale distinzione ha sulle obbligazioni del prestatore d’opera ex art. 2236 c.c. Potrebbe quindi assumere nuovamente una qualche rilevanza -per esempio nella modulazione del risarcimento e sull’ debeatur- l’elaborazione teorica e giurisprudenziale relativa a tale disposizione, ancorché la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria sia oggi qualificata espressamente come di tipo extracontrattuale274.
Per questa ragione, una delle questioni di maggiore rilievo, è quella relativa alle modalità concrete di esercizio del potere di modulare il risarcimento da parte del giudice ed ai mezzi processuali per il controllo di tale potere. Saranno infatti le applicazioni pratiche del dettato normativo a rivelare i pregi e difetti della L.2017275.
Quanto alla prima questione, ancora una volta pare fondamentale l’opera del consulente tecnico di ufficio, che nel contradditorio con i consulenti di parte deve individuare la condotta che avrebbe dovuto essere tenuta sulla base del caso concreto e sulla base delle linee guida e buone pratiche di riferimento, comparandola poi con la condotta che è stata concretamente seguita, per indicare se ed in
274 G. PONZANELLI, La irrilevanza costituzionale del principio di integrale
riparazione del danno, in M. BUSSANI, La responsabilità civile nella giurisprudenza costituzionale, Edizioni Scientifiche Italiane Napoli, 2006, pp. 67
ss.; G. MONTANARI VERGALLO, op. cit., pp. 130 ss., cui si rinvia per ulteriori riferimenti.
275 C. SCOGNAMIGLIO, I danni punitivi e le funzioni della responsabilità civile, in «Corriere giur.», 2016, p. 912; S. BARONE, Punitive damages: multiplo
risarcimento sanzionatorio-deterrente o iper-ristoro solo cautelativo?, in «Giur.
it.», 2017, p. 1359 Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, in «Foro it.», 2017, I, col. 2613, con note di A. PALMIERI-R. PARDOLESI, I danni punitivi e le molte
che misura quest’ultima si sia discostata dalla prima, nonché per determinare il grado di addebitabilità della condotta al convenuto e di colpevolezza dell’esercente la professione sanitaria.
Andrà quindi ponderato anche il grado di responsabilità, ossia il grado della colpa dell’esercente la professione sanitaria. Su tale valutazione non potranno non pesare, ad esempio, la difficoltà delle cure da prestare e l’eventuale presenza di opinioni discordanti nella letteratura scientifica sulle tecniche e le modalità di cura che dovrebbero essere seguite.
Acquisiti tali elementi, nonché individuata l’entità del risarcimento dovuto al danneggiato, sulla base dell’effettivo pregiudizio subito (e quantificato facendo riferimento alle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, ai sensi dell’art. 7, 4° comma, l. 24/17,), sarà quindi effettuata la corretta determinazione del risarcimento da parte dell’esercente la professione sanitaria. L’art. 7, 4° comma, l. 24/17, stabilisce che “il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo”.
Va evidenziato che una disposizione simile, era già presente nel d.l. 158/12 (cfr. art. 3, 3° comma) ed è quindi stata già oggetto delle attenzioni della dottrina, che non ha risparmiato le sue critiche. In particolare, è sicuramente apprezzabile in linea generale l’intento di stabilire normativamente parametri per la quantificazione dei danni alle persone che questi siano uniformi e vincolanti su tutto il territorio nazionale, ma va evidenziato anche che a tale approccio
sono state mosse alcune obiezioni in quanto, tra le altre cose, è parso quanto meno poco opportuno attribuire al governo il potere di stabilire i parametri per la quantificazione dei danni provocati nell’e- sercizio dell’attività sanitaria, per via del fatto che la maggior parte delle strutture sanitarie che erogano prestazioni nel nostro Paese sono pubbliche. Si è quindi evidenziato che il soggetto tenuto a risarcire i danni non dovrebbe stabilire i parametri sulla base dei quali liquidare i danni stessi, in quanto la parte debole, ossia il paziente danneggiato, potrebbe farne le spese. Si consideri, peraltro, che una uniformità su tutto il territorio nazionale nella liquidazione dei danni alla persona dovrebbe già essere stata raggiunta, a prescindere dall’adozione delle tabelle di cui al codice delle assi- curazioni private, sulla base di un approccio nomofilattico della giurisprudenza. La Corte di cassazione, infatti, ha stabilito che le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale elaborate dal Tribunale di Milano devono essere applicate in tutti i tribunali d’Italia, salvo il potere/dovere del giudice di discostarsene in ragione delle caratteristiche peculiari del caso specifico, purché sussista una adeguata motivazione. L’uniformità di trattamento nell’intera penisola dovrebbe, quindi, essere già stata raggiunta per opera dell’intervento della Suprema Corte. Nelle more dell’adozione della tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 138 cod. assicurazioni private, da parte dell’autorità governativa competente, quindi, il riferimento è rappresentato tuttora dalle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano.
L’iter logico che dovrà essere seguito dal giudicante nella quantificazione del danno dovrebbe quindi essere il seguente: il giudice, una volta quantificato il danno effettivamente subito dal paziente sulla base dei parametri contenuti nelle tabelle, procederà a modulare il risarcimento da corrispondere ai sensi dell’art. 7, l. 24/17, facendo riferimento alla condotta tenuta dal medico ed alla misura della sua colpa, avendo come parametro di riferimento il